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“When we rise” è una miniserie-documentario trasmessa per la prima volta nel Febbraio 2017 sul canale statunitense ABC, scritta e prodotta da David Lance Black e Gus Van Sant, primo omossessuale ad aver vinto il premio Oscar con il film “Milk”. Divisa in otto episodi di un’ora ciascuno, tratta della storia della comunità LGBTQIA+ a San Francisco, dai moti di Stonewall nel 1969 fino al 2015, anno della sentenza Obergefell v. Hodges (2013-2015) in cui la corte suprema statunitense dichiarò incostituzionale il divieto di matrimonio per le coppie dello stesso sesso, legalizzando quindi i matrimoni gay.

Il documentario riesce a raccontare la storia dei movimenti civili senza mai diventare noioso o pesante, riuscendo comunque a far luce su una parte importante e fino ad ora sconosciuta della nostra storia. Diversi sono gli eventi raccontati dalla viva voce dei personaggi: la mancata accettazione delle donne lesbiche all’interno dell’Organizzazione Nazionale per le Donne; l’elezione a consigliere comunale di San Francisco e l’omicidio di Harvey Milk; la lotta contro l’iniziativa Briggs (1978) che tentò di vietare la professione di educatore e insegnante a persone omosessuali e alleati; la strenua lotta per il riconoscimento e la ricerca di una cura contro l’epidemia di AIDS degli anni 80.

La trama densa di avvenimenti storici viene diluita e resa più fruibile al pubblico grazie al racconto delle vite dei protagonisti: Cleve Jones, Roma Guy e Ken Jones. I tre attivisti raccontano il loro quotidiano facendo sì che lo spettatore, indipendentemente da orientamento sessuale, età e identità di genere, possa immedesimarsi e appassionarsi episodio dopo episodio. È proprio questo, a mio parere, il grande punto di forza della miniserie: non fa riferimento ad un target preciso, abbattendo così pregiudizi e stereotipi contro la comunità LGBTQIA+, mostrando come i problemi affrontati dalle persone omosessuali siano spesso simili a quelli di chiunque altro.

Altro pregio è l’intersezionalismo della trama, poiché sono diverse le tematiche trattate e molti dei personaggi subiscono discriminazioni su diversi livelli. Cleve Jones racconta il rapporto burrascoso con il padre psichiatra che vorrebbe curarlo dalla sua “malattia” e l’emarginazione sociale riservata ai malati di AIDS perché omosessuali; Roma Guy affronta la discriminazione interna ai movimenti femministi che non accettano le donne lesbiche e le difficoltà di creare una famiglia “fuorilegge” perché omogenitoriale. Ken Jones, forse il personaggio più complicato ed intersezionale di tutti, è un soldato gay di colore che al congedo dalla guerra in Vietnam vive una vita “in trincea”: viene discriminato sia nella chiesa che frequenta che tra la comunità nera perché omosessuale mentre tra le persone gay perché nero.

When we rise

Unici difetti della miniserie sono l’impiego di alcuni stereotipi ricorrenti in tutte le serie TV a tematica LGBTQIA+ e la presentazione dei personaggi in maniera disordinata, rendendo in alcuni casi difficile la comprensione della trama. Nonostante ciò i temi che fanno parte del passato diventano e rimangono attuali: l’emarginazione e l’abbandono della società e della famiglia che portano a droga e prostituzione; il desiderio di avere una famiglia in uno stato che non lo permette; la discriminazione a più livelli che incide sulla vita lavorativa così come in quella privata.

When we rise

A mio parere, quindi, “When we rise” merita otto ore del nostro tempo e non solo: con questo progetto i registi cercano di scatenare una più profonda discussione all’interno e al di fuori delle diverse comunità LGBTQIA+, nera e femminista per riflettere sulle nostre origini che spesso diamo per scontato e per capire da dove siamo partiti e dove ancora possiamo arrivare. Quel “We” (noi in inglese) non fa riferimento a noi gay o noi donne o noi neri, ma ad un coinvolgimento più ampio di tutte le minoranze discriminate; è un invito ad unire le forze per dare vita ad un attivismo più intersezionale e meno discriminatorio, volto ad ampliare e coinvolgere tutti al proprio interno.

 

Elisa Zanoni

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