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Molte persone hanno bisogno di psicofarmaci, che sono abbastanza sicuri se prescritti da un medico esperto, che chiede al paziente se stanno facendo l’effetto voluto ed è pronto a cambiarli se così non fosse.
Ma questi farmaci hanno anche degli effetti collaterali di cui non si parla abbastanza: quelli sulla sfera sessuale. I motivi di questo silenzio possono essere vari, ed io, Raffaele Yona Ladu, e la mia amica Roberta Amato, abbiamo deciso di condividere le nostre esperienze con la fluoxetina (un antidepressivo SSRI) e la clozapina (un antipsicotico atipico).
Le nostre esperienze possono essere state condizionate dal fatto che entrambi siamo stati diagnosticati (dopo, accidenti!) con autismo ad alto funzionamento, che impone cautela nella somministrazione di psicofarmaci, in quanto sono più comuni in noi effetti imprevisti o paradossali.

A me, Raffaele, fu somministrata della fluoxetina nel 1994-1996 per trattare uno stato depressivo; sebbene la dose fosse molto bassa (20 mg pro die a regime), già la prima dose (un terzo di quella finale) provocò in me un curioso effetto collaterale: prima ero un tipo a cui bastava pensare ad una situazione erotica, per sentirmi già eccitato a livello genitale – dopo non più.
Ero ancora vergine, e non potei rendermi conto di quello che avrei scoperto dopo, andando finalmente a letto con una ragazza e poi con mia moglie: non sono in grado di venire dentro una donna – posso farlo solo masturbandomi.
Mi è stato detto che, se la possibilità di godere in assoluto non è compromessa, allora il problema non è neurologico – io non riesco a crederci, e temo che la fluoxetina abbia compromesso qualcosa di importante nel mio sistema nervoso, anche perché la possibilità di eccitarmi con il solo pensiero non è più ricomparsa.

Oltretutto, caratteristica di tutti i farmaci SSRI è quella di allungare i tempi dell’orgasmo, tant’è vero che vengono prescritti agli eiaculatori precoci, e le donne che li prendono (le donne sono più soggette a depressione degli uomini) vengono avvertite che avranno maggiore difficoltà e lentezza a raggiungere l’orgasmo.
E quando, una volta sposato, raccontai di questo ad una psicologa, ella mi chiese subito se avevo mai preso psicofarmaci – evidentemente sapeva di questo effetto collaterale di cui poco si parla.
Non solo la disfunzione è stata conseguente alla prima dose del farmaco (nemmeno 7 mg.), ma si sa che quel farmaco produce anche quest’effetto.
Ne ho accennato con lo psichiatra che mi prescrisse la fluoxetina? Sì, ma molto debolmente ed in modo poco convincente per questi motivi:

  1. Viviamo in una cultura sessuofobica, ed anche quando non ci vergogniamo di parlare dei nostri problemi sessuali con il nostro medico, diamo loro minore priorità rispetto al “riacquistare la salute” – come se la vita sessuale non facesse parte di una vita sana;
  2. Masturbarsi è una delle attività socialmente più disapprovate, anche quando compiuta in privato – perciò uno difficilmente si lamenta con il medico che il farmaco che gli ha prescritto gli rende difficile anche il masturbarsi, anche se questo è invece un sonoro campanello d’allarme;
  3. In realtà alla masturbazione ricorrono spesso e volentieri anche le persone che hanno una relazione; come disse un’altra mia amica che si lamentava che la clomipramina (un antidepressivo triciclico) nuoceva alla sua vita sessuale, masturbazione e rapporti sessuali sono indipendenti tra loro – se una persona pur sposata non si masturba, vuol dire che la libido è scomparsa ed occorre capire perché. La normativa “abramitica” sul “non disperdere il seme” è da questo punto di vista una grande sciocchezza.
  4. Le persone che prendono psicofarmaci spesso hanno già una vita sociale compromessa (magari è quello che li porta dallo psichiatra), e possono non avere l’occasione di accorgersi che il farmaco sta provocando loro una disfunzione sessuale – oppure, fatalisticamente dicono: “Se non trovo chi viene a letto con me, a che serve avere degli organi ben funzionanti?”
  5. La fame fa scoppiare le rivoluzioni, l’insoddisfazione sessuale non è meno devastante – e mentre è impossibile dire alla gente: “Imparate a digiunare”, la nostra educazione (più delle donne che degli uomini, va detto) è volta a comprimere il desiderio sessuale, frettolosamente considerato una tentazione o perlomeno una distrazione; pertanto una persona che si vede sessualmente menomata può pensare: “Ecco, finalmente sono come mi vogliono”, e non preoccuparsi del fatto che sta succedendogli qualcosa che potrebbe impedirgli tanto di godere come di procreare.

Lascio la parola a Roberta Amato:
Nell’agosto del 2008, al termine di una delle numerosissime liti con mio padre, prima di qualsiasi diagnosi di neurodiversità ma dopo tre diagnosi psichiatriche diverse e discordi (depressione reattiva, 2003, disturbo borderline, 2008, disturbo n. a. s. [non altrimenti specificato], 2008), fui ricoverata per un ricovero coatto dissimulato per avergli tirato una sedia da ufficio. Aveva proceduto ad un continuo e sempre più intenso triggeraggio [serie di deliberate provocazioni] nei miei confronti, arrivando a chiudersi in casa con me, sottrarmi le chiavi di casa e coprirmi di insulti (egoista, cretina, sei una delusione, chiama il tuo Marco… Marcooo, dopo che aveva strappato dalla parete il telefono con tutta la linea ADSL). Motivo? Quello ufficiale, era impedire la relazione tra Marco e me; capii molto più tardi che era un pretesto accidentale, e che mio padre stava operando su di me lo stesso tipo di violenza psicologica che aveva operato in precedenza su mia madre biologica, di cui avevo appena intravisto l’esistenza e che ho conosciuto soltanto dopo la morte di mio padre, nel 2015, dopo averla rintracciata.
Perché mio padre reagisse così era presto detto: mia madre ed io siamo neurodiverse, con qualche problema di epilessia. Lui aveva già una paranoia grave con dissociazione dalla realtà, e il quadro clinico era aggravato da una fase terminale della Febbre Mediterranea Familiare, di cui, nonostante le cure in seguito alla diagnosi tardiva, è morto.
Comunque sia, il 13 agosto mi ricoverano, la sera, in Diagnosi e Cura, a Parma, e di fatto mi impediscono di telefonare a chicchessia perché il mio telefonino aveva la fotocamera. Mi sono venute le mestruazioni e rimango a sanguinare un’ora e mezza, senza gonna, che avendo la coulisse mi era stata tolta per impedire che mi impiccassi. Nel frattempo mi viene fatto un prelievo, eseguito un elettrocardiogramma e amministrata una terapia sedativa, en e valium, che, nonostante mi facciano barcollare, non mi impediscono di parlare col dottore e dirgli che mi sta detenendo illegalmente. Lui per tutta risposta mi dice di stare calma e che non ci metterà niente a convertire il mio ricovero in un TSO vero. Fatto sta che NON lo fa, e all’indomani, 16 agosto, sono ricoverata a Villa Maria Luigia.
Dove inizio una terapia consistente nella somministrazione di 10 mg pro die di olanzapina, aumentati dopo i primi 5 gg a 20. Mi rifanno l’ecg e i prelievi. E poi un medico palestinese mi visita e si accorge di un “colpo d’unghia” alla papilla dell’occhio destro. E ipotizza la FMF [Febbre Mediterranea Familiare, detta anche Polisierosite Parossistica Familiare] e dice che, uscita di lì, si testino me e i miei familiari. Ok. La terapia con l’olanzapina è un incubo. Mi tolse completamente la sensibilità alla bocca, il gusto per i sapori. Formicolio alle labbra e lingua attaccata al palato, cavo orale asciutto.

Mio padre, bontà sua, concesse a Marco di venirmi a trovare. Il mio desiderio (avevo cominciato da poco la mia vita sessuale: a 28 anni quasi 29 appena da 3 mesi) era ancora lì, tutto e intero; ma era come se non avesse mezzi né per esprimersi, né per avere sensazioni. Alessitimica e anestetizzata a livello corporale. Avrei voluto urlare e non potevo. Sputare in faccia a mio padre che mi aveva fatta ricoverare e non potevo per via della salivazione azzerata. Gustare i cibi che mi portavano, e non potevo. Godere dei momenti di intimità con Marco, che, al contrario di me che avevo l’eccitazione artificialmente relegata in un fondo coscienziale inattingibile, così come la sensorialità e il desiderio, che restava inespresso, era eccitatissimo dalla mia passività. Riuscì a chiudersi nel bagno della mia stanza, una doppia che dividevo con un’anziana coi sintomi iniziali di una demenza senile, tre volte, farmi inginocchiare e ficcarmi il pene in bocca e dirmi: ma succhi male, troia, cosa ti succede? Aaaaa, sì, così, troietta dolce… spingendomi la testa sino a farmelo entrare sino in gola. In giardino mi immobilizzò contro un muretto e lo facemmo sdraiati sulle foglie degli alberi, una cosiddetta sveltina brutale, a cui non mi opposi. Volevo dirmi che mi faceva male, ma sarebbe stata una bugia: i genitali erano completamente anestetizzati. Soltanto i giorni dopo, quando tentai di masturbarmi, scoprii che non reagivano, e che i graffi provocatimi tre giorni prima da quel rapinoso rapporto sessuale non dolevano. Cercai di odiarlo e di piangere ma non ce la feci. Di odiare me stessa, ma una pressione mi riempiva le orecchie. Scoprii che era ritenzione idrica. 66 kg per me che ne pesavo 58. Ed era solo il 26 di agosto.

Per fortuna, mio padre, forse con una resipiscenza, mi fece uscire dalla clinica. Non appena a casa, gettai la prescrizione di olanzapina, e in un mese tornai del mio peso; in tre alla normalità sensoriale. In un anno a quella psicologica, tanto che per un anno volli sempre di più, e più rischio di dolore, nel rapporto sessuale, ingenerando un loop in cui io raggiungevo l’orgasmo dopo una sollecitazione forte e/o dolorosa, lui si eccitava e la raggiungeva anche lui, e sempre di più, finché mi disse non mi ecciti più. È come gettare un salame nel corridoio. Dopo queste parole mi vendicai di lui, e mi caddero i veli che l’affetto che gli portavo, il senso di colpa di cui mi ero caricata dato che mio padre non lo aveva mai accettato e per il fatto di non essere stata mai innamorata di lui, nonostante lo amassi tanto.
Gli feci altrettanto male. Una volta sola.
E finì la mia esperienza BDSM casareccia e la mia anomalia causata (anche) dall’olanzapina.

 

Raffaele Yona Ladu & Roberta Amato
Ebreo umanista gendervague
Socio di Autistic Self-Advocacy Network
©2018 Il Grande Colibrì

 

Post scriptum di Raffaele Yona Ladu:
il 22 settembre 2018 ho letto due articoli sull’uso dell’MDMA (più nota come “ecstasy”) nel trattamento delle persone con disturbi dello spettro autistico.
Il primo articolo (L’ecstasy trasforma dei polpi antisociali in amorevoli ed affettuosi compagnoni – proprio come noi) è un esperimento fatto su due polpi – generalmente incontrano i loro simili solo per l’accoppiamento, ma la somministrazione di MDMA ad uno dei due lo ha reso socievole in modo quasi umano. La spiegazione che viene data era che l’MDMA favorisce il rilascio di serotonina, nelle sinapsi umane e perfino di quelle dei polpi, che pure hanno una distanza evolutiva da noi di oltre 500 milioni di anni.
Un altro articolo (Riduzione dell’ansia sociale negli adulti autistici dopo una psicoterapia assistita dall’MDMA: uno studio pilota randomizzato, a doppio cieco, con un gruppo di controllo a cui si è somministrato un placebo) parla di un piccolo studio su 12 persone autistiche a cui sembra la somministrazione di MDMA nel contesto di una psicoterapia abbia giovato più della psicoterapia con un placebo.
I due studi vanno presi con le pinze: quello sugli umani era di soli 12 soggetti (ad 8 fu somministrata l’MDMA, a 4 il placebo), e per questo viene chiamato “studio pilota” – andrà ripetuto diverse volte con un maggior numero di soggetti per capire se l’MDMA è d’aiuto o di danno, ed a quali dosi.
Quello sui polpi ha ulteriori limitazioni: non solo c’erano solo due polpi, e ad uno solo di essi è stata somministrata l’MDMA per vedere se preferiva giocare con un pupazzetto oppure interagire con l’altro polpo nella vasca accanto (i polpi sobri e le persone autistiche preferiscono l’oggetto inanimato al loro simile), ma non sappiamo abbastanza dei polpi per sapere se possono avere comportamenti autistici.
Ci sono degli ultra-no-vaxx che si rifiutano di vaccinare cani, gatti e cavalli per paura che diventino autistici, ma non solo è stato provato che i vaccini con l’autismo non c’entrano, ma i disturbi del comportamento di questi mammiferi sono noti da molto tempo, e tra essi non c’è l’autismo – non prendete sul serio la battuta “i gatti sono cani autistici”, anche se a noi autistici gattari e scontrosi piace ripeterla.
Gli esperimenti su animali sull’autismo di solito si fanno sui topi, soprattutto per la facilità di reperirli e strapazzarli, ed estrapolarne i risultati dai topi all’uomo non è comunque semplice – e la distanza evolutiva stimata tra uomini e topi è di 96 milioni di anni, non oltre 500 come nel caso dei polpi.
Infatti, l’esperimento sui polpi è stato commentato così dalla neurofarmacologa Alli Feduccia della Multidisciplinary Association for Psychedelic Studies a Santa Cruz, California: “Se [un polpo] non è un modello di autismo, è un modello di ansia sociale. Non so se [l’ansia] arriva fino a diventare un disturbo nei polpi, ma a loro piace star soli. Non so che possiamo imparare sugli umani con questo modello di MDMA che non conosciamo ancora”.
Diffido le persone dal procurarsi MDMA da uno spacciatore nel tentativo di curare la propria ansia sociale – non si può sapere la percentuale di MDMA effettivamente presente in quello che comprate, e se è stata sofisticata con sostanze tossiche. Se si dimostrasse effettivamente utile, vi conviene aspettare il momento in cui potrete acquistarla in farmacia con ricetta medica.
Devo però avvertire che il meccanismo d’azione dell’MDMA è simile, ma più violento, a quello degli antidepressivi SSRI di cui mi sono lamentato all’inizio dell’articolo – aumentano la quantità di serotonina all’interno delle sinapsi. C’è quindi il rischio di spiacevoli interferenze nella sfera sessuale, a cui occorre stare attenti, e di cui parlare immediatamente con il medico.

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