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Nella giornata di ieri, di fronte a milioni di spettatori che hanno assistito alla performance di Checco Zalone a Sanremo, si è consumato l’ennesimo caso di transfobia (cioè insieme di stigmatizzazioni e pregiudizi discriminatori nei confronti delle persone transgender): in cui a far da padrone sono stati insulsi stereotipi sulle donne transgender, che troppo spesso si associano a misoginia, razzismo, xenofobia e odio verso chi è sex worker; alimentando discriminazioni e violenze verso persone transgender e non binarie, come se la situazione non fosse già grave considerando che secondo i dati rilevati dall’organizzazione no profit Transgender Europe (con il progetto Trans Murder Monitoring) l’Italia è il secondo paese europeo con più vittime uccise per transfobia (42 persone solo tra il 2008 e il 2020) a cui si aggiungono i suicidi e casi di discriminazione.

Tornando all’esibizione di Checco Zalone, che voleva essere un’occasione per denunciare la LGBTQIA+fobia finendo per inscenare una visione macchiettistica delle donne transgender, sulle note di Almeno tu nell’universo di Mia Martini il comico canta con voce volutamente maschile, usando termini al maschile e accento brasiliano di una donna transgender che si prostituisce e dei bigotti che la criticano però poi sono i primi a cercarla; mostrandoci tramite parole e gesti delle immagini di dubbio gusto in cui si perpetrano gli stereotipi che seguono:

Le persone transgender si riconoscono dalla voce, dall’aspetto che ne fa capire il genere assegnato alla nascita.
Oltre ad evidenziare la dannosità del “passing”, cioè l’assurda convinzione di dover passare per uomo o donna cisgender (cioè di una persona che si identifica nel genere assegnato alla nascita) come requisito necessario per essere considerati validi; rimarca come ancora si confonda identità di genere (che oltretutto hanno anche le persone cisgender, non solo le persone transgender; e si intende il modo in cui ci si identifica sulla base delle costruzioni sociali legate ai generi di una determinata cultura, a cui vengono associate determinate caratteristiche) ed espressione di genere (cioè modi in cui si condivide/esprime il genere per esempio attraverso il vestiario o i capelli) che non solo non sono la stessa cosa ma possono anche non coincidere senza che per questo la persona smetta di essere donna o uomo o non binaria (es. usare il colore rosa o portare una gonna come modo per esprimersi non significa per forza di cose identificarsi come donna, poiché possono e devono poter essere usati anche da chi si identifica come uomo o persona non binaria).

Per riferirsi alle persone transgender si usano i pronomi del genere assegnato alla nascita.
Questo ha un termine specifico e è misgendering, riguarda appunto l’utilizzo del maschile nei confronti di donne transgender e del femminile con gli uomini trasgender (o comunque si riferisce al non usare i termini corretti per riferirsi ad una persona transgender o non binaria), cosa che purtroppo avviene spesso anche da parte di professionistə del campo medico e dell’informazione; non rispettare i pronomi legati all’identità di genere della persona genera forti disagi che possono portare anche stati depressivi, oltre ad essere fonte di varie forme discriminatorie e violenze.

Per quanto si possano effettuare cambiamenti le persone transgender rimangono del genere assegnato alla nascita.
O sono “metà e metà”, come afferma Checco Zalone nel monologo transfobico andato in onda ieri sera. Ma non c’è un modo giusto di essere transgender, ognuno si percepisce e identifica in modo diverso per cui è giusto che ognuno segua ciò che sente opportuno salvaguardando il proprio benessere psicofisico. Per cui c’è chi intraprende un percorso di affermazione di genere solo sociale (cioè comincia a presentarsi nel genere in cui si identifica), chi inizia anche una terapia ormonale (TOS) e/o chi affronta uno o più interventi tra cui la top surgery (cioè la ricostruzione del torace maschile per gli uomini transgender o persone non binarie; e la mastoplastica per le donne transgender o persone non binarie) e la bottom surgery (cioè la ricostruzione dei genitali con una delle varie tecniche disponibili).

Un uomo che ha rapporti sessuali con donne transgender è omosessuale.
Innanzitutto non è la persona con cui si entra in intimità o si ha una relazione a definire l’orientamento, in quanto un uomo bisessuale che sta con una donna rimane bisessuale (e lo è a prescindere che abbia o meno avuto esperienze con persone del suo stesso genere); ma in questo caso il problema sta nel fatto che la donna transgender venga erroneamente considerata sulla base del genere assegnato alla nascita, quando invece è una donna e quindi l’uomo con cui ha rapporti non è omosessuale.

L’orientamento può essere sessuale se riguarda sensazioni legate all’attrazione fisica, al desiderio, all’eccitazione nei confronti di uno o più generi (ma si può avere anche una scarsa o nessuna attrazione, come avviene per le persone asessuali); o romantico se riguarda sensazioni di vicinanza emotiva, intimità e cura nei confronti di uno o più generi (ma si può avere una scarsa o nulla attrazione romantica, come avviene per le persone aromantiche). L’orientamento sessuale e quello romantico possono coincidere oppure no (es. si può essere asessuali e biromantici; o eterosessuali e omoromantici; oppure omosessuali e panromantici).

Le donne transgender si prostituiscono.
Solo perché alcune persone transgender, in particolare donne, si prostituiscono non significa che sia la regola; anzi spesso non è nemmeno una scelta poiché non si trovano altre opportunità lavorative proprio a causa di discriminazioni (soprattutto a causa di documenti non conformi alla propria identità di genere). Ci sono infermierə, musicistə, avvocatə, tassistə, studentə e quant’altro; così come ci sono persone sex workers sia cisgender sia transgender che vanno tutelate e non stigmatizzate.

Credo che l’episodio andato in onda davanti a 11 milioni di persone sia l’ennesimo caso si trasfobia e che quindi sia quindi il caso di mettere a punto alcune questioni che spero possano chiarire meglio ciò che concerne il mondo transgender, partendo da quest’ultimo termine.

Transgender significa al di là (trans) del genere (gender) ed è utilizzato come termine ombrello per riferirsi alle persone che non si identificano (totalmente o in parte) nel genere assegnato alla nascita:
include sia le identità binarie (cioè il genere maschile e quello femminile), di cui fanno parte le donne transgender e gli uomini transgender;
sia le identità non binarie (cioè che vanno oltre la concezione binaria, riconoscendo la presenza di altri generi oltre a quello maschile e femminile), di cui fanno parte per esempio le persone agender (che non si identificano in nessun genere), demiboy (che si identificano prevalentemente nel genere maschile con fluttuazioni più o meno stabili e durature di identificazione nel genere femminile), demigirl (l’opposto di demiboy) e le persone genderfluid (che si identificano in tutti i generi, spaziando tra di essi in modo fluido).

Il termine transgender viene preferito a transessuale poiché quest’ultimo pone l’attenzione sui genitali e quindi perpetra l’idea che, contrariamente a quanto maldestramente evidenzia il monologo di Checco Zalone purtroppo in linea con gli stereotipi ancora attuali, bisogna effettuare un intervento o che vi sia una medicalizzazione (es. terapia ormonale sostitutiva, TOS) affinché una persona possa ad esempio identificarsi come un uomo; tutto ciò avviene anche a causa di un mancato riconoscimento dell’autodeterminazione di genere che è presente in altre nazioni, evidenziando l’urgenza non solo di un’educazione sulla tematica e di leggi che tutelino questa e altre categorie (come avrebbe dovuto essere il DDL Zan, a cui andrebbero aggiunte le persone asessuali che vengono spesso dimenticate) ma anche di procedure che rendano agevole e accessibile il percorso di affermazione di genere.

Il comico pugliese nel tentativo di mettere in ridicolo “l’italiano medio” ha invece rimarcato stereotipi che limitano e distorcono la percezione della realtà di chi guarda attraverso la lente di questi pregiudizi e allo stesso tempo limitano e opprimono chi viene etichettato con questi luoghi comuni. Infatti, anziché focalizzarsi sulla critica nei confronti delle persone che discriminano gli appartenenti al mondo LGBTQAI+ si accanisce proprio su questi ultimi usando battute goliardiche.

Tutto ciò, oltre a ferire ulteriormente una categoria che troppo spesso viene marginalizzata o addirittura vessata (in alcuni casi persino all’interno della stessa comunità arcobaleno), è stata senza dubbio un’occasione persa per far parlare persone che ne fanno parte affinché parlino del loro vissuto e delle problematiche che affrontano; oltre a dare visibilità alle persone transgender, così da permettere di potersi identificare e riconoscere attraverso dei modelli positivi.

 

 

Samuel Nava

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