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La nostra chiacchierata con Luca Giacomelli, membro di Rete Lenford – Avvocatura per i diritti LGBTI, continua. Nell’articolo precedente abbiamo parlato della sua esperienza, di come sia entrato in contatto con questa rete di avvocati e in che modo difendano i diritti LGBTI nelle aule giudiziarie. Adesso Luca ci parla nello specifico delle battaglie che Avvocatura per i diritti LGBTI sta affrontando e cerca di fare chiarezza sugli ultimi sviluppi legislativi e giurisprudenziali che ci riguardano da vicino.
Abbiamo tutti ben chiaro il contenuto della legge 76/2016? Cos’è la stepchild adoption? Due donne o due uomini che si uniscono civilmente hanno in tutto e per tutto gli stessi diritti e doveri di una coppia sposata di sesso diverso? Scopriamolo insieme!

In questo momento quali sono i temi di cui Rete Lenford si sta maggiormente occupando?
Principalmente sono il trattamento chirurgico non obbligatorio per le persone transessuali e le numerose questioni che ruotano intorno alla tutela dei figli delle coppie dello stesso sesso, dalla tanto dibattuta stepchild adoption alla trascrizione dei certificati di nascita dei minori con due genitori dello stesso sesso.

Ok, vorrei entrare adesso nello specifico e soffermarmi su un punto che non ho ben chiaro.
A seguito del cambio di sesso di un coniuge, che portava all’automatico scioglimento del matrimonio, oggi, questo si converte in unione civile. La conversione da unione civile a matrimonio, invece, è possibile? Inoltre, si sente dire spesso che nell’articolo 122 del Codice civile, la dicitura “anomalia o deviazione sessuale” si riferisca a omosessualità o transessualità, cosa puoi dirci?
L’articolo 122 del Codice non riguarda la conversione del matrimonio in unione civile. Attualmente questa fattispecie è contemplata ai commi 26 e 27 della legge n. 76/2016 e sono previste entrambe le ipotesi (da matrimonio a unione e da unione a matrimonio) stante il dato della diversità di sesso per il matrimonio e dell’uniformità di sesso per l’unione. Alla rettificazione anagrafica di sesso, qualora i coniugi abbiano manifestato la volontà di non sciogliere il matrimonio o di non cessarne gli effetti civili, consegue l’automatica instaurazione dell’unione civile tra persone dello stesso sesso.
Per quanto riguarda, invece, la dicitura “anomalia o deviazione sessuale”, questa non si riferisce all’orientamento sessuale o all’identità di genere, o almeno così non è mai stata interpretata dalla giurisprudenza di merito e di legittimità. Tale dicitura ha a che vedere, invece, con patologie sessuali (pedofilia, dipendenze, etc.) che, qualora nascoste al partner prima del matrimonio, rendano impossibile la vita coniugale.

Cosa ne pensi del fatto che il comma 11 della legge n. 76/2016, modellato sullo stile dell’articolo 143 del Codice civile, non menzioni il dovere di fedeltà né quello di collaborare nell’interesse della famiglia? E che il comma 12, modellato sull’articolo 144 c.c., non menzioni le esigenze preminenti della famiglia? Viene delineata una differenza netta tra matrimonio e unione civile: nel comma 1 infatti si legge che tale unione civile è istituita “quale specifica formazione sociale ai sensi degli articoli 2 e 3 della Costituzione”, senza quindi fare riferimento agli articoli della Costituzione che invece disciplinano il matrimonio. Si pone in contrasto con la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo?
Con riferimento alla dicitura “specifica formazione sociale” di cui alla legge n. 76/2016, va innanzitutto premesso che dopo quel che è successo in tutto il mondo occidentale, in parlamenti a noi vicini come quelli di Londra e Parigi, dopo la sentenza della Corte suprema americana, dopo il referendum irlandese, e tante altre vicende, il legislatore italiano non ha posto fine alla discriminazione matrimoniale nei confronti della minoranza omosessuale. È stata prodotta, invece, una legge cavillosa, prolissa, complicata, che assicura alle coppie gay e lesbiche tutti i diritti del matrimonio ma di fatto prosegue nella strada del cosiddetto “separate but equal” (separati ma uguali).
L’unione civile tra persone dello stesso sesso viene definita “specifica formazione sociale”. Rispetto al testo iniziale viene messo nero su bianco il riferimento agli articoli 2 e 3 della Costituzione che riguardano appunto le «formazioni sociali». Un passaggio fatto per rafforzare la distinzione tra unione civile e matrimonio disciplinato invece dagli articoli 29, 30 e 31 della Costituzione. È una discriminazione lessicale e simbolica che è appunto volta a mettere una linea di separazione tra ciò che è intesa come “famiglia naturale fondata sul matrimonio”, ovvero quella formata da persone di sesso diverso e finalizzata alla procreazione, e tutto il resto. È un modo, invece più sostanziale che simbolico, di fondare l’istituto delle unioni civili sul più generico articolo 2 della Costituzione (diritti fondamentali dell’individuo) e non sull’articolo 29 dedicato specificatamente al matrimonio e alla famiglia. È un modo per garantire il minimo indispensabile, continuando tuttavia a negare la stessa dignità e lo stesso rispetto alle persone omosessuali e alle loro famiglie, nonostante le proclamazioni e le condanne provenienti dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. È l’ennesimo sforzo di impedire il riconoscimento e la tutela dell’omogenitorialità, come dimostrato in maniera ancora più evidente dallo stralcio della stepchild adoption.
Altra discrepanza tra la disciplina del matrimonio e quella delle unioni civili è la mancanza dell’obbligo di fedeltà: anche questa è una discriminazione simbolica, se vogliamo, che nasconde un pregiudizio o la presunta instabilità delle coppie gay. In realtà, a ben vedere, è una evoluzione l’aver eliminato questo requisito che, a livello giurisprudenziale, non vale più nemmeno per il matrimonio: la giurisprudenza ha ormai stabilito che la violazione della fedeltà non consiste nel mero tradimento sessuale ma più in generale nella lesione dell’onore del partner. Esso è il retaggio di una impostazione arcaica e patriarcale. L’obbligo di fedeltà sessuale era connesso un tempo a quella norma del codice penale che puniva solo la donna adultera e non l’uomo. È legato ad una concezione illiberale del diritto. Andrebbe semmai epurato anche dalla disciplina del matrimonio. Tuttavia è innegabile che da un punto di vista simbolico sembra voler marcare una differenza qualitativa tra le due unioni, però a me sembra meno importante di quanto non suoni.
Mancanza a mio avviso più grave è quella alla collaborazione nell’interesse della famiglia. Anche se implicitamente la si ricava dalla lettura complessiva della legge e da un punto di vista sistematico (tramite i rinvii e la clausola antidiscriminatoria di cui al comma 20) è innegabile la discriminazione insita in questa lacuna. Anche in questo caso ciò è avvenuto per togliere frettolosamente il riferimento al termine “famiglia”: l’intero testo è strutturato in modo da evitare il riferimento a “famiglia” e a “matrimonio” nel vano tentativo di differenziare i due istituti. Dico vano perché la giurisprudenza europea e anche quella italiana ha da tempo ormai affermato il contrario, ossia la piena eguaglianza di tutte le famiglie.
Eppure qualche riferimento è scappato al legislatore.
Questione singolare e sulla quale stiamo cercando di costruire una causa pilota da portare in tribunale è quella relativa appunto alla mancata instaurazione del legame di affinità. La legge n. 76/2016 sembra escluderlo, eppure, da una lettura sistematica delle norma del codice civile richiamate e per ovvie ragioni di discriminazione, apre una questione di incostituzionalità. La costituzione dell’unione civile non determina l’insorgenza di rapporti di affinità tra le famiglie di origine dei partner, a causa del mancato richiamo, da parte della legge, dell’articolo 78 del Codice civile e dell’impossibilità, per altro verso, di applicare direttamente tale norma ai sensi dell’articolo 1, comma 20, della legge 76/2016. La scelta del legislatore si rivela poco coerente con la legge n. 76 e con il sistema normativo nel suo complesso.
Ancora, al di fuori della legge n. 76 c’è l’instaurazione dei rapporti di parentela.
Posso aggiungere che l’opzione per il matrimonio egualitario risponde prima ancora che alla necessità sociale del rispetto per la dignità delle famiglie formate da persone dello stesso sesso, a una ragione strettamente giuridica: le unioni civili non sono oggettivamente in grado di coprire tutta l’area di tutela che il matrimonio concede alla famiglia. Il che da un lato è verificabile in un’ottica comparata, giacché in tutti i Paesi in cui ci sono stati interventi simili si è verificato il successivo intervento della magistratura per fronteggiare le irragionevoli discriminazioni che le coppie dello stesso sesso subivano rispetto a quelle coniugate di sesso diverso. Dall’altro lato, testimonia nei fatti che la separazione dei due istituti è funzionale a collocare le famiglie formate da persone dello stesso sesso giuridicamente e quindi socialmente, in una posizione di inferiorità.

Ritornando alla questione della stepchild adoption, le norme sull’adozione non si applicano all’unione civile: come vi state muovendo su questo fronte?
Per quanto riguarda filiazione e omogenitorialità, disciplinare l’adozione co-parentale (la cosiddetta stepchild adoption) nella legge sulle unioni civili avrebbe garantito una tutela, anche se parziale, a tutti quei minori che già nascono e crescono in famiglie omogenitoriali. Eppure questa parte è stata del tutto stralciata dalla legge, fatto salvo un richiamo ambiguo alla giurisprudenza in materia di filiazione che già nel 2016 aveva stabilito alcuni importanti riconoscimenti.
Il punto è che, sebbene unione civile e matrimonio restino distinti, sempre di famiglia si tratta, senza alcun dubbio e senza che il riferimento alla “specifica formazione sociale” possa in alcun modo inficiare la correttezza di tale affermazione, dal punto di vista giuridico e costituzionale.

Ci sono sviluppi nel vostro lavoro riguardo al riconoscimento della genitorialità in famiglie omogenitoriali?
Decisamente! La relazione affettiva tra due persone dello stesso sesso, che si riconoscano come parti di un medesimo progetto di vita, con le aspirazioni, i desideri e i sogni comuni per il futuro, la condivisione insieme dei frammenti di vita quotidiana, costituisce a tutti gli effetti una ‘famiglia’, luogo in cui è possibile la crescita di un minore, senza che il mero fattore dell’‘omoaffettività’ possa costituire ostacolo formale. Sulla base di questo assunto e soprattutto alla luce del superiore interesse del minore, Rete Lenford ha avviato una serie di ricorsi in tribunale per ottenere il pieno riconoscimento giuridico della genitorialità anche all’interno delle famiglie dello stesso sesso con l’obiettivo principale di tutelare in modo pieno tutti i bambini.

Ultimamente ci sono stati sindaci in Italia che hanno riconosciuto due mamme o due papà?
Sì, certo, hanno iniziato a trascrivere automaticamente i certificati di nascita recanti due mamme o due papà senza ricorso giurisdizionale, certificati di nascita anche formatisi in Italia e non solo all’estero, oltre alla trascrivibilità delle sentenze di adozione a favore di cittadini italiani dello stesso sesso residenti all’estero. Punto in comune di questa giurisprudenza è l’interesse del minore: non si tratta del diritto a essere genitori o del diritto dei gay ad avere figli. Si tratta di tutelare i minori che non possono subire discriminazioni per il modo in cui sono venuti al mondo e per il fatto di essere nati da genitori omosessuali. Il minore è titolare di diritti fondamentali e questi devono essere garantiti e tutelati per tutti i bambini senza discriminazione alcuna: non si può pensare che per il solo fatto di attraversare un confine o per il solo fatto di essere nato in un modo anziché in altro un bambino perda i suoi diritti o sia tutelato solo per metà! È un prendere atto, inoltre, di come la genitorialità sia sempre meno legata al dato biologico e sempre di più legata al dato intenzionale, il che significa che essere genitori è prima di tutto un’assunzione di responsabilità da parte degli adulti e un garantire la massima tutela e il massimo benessere possibili al minore. Abbiamo il dovere di difendere i diritti!

 

Ginevra

 

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