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Con il termine mutilazioni genitali femminili (MGF) ci si riferisce a tutte quelle pratiche che comportano la rimozione parziale o totale dei genitali esterni femminili o altre lesioni ai genitali femminili per motivi non medici e che nella maggior parte dei casi sono eseguite senza l’ausilio di anestetici.

Stando ai dati del 2020, raccolti nel corso dell’anno precedente, si stima che nel mondo siano 200 milioni le donne e le ragazze vittime di questo tipo di pratica. Di queste, circa 600 mila vivono in Europa.

A loro, ai loro corpi feriti e a quelli di coloro che all’oggi rischiano di subire questa terribile forma di violenza è dedicata la Giornata Internazionale contro le Mutilazioni Genitali Femminili (MGF), una ricorrenza istituita dall’Assemblea generale delle Nazioni il 20 dicembre 2012 che si celebra il 6 febbraio di ogni anno in numerosi stati.

Tra di essi c’è anche l’Italia, che attraverso un comunicato ufficiale del Ministero degli Affari Esteri ha recentemente ribadito “il suo impegno incondizionato per l’eliminazione di questa odiosa forma di violenza che ha conseguenze gravissime e irreversibili sullo sviluppo fisico e psicologico delle bambine e ragazze che ne sono vittime”. Parole ovviamente molto importanti, alle quali devono però far seguito delle iniziative e delle prese di posizioni efficaci e concrete.

Ne è profondamente convinta Mereb Habte, che già avevamo conosciuto e intervistato in un precedente articolo pubblicato su Io sono minoranza. E che alle MGF e alle tematiche a esse collegate ha dedicato la sua tesi di laurea magistrale, significativamente intitolata “The Effects of Migrations and the New Socio-Cultural Milieu on Female Genital Mutilation: a qualitative study of Eritrean Women Immigrants in Italy” (Effetti di Migrazione e di un Nuovo Ambiente Socio-Economico sulle Mutilazioni Genitali Femminili: studio qualitativo su donne Eritree immigrate in Italia).

 

Ervin: Che cosa ti ha spinto a intraprendere questo percorso e a interessarti a un argomento tanto importante quanto complesso e delicato?

Mereb: Come accennavo nel corso del nostro precedente dialogo, ho sempre avvertito con forza il bisogno e il desiderio di scendere in campo in prima persona e di rendermi utile a chi mi sta intorno. Nel corso del tempo, questa mia naturale inclinazione si è via via rafforzata e mi ha portato a fare delle scelte ben precise, a partire da quella legata agli studi universitari. Nel 2017 mi sono infatti trasferita a Seul, la capitale della Corea del Sud, per frequentare la Hankuk University of Foreign Studies (Hankuk-Università degli Studi Internazionali; HUFS). Ci sono rimasta due anni, al termine dei quali mi sono laureata in Sviluppo Internazionale con una specializzazione in Sviluppo dell’Africa e del Medio Oriente. A posteriori posso dire che si è trattato di un percorso per me davvero fondamentale e bellissimo, una sorta di viaggio che mi ha dato modo di approfondire e di comprendere meglio numerosi aspetti e tematiche strettamente legati ai diritti umani fondamentali, con particolare riferimento a quelli di bambine, donne e ragazze.

 

Nicki: E qui entriamo davvero nel vivo della tua ricerca, in pratica! Ti andrebbe di parlarcene?

Mereb: Certamente! La mia tesi di laurea magistrale è appunto dedicata all’universo femminile, o per meglio dire ai suoi diritti troppo spesso calpestati. Con l’aiuto della mia relatrice, la professoressa Yang Yunjeong, ho cercato di comprendere e approfondire la percezione che le donne eritree immigrate in Italia hanno delle mutilazioni genitali femminili. Al contempo, ho anche provato a capire se e come la permanenza in un paese in cui non si praticano le MGF abbia influito sul loro modo di vedere e di intendere le mutilazioni stesse.

 

Ervin: E quali sono stati i risultati della tua ricerca?

Mereb: Basandomi sui dati raccolti nel corso del mio studio, posso dirvi che tutte le donne che ho intervistato hanno abbandonato da tempo la pratica delle MGF. All’interno del campione in analisi, è inoltre emerso che tutte tranne una ritengono giusto e doveroso interrompere questo tipo di tradizione.

 

Nicki: Una presa di coscienza importantissima che però, immagino, da sola non può bastare a cambiare completamente le cose…

Mereb: No, infatti! Come hanno sottolineato molte delle donne che ho intervistato per la mia ricerca, gli sforzi devono avvenire anche e soprattutto all’interno delle comunità di origine. A loro parere, sarebbe infatti fondamentale creare degli spazi sicuri e accoglienti in cui parlare, confrontarsi e discutere di tutte quelle tematiche che ruotano attorno alla pratica delle MGF.

 

Ervin: Sarebbe sicuramente molto utile e di certo contribuirebbe a migliorare in maniera significativa la situazione…

Mereb: Assolutamente sì, anche perché – come emerge chiaramente dai dati raccolti per la mia tesi – spostarsi e vivere in un paese diverso da quello di origine non cancella magicamente certe pratiche culturali. Il percorso da fare è molto lungo e difficoltoso, e proprio per questo dovrebbe e anzi deve essere supportato da una robusta rete di supporto e di aiuto. Poter contare sul sostegno dei membri della propria comunità diventa dunque davvero importantissimo e costituisce una base imprescindibile per riuscire a portare avanti un reale cambiamento.

 

Nicki: Un cambiamento che, anche grazie a persone come te, potrebbe davvero avvenire presto…

Mereb: Me lo auguro di cuore, sarebbe meraviglioso! Io sicuramente ci credo e voglio impegnarmi con tutte le mie forze affinché le mie, anzi le nostre speranze e i nostri sogni si realizzino. Se ci muoveremo tutt@ insieme nella giusta direzione, sono assolutamente sicura che qualcosa di buono alla fine arriverà. Ne sono davvero convinta!

 

 

Nicole Zaramella e Ervin Bajrami

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