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Nessuno escluso. Durante una crisi, specie se di grandi proporzioni e potenzialmente in grado di cambiare le sorti sociali ed economiche di un Paese, il primo passo da fare sarebbe lavorare tutti insieme per evitare la (possibile) catastrofe. Sarebbe, appunto, al condizionale. Perché – purtroppo – nella realtà dei fatti questo non accade e le persone maggiormente fragili e vulnerabili, che già vivevano una situazione di estrema precarietà, si ritrovano a dover ulteriormente lottare per sopravvivere. Tra di esse ci sono i sex worker.
“Donne, uomini, trans, in strada o in appartamento. Il Coronavirus ha colpito duramente anche il [loro] mondo. E nessuno ne sta parlando».

Mangiare alla Caritas

Gabriella ha 32 anni, vive e lavora a Napoli, e si prostituisce da otto anni.
“Ho cercato altri impieghi, ma nessuno mi ha mai dato una possibilità” spiega tristemente in un’intervista raccolta da Internazionale. “Non ho scelta: qui non si assumono trans, siamo discriminate”.
Come lei stessa ammette, la vita è spesso molto dura. Rapine e aggressioni possono arrivare quando meno te l’aspetti, ma almeno prima si riusciva a mangiare e pagare i 300 euro di affitto mensili. Ora tutto è cambiato e per la prima volta in vita sua Gabriella è dovuta ricorrere ai pasti offerti dalla Caritas.
«Prima della pandemia riuscivo a sopravvivere. Adesso, quando vado in giro, tutti mi evitano come se fossi infetta, come se noi trans fossimo automaticamente delle prostitute e quindi veicolo del virus» sottolinea amaramente la ragazza.

Clienti spariti e nessun aiuto dallo stato

Secondo Andrea Morniroli, coordinatore dello staff del Forum Disuguaglianze Diversità e socio e amministratore della cooperativa Dedalus, la situazione in Italia è a dir poco drammatica.
“Pochi giorni fa ci è stato segnalato un caso di quattro ragazze nigeriane vittime di tratta rimaste chiuse in casa senza cibo, perché la madame non vuole farle uscire per paura che si ammalino” racconta Morniroli, che nella sua intervista a Internazionale ha espresso tutta la sua preoccupazione per il destino delle ragazze vittime di tratta.
“Le prostitute nigeriane sono […] fragilissime, spesso non sanno leggere e scrivere, non sanno accedere a strumenti online e non hanno clienti fissi che le cercano”, il che significa che non solo non possono pagare il debito contratto con i trafficanti ma soprattutto che non possono nemmeno provvedere al loro sostentamento quotidiano.
Diverso – ma altrettanto tragico e pericoloso – il destino delle ragazze dell’est, che spesso vengono costrette a prostituirsi per strada mettendo a rischio se stesse e i loro clienti.
Tutte – comprese le ragazze di origine cinese che in questo periodo non stanno lavorando per timore del contagio – soffrono e patiscono una situazione di precarietà estrema a cui il governo non sembra per il momento intenzionato a rimediare.
“Se l’emergenza virus dovesse durare a lungo, molte persone sarebbero in gravi difficoltà economiche e nessuno le aiuterebbe” riflette Giulia Zollino, educatrice sessuale e operatrice di strada. «Non è ipotizzabile neanche lasciare l’Italia per continuare a lavorare in altre nazioni; il virus è ovunque».

La speranza in una petizione

Come spesso accade, a cercare soluzione ai problemi sono gli attivisti, dal basso. Un esempio in questa direzione viene dall’Associazione Radicale Certi Diritti, che con una petizione online chiede al Governo e al Parlamento di avviare un dibattito serio e costruttivo sulla situazione di lavoratori e lavoratrici sessuali in Italia ai tempi del nuovo Coronavirus.
“Con un documento presentato dalle nostre associazioni e reperibile sul sito certidiritti.org e aperto al sostegno delle associazioni” si legge nel sito, “proponiamo l’istituzione di misure di sostegno economico ai lavoratori sommersi del sex work, la regolarizzazione delle lavoratrici e dei lavoratori sessuali migranti, misure per fronteggiare l’emergenza abitativa delle e dei sex worker (e più generalmente le categorie senza fissa dimora), la sospensione delle sanzioni per il contenimento degli spostamenti ai soggetti che possono dimostrare di non poter ottemperare alle normative per cause forza maggiore, la liberazione per le persone recluse nei CPR”.

La speranza è che l’appello e le proposte in esso contenute non cadano nel vuoto e siano (quantomeno) oggetto di attenzione e di dibattito.
Se poi – come fortemente ci si augura – porteranno anche frutti concreti in termini di aiuti e sostegni economici, si potrà davvero dire che nessuno è stato lasciato indietro dal suo stato.

 

Nicole Zaramella

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