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Se mi chiedessero qual è la cosa che ho subito notato di te al nostro primo incontro, quasi sicuramente risponderei le mani.

Non tanto per via della french manicure a fiorellini che ti aveva fatto tua cugina più grande, quanto perché avevi le dita così rosse che per un attimo ho davvero temuto che potessero incendiarsi.

«Ti assicuro che non fa così male come credi!» mi rassicurasti notando la mia preoccupazione. «E’ solo una banale allergia della pelle, tra poco sparirà da sola, puoi anche toccare se vuoi, tanto non ti contagio!».

Io ti accarezzavo ammirat@. In vita mia non mi era mai capitato di vedere niente di simile, e ai miei occhi quell’impressionante sfogo cutaneo assumeva i contorni di qualcosa di meravigliosamente unico e straordinario.

«Io la chiamo la mia peste!» sorridesti piena di orgoglio.

Io praticamente ero già innamorat@.

 

Sfuggente. Se dovessi cercare un termine per definirti userei questo. Enigmatica. Sfuggente. Persa nel tuo mondo. Misteriosa. Affascinante.

Sei entrata nella mia vita come una folata di vento, una brezza non fresca, piena di foglie morte d’autunno, la stagione che ci vide nascere entrambi.

Stesso segno, lo Scorpione. L’odiato, irriverente, terribile dio dell’ombra, quello che non si diverte quando gli altri ridono e che fa festa grande quando il resto del mondo è accecato dal pianto.

Il peggior nemico di uno Scorpione è sempre sé stesso, mi disse una volta un simpatico istruttore di guida.

C’hai anche ragione, gli ho detto, difatti io e lei siamo sempre state in battaglia.

Non ci facevamo male sul serio, le nostre erano piuttosto punzecchiatine, dardi scagliati senza troppa convinzione, non avrei mai voluto ferirti, piuttosto che perderti sarei stat@ pront@ a crepare.

 

Non poteva essere altrimenti, d’altronde: tra i due sono sempre stat@ io quell@ che si cagava addosso all’idea di non averti più al fianco.

Se devo trovarmi dei difetti oltre a quelli che già so di avere, beh posso dirti che il peggiore di tutti è sicuramente l’insicurezza, che si tramuta in gelosia, che a sua volta si trasforma in malessere e che per finire mi costringeva addirittura a odiarti.

 

Guardavo con astio chiunque si intromettesse. Tra me e te non doveva esserci nessuno, tu dovevi essere la mia spalla, io dovevo essere la tua, ti prego non abbandonarmi, rimani, per me sei l’unica al mondo, davvero, te lo chiedo in ginocchio, resta con me, sei la cosa più preziosa!

 

Quanto fossi deficiente lo so già da me, non mi serve che qualcuno me lo ricordi.

Non è così che ci si comporta, non è così che si vive serenamente, non è così che si costruisce un legame solido, non è così che si evita di rimanere da soli.

A mia misera discolpa posso dire che ero relativamente piccol@, che a casa la situazione non era delle migliori, che ti amavo intensamente, immensamente, con tutto il cuore, e mi faceva male, malissimo, anche solo il pensiero di separarmi da te e dal tuo sguardo.

Non sei stata la prima persona per cui abbia provato un sentimento; di certo però sei stata l’unica per cui abbia sperimentato un’assuefazione così grande.

 

Di te mi piaceva tutto, e vorrai perdonarmi se ora ti sembrerò melens@ ma ci sono dei particolari dei nostri giorni passati insieme che non ho mai dimenticato.

Come la prima volta che siamo andati al cinema insieme, per esempio!

«Andiamo a vedere Eragon!» mi hai detto tutta contenta.

E io ci sono venut@ volentierissimo, ma certo, sì, assolutamente, chi cazzo se ne frega se quella pellicola era una palla allucinante!

Il panorama che avevo vicino mi bastava e avanzava per essere felice, ci fosse stato chiunque altro seduto sulla poltroncina vicino a me come minimo sarei cors@ a farmi rimborsare…!

E che dire di tutte le volte che venivi a casa mia a trascorrere la giornata…?

Partivi apposta dal paesino dove abitavi, lì disperso tra le colline, in corriera, guarda che per le nove arrivo, vienimi a prendere che sarò già in fermata!

Nonno, ti prego, accompagnami in macchina…!

Vederti arrivare era la parte migliore del nostro incontro.

Mi scoppiava il cuore dalla gioia, cazzo, sei qui…! Finalmente…! Sbrigati a montare in macchina…!

Trascorrevamo momenti che rivedo ancora continuamente, in casa, in giardino, ci sedevamo dietro al cespuglio grande, la schiena appoggiata alla rete, il culo sul muretto, leggimi la storia di Sam e Nina!

La scrivevo apposta per te.

Ancora adesso ne ricordi a memoria i passaggi.

 

Il mio dispiacere più grande era che tutti alla fine dei conti ci considerassero amiche.

Migliori amiche.

Amiche e basta.

Nessuno credeva che potessi piacermi.

Nessuno sospettava che da te volessi anche altro.

Non si poteva, d’altronde.

Non era previsto, non era sano, non era logico.

Due ragazzine non possono provare quel tipo di sentimenti!

Sarebbe inaudito, incredibile, davvero troppo!

Davvero strano!

 

Fra tutti, forse mia madre era l’unica che qualcosa l’aveva intuito, per questo mi rimproverava sempre, ogni volta che te ne andavi.

«Non dovete stare sempre così appiccicate a farvi le coccole! Non siete due fidanzati!».

Per lei è stata dura accettare che fossi quello che le ho confessato di essere.

Probabilmente se lo immaginava da tempo, anzi da come mi ha fatto intendere se lo aspettava quasi… però, ecco, tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare.

Non è stato e non è assolutamente semplice per lei accettare serenamente la mia bisessualità e il mio non binarismo di genere.

In fin dei conti da un giorno all’altro s’è ritrovata con tante di quegli stravolgimenti che detta molto francamente l’hanno un po’ fatta scoppiare.

Non posso neanche fargliene un torto, al suo posto magari avrei reagito così pure io, forse apparteniamo a generazioni molto diverse, comunque adesso mi sta davvero aiutando.

E’ serena, contenta, la vedo più aperta, forse quasi soddisfatta.

In fin dei conti vuole solo che sia felice.

Mi sta spronando a cercare di realizzarmi.

 

Di te invece non so più niente.

Con lei non ne parlo, vi siete lasciate un po’ male.

Diceva che facevi di tutto per ferirmi.

La realtà secondo il mio punto di vista è che in questo rapporto abbiamo sbagliato entrambi.

Io per prim@.

Io più di tutti.

Non è colpa tua se ero così appiccicos@, ho torto marcio io, nelle relazioni successive infatti certi errori ho cercato di evitarli.

Non guardo più agli altri come a degli esseri indispensabili alla mia sopravvivenza.

 

Li vedo come creature gentili che scelgono di fare un percorso di vita con me, non li obbligo a far niente che non vogliano, piuttosto che costringere qualcun* a innamorarsi di me preferisco di gran lunga evitare di starci.

Certo a volte è difficile, lo ammetto.

Ci sono state persone a cui ho davvero dato il mio cuore, e che mi hanno sostanzialmente lasciat@ al palo, ma che vuoi che ti dica…?

Funziona così, succede, non possiamo farci altro.

 

Come non posso farci niente se di tanto in tanto mi assale ancora il tuo ricordo.

Mi è successo anche ieri, sai, passeggiando vicino al ciliegio intorno al quale ci piaceva danzare.

Mi sei venuta in mente guardando la resina.

Quell’involucro d’ambra in cui a volte restano rinchiusi gli insetti che poi diventano fossili, uguali identici ai ricordi che io ho di te, splendor del mondo, gli occhi verdi più belli che abbia mai visto, i capelli neri come ali di corvo, quel sorriso dolcissimo che non ho mai dimenticato.

 

Puoi dirmi che ti sembrerò patetic@, se ora ti confesso che piango.

Puoi dirmi che a te di me non te ne frega più niente.

Puoi dirmi che non sai neanche più come mi chiamo.

Puoi dirmi, puoi dirmi.

Dimmi quello che ti pare.

Non sono lacrime di tristezza, le mie, ma di liberazione

 

Ormai per noi due è finita.

Ma la vita continua.

E con gioia ti dico che ho bisogno di guardare avanti.

 

 

Nicole Zaramella

 

NOTA: In dialetto veneto, con “merda di luna” si usa intendere la resina che si forma sugli alberi.

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