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Se Jean-Baptiste Poquelin fosse vissuto oggi forse Argante, uno dei suoi personaggi più famosi, avrebbe nutrito la sua ipocondria con le ricerche su internet e magari sarebbe anche vissuto tra Milano e la periferia milanese. Ma “Il malato immaginario” è stato scritto quasi tre secoli e mezzo fa, appena prima che Molière, che vi aveva trasposto molte delle sue preoccupazioni sulla sua salute, passasse a miglior vita. E le periferie milanesi sono state descritte mirabilmente da diversi autori, tra cui – quand’ero più giovane – Aldo Nove fin dai tempi di “Puerto Plata Market” (e forse già in alcuni dei racconti senza finale di “Woobinda”).

Questa premessa mi pare necessaria per quella che, più che una recensione, vuol essere una richiesta di aiuto. Amici e critici stanno infatti celebrando un romanzo che a me non è piaciuto, ma non sembrano in grado di spiegarmi cosa ci sia di originale in questo testo, che io ho letto annoiandomi un po’, portandolo in fondo più perché regalato da un caro amico che per parlarne qui. Il romanzo è “Febbre” di Jonathan Bazzi, che la prestigiosa trasmissione radiofonica di Radiotre “Fahrenheit” ha riconosciuto come il “miglior libro del 2019 della piccola e media editoria”.

Il problema è che nelle agenzie e perfino sul sito della casa editrice si spiega solo l’idea di premiare un libro di un piccolo o medio editore (“La decisione di dedicare un premio così prestigioso all’editoria indipendente va a colmare un deficit di attenzione verso un territorio attraversato da molte difficoltà, ma anche in continuo fermento, e di fatto rappresenta un caso unico nel vasto panorama dei premi letterari”) ma non si chiarisce più di tanto perché tra i dodici finalisti sia stato scelto questo testo.

Nel romanzo di Bazzi, va detto, ci sono anche alcune pagine coinvolgenti: chiunque faccia parte della comunità LGBT credo abbia avuto qualche timore delle malattie e della malattia per eccellenza, l’HIV. Ci sono pagine ansiogene che allontanano per qualche istante la fatica di procedere in una narrazione che niente nasconde ma niente nemmeno scopre: è tutto molto chiaro fin dall’inizio del libro e forse la cosa più sorprendente di questa autobiografia è che alla fine della storia le persone che contano e che colmano di attenzioni o di disattenzioni il protagonista ci siano ancora più o meno tutte.

La narrazione procede su due piani temporali, tra l’oggi e l’infanzia – certamente non felice – di Jonathan, che cresce con due genitori che si separano molto presto e poi cercano, non senza problemi e immaturità, di rifarsi ciascuno una famiglia. Nel presente c’è la scoperta della propria sieropositività, che il protagonista si sforza di vivere con naturalezza ma che lo porta all’ipocondria (è convinto di avere, oltre all’HIV, anche qualche altra malattia che nessun medico e nessun esame riesce a capire o evidenziare) e alla depressione. Ma nessuno dei due livelli mi pare molto destinato a generare interesse o empatia, tutt’al più in me ha fatto capolino una certa commiserazione a cui non ho voluto però cedere. Per un attimo ho pensato di non parlare di questo libro, ma ignorarlo mi sembra peggio ancora che spiegare perché non mi è piaciuto. E credo che l’autore, coraggioso nell’esporsi completamente in prima persona (come aveva del resto già fatto – più brevemente – sul sito per cui ha lavorato), il rispetto lo meriti comunque.

 

Michele Benini

 

Jonathan Bazzi, Febbre, Fandango Libri 2019, pp. 327, € 18,50

One Comment

  • Gigi Rende ha detto:

    Perfettamente d’accordo con lei. Un libro sopravvalutato inspiegabilmente che a mio parere si regge sulla circostanza extratestuale che la vita raccontata con il suo contenuto in modo rispettabile drammatico è una vita reale. Ma la scrittura in sé è molto di maniera, per come la vedo, particolarmente prevedibile la direzione , e dispiace dirlo non così avvincente. Le notazioni “poetico-filosofiche” sparse qua e là sono tra i baci perugina e il politically- gay-correct. Non so cosa potrà scrivere questo peraltro simpatico Brizzi che non sia autoreferenziale. Lo aspettiamo alla seconda prova.

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