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Marcos y Marcos non ha solo il merito di aver tradotto e pubblicato La tua bellezza di Sahar Mustafah, ma ha anche il merito di aver scelto la bella copertina di Vendi Vernić: al contrario dei volumi in lingua originale inglese usciti negli Stati Uniti e nel Regno Unito, l’editore italiano non si è affidato a una testa coperta da un hijab. Scelta che probabilmente sarebbe stata più consigliata dagli esperti di marketing, ma che avrebbe reso meno giustizia al primo romanzo di questa scrittrice americana finora apprezzata e pluripremiata per i suoi racconti (raccolti in Code of the West).

Nel libro di Mustafah il tanto discusso velo islamico ha sicuramente importanza, ma non è centrale. E lo stesso si può dire del terrorismo: tema importante, ma non centrale. Che sembra un paradosso per una vicenda che parte nelle primissime pagine con una strage in una scuola islamica alle porte di Chicago. E invece non lo è: l’incursione del terrorista (ispirata purtroppo a un crimine avvenuto realmente nel 2015 a Chapel Hill, in Carolina del Nord) non serve ad afferrare il lettore per la pancia, ma fa da cornice a una serie di lunghi flashback che raccontano la vita della direttrice dell’istituto, la professoressa Afaf Rahman.

Il romanzo di Mustafah è “semplicemente” il racconto della storia di Afaf, ma al tempo stesso al termine della lettura si potrebbe stilare una lista di  “temi caldi” affrontati nel libro (il razzismo, l’11 settembre, l’identità, la religione, la diffusione delle armi, le fake news…) e poi meravigliarsi di come l’autrice sia riuscita ad affrontarli tutti in meno di 400 pagine in modo illuminante, senza mai una forzatura, senza mai calcare la mano. Mustafah ha la grazia rara di raccontare una storia strettamente personale riuscendo a illuminare tutta la realtà circostante, tutte le sue sfaccettature, tutte le sue contraddizioni.

Afaf appartiene a una famiglia immigrata negli States dalla Palestina, con un padre entusiasta che però non riesce a far apprezzare lo strumento che suona, l’oud, e una madre che non vede l’ora di ritornare al villaggio di origine e nel frattempo passa il tempo a cucinare i piatti del paese. La sorella maggiore sembra super integrata, il fratello minore è un po’ impaurito. E poi c’è la zia e suo marito, che, a differenza dei genitori di Afaf, sono devoti musulmani e provano a integrarsi preparando il tacchino per la festa del Ringraziamento.

Afaf ricorda in molti aspetti la sua creatrice: anche Mustafah è una donna statunitense con origini palestinesi e anche lei è insegnante, tra l’altro in un istituto alle porte di Chicago. Anche lei, da bambina, ha dovuto affrontare un’infinità di micro-aggressioni a scuola, mai giudicate “gravi”, ma capaci di frantumare la sua autostima. Poi però, se cercate qualche foto di Mustafah su internet, vedrete sempre una signora con un rossetto dai colori accesi e capelli neri e ribelli (a dimostrazione di quanto sia sciocca la contrapposizione tra “donne con il velo” e “donne senza il velo”).

Insomma, Afaf Rahman non è Sahar Mustafah, ma la scrittrice racconta con tanta precisione il suo personaggio da farlo sembrare vero. E lo stesso si può dire della religione e della fede, che – incredibile, ma vero! – il romanzo dimostra che possono essere descritte senza la sicumera dei cliché di laudatori e denigratori.

La tua bellezza va letto perché racconta perfettamente come ogni comunità (la famiglia, la scuola, la moschea…) possa distruggerci con il rifiuto, il giudizio o l’indifferenza, ma possa anche salvarci con il rispetto e l’accoglienza. Perché è una straordinaria storia di riscatto, lontana anni luce dalla retorica plasticosa dei self-made people. E perché il suo sguardo limpido di speranza dà luce e bellezza anche ai nostri occhi.

 

 

Pier Cesare Notaro

 

[Sahar Mustafah, La tua bellezza, Marcos y Marcos Milano 2020, pp. 383, € 18,00]

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