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Radio Budapest di Robert V. Horvath è un romanzo leggero e senza pretese, che si legge volentieri ma che potremmo, di primo acchito, classificare come una lettura estiva, un libro da spiaggia.

La storia, narrata in prima persona dall’autore, che è anche il protagonista e filo portante di una vicenda piuttosto improbabile, è quella di uno studente americano (sia pure con un cognome, e quindi un’origine, ungherese) che si stabilisce nella capitale magiara per spulciare nelle biblioteche materiale storico che gli permetta di concludere la tesi di dottorato e quindi il percorso di studi.

Che il protagonista sia gay ce lo dice, prima ancora della seconda pagina del libro in cui il narratore osserva un bel tedesco che gli si siede accanto nell’aereo che lo porta a Budapest da Berlino, la collana in cui il romanzo è pubblicato, Syncro/Europa (un marchio dell’editore Playground) dedicata a storie del mondo gay nelle città del vecchio continente e confezionata con una cura editoriale eccellente. Che finisca a letto con il vicino di posto nel viaggio di avvicinamento alla sua nuova città è molto scontato e per fortuna succede quasi subito.

Fin  qui l’impressione, complice anche una prosa gradevole ma niente di più, è appunto quella di un banale romanzo di amori passeggeri che hanno un’ambientazione originale (le rive del Danubio, i quartieri della città, i due nuclei che la costituiscono – Buda e Pest – e le loro connotazioni legate al tenore di vita di chi ci abita) …

Però, pur non virando mai decisamente nella direzione del testo impegnato, il libro ci racconta anche la dedizione, il coraggio e l’impegno degli attivisti ungheresi, oppressi senza essere palesemente perseguitati, da un governo di estrema destra che nega qualunque riconoscimento ai diritti civili, e non solo per le persone LGBTQIA (lesbiche, gay, bisessuali, transgender, queer, intersex e asessuali).

E sull’altro fronte ci mostra quanti, anche in posizioni di relativo potere, pur appartenendo a una minoranza, non abbiano il coraggio di esporsi e siano, per questo se non compartecipi, sicuramente complici della più o meno palese persecuzione degli attivisti. La descrizione delle “velate” della capitale ungherese, dalle trasmissioni radiotelevisive alla politica, se da un lato ci riporta indietro di cinquant’anni a quando, anche nel nostro paese, il motto era “si fa ma non si dice”, dall’altro ci spiega bene perché alcuni mondi facciano così fatica ad accettare le diversità e a riconoscerle come variante, classificandole invece come anormalità.

Il romanzo di Horvath può essere quindi, oltre ad essere di facile lettura nella sua trama francamente un po’ troppo fantasiosa, è anche un aiuto a capire le difficoltà dell’attivismo nei paesi dove la libertà è negata.

 

 

Michele Benini

 

Robert V. Horvath, Radio Budapest, Syncro/Europa 2020, pp. 188, € 14,00

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