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Già la copertina del romanzo “Immacolata intercessione” di Carlo Kik Ditto, edito dalle edizioni Il ramo e la foglia, sbigottisce lə lettorə: cosa c’entra il titolo di chiara ispirazione mariana, con la foto della drag queen italiana The Real Lady Scratch?

La risposta affiora leggera, al ritmo di un racconto breve e delle hit di Cindy Lauper, come gli anni Ottanta in cui si svolge la storia di amore platonico della parrucchiera e drag queen Shebop e del porno divo Unicorn, in una Chicago almodovariana.

La leggerezza è tale da farci raggiungere la sfera del sacro. Una sfera tutta al femminile, dove anche gli angeli hanno le sembianze di una sciura cotonata, seduta sotto al casco asciugacapelli della sua parrucchiera di fiducia.

Shebop e Unicorn sono, come in ogni storia d’amore che si rispetti, l’una l’opposta dell’altro. Shebop è una donna transgender e atea, mentre Unicorn è un attore porno cis-gay e un cattolico praticante. Entrambə sono tuttavia unitə da una devozione profonda per il proprio mestiere, e da un desiderio nascosto che il gioco della misteriosa amica Mary svelerà a entrambə, prima ancora di realizzarlo.

Carlo Kik Ditto fa scorrere la trama del suo romanzo attraverso le voci e i pensieri dei due protagonisti, in una successione di scene e colpi di scena che si rincorrono rapidamente, forse per giungere quanto prima a quelle scene dove, fulmineo, appare un amore casto e sublime.

Immacolata intercessione” pur essendo ambientato negli anni ’80, riesce a farci immaginare una comunità LGBTQIA senza le odierne divisioni che la avviliscono, una comunità in cui un uomo cis gay “MxM” ama una donna transgender, dove la fede in Dio e l’orgoglio di essere queer coesistono in un’ unica persona, senza nessuna acrobazia logica, senza nessun senso di colpa.

Questo romanzo, pur portando lə lettorə a chiedersi come una donna transgender avrebbe descritto Shebop e il suo passato, farà saltare, con un “PPPPPop!”, la frontiera tra sacro e profano, per trascinarvi nelle vite di due personaggi libere dal dolore e dalla solitudine che, come chiodi, crocifiggono ancora oggi molte persone queer.

 

 

Stefano Duc

 

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