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Una delle cose che mi ha spinto a scrivere per un portale come Io Sono Minoranza è proprio quell’implicito riconoscimento per cui chiunque può sentirsi minoranza almeno qualche volta nella propria vita. Ciascuno di noi infatti incarna dei ruoli oppure possiede delle caratteristiche che possono discostarsi dalla norma.
Un noto antipsichiatra italiano (Basaglia ndr) parlava a tal proposito di maggioranza deviante, proprio per evidenziare come la normalità sia in realtà un mantello dietro il quale si nasconde un caleidoscopio di differenze. È solo un affare ‘politico’ se alcune di queste differenze giungono a essere riconosciute oppure se vengono ignorate, relegate al ruolo di caratteristiche personali secondarie.

La vita di ciascuno di noi è costellata di momenti in cui riuscire a nominare le proprie esperienze ha rappresentato una fase di svolta, soprattutto quando il mondo intorno ci intimava di tacere.
Con il tempo ho imparato a dare un nome socialmente accettabile a molte mie stranezze e difformità. Se lo farete anche voi, sono sicuro, ne uscirà una lista lunghissima.
Da quando vivo a Madrid ho iniziato a frequentare un gruppo di persone che si riconoscono sotto l’acronimo di P.A.S. (Persone Altamente Sensibili), il cui tratto principale è per l’appunto costituito dall’alta sensibilità emozionale. Persone insomma accomunate da una capacità di sentire, vivere e sperimentare le emozioni in maniera intensa: un tratto comune con caratteristiche specifiche che riguarda una minoranza, seppur consistente, di persone.
Una PAS sente tutto in maniera amplificata. Il che vuol dire: poter godere più intensamente delle cose, ma anche essere più esposti ai turbinii emozionali. Questa amplificazione della sensibilità interessa la persona nella sua globalità. Afferisce, dunque, alla sfera strettamente emotiva e relazionale, ma anche sensoriale. Così che una PAS si caratterizza anche per la minore tolleranza agli stimoli forti (luci intense, rumori) e per il suo stancarsi rapidamente, esaurendo le forze con più facilità.
Ovviamente, l’alta sensibilità interessa anche l’aspetto cognitivo, il modo in cui la persona pensa e ragiona. Una PAS di solito ha pensieri profondi e intensi come gli stati affettivi a cui questi pensieri sono legati.
Essere ipersensibili è una caratteristica specifica, sebbene ancora non riconosciuta, che influenza complessivamente la personalità dell’individuo, vincolandola a certi ritmi. Per fare un esempio, le PAS sentono spesso il bisogno di intervallare la socialità con momenti di solitudine, per ricaricarsi dalle fatiche che comporta la stimolazione sociale.
Si tratta di caratteristiche perlopiù misconosciute, che rendono quindi spesso disagevole il cammino delle persone sensibili, esposte, come sono, a un continuo giudizio sociale negativo.

 

Il rifiuto sociale della sensibilità. Ricordi personali

Raccontarsi è un piacere e al contempo un onere. È un modo per ripensare la propria storia, condividere esperienze, comprendersi meglio. Se ci si situa all’interno di un destino comune, però, raccontare è anche un gesto di responsabilità. Qualcosa che esprime in forma biografica ciò che va oltre il personale, evidenziando i nessi tra noi e gli altri.

Da bambino non amavo i giochi violenti. Spesso me ne chiamavo fuori e questo mi rendeva inviso al resto del gruppo. Non amavo partecipare a quegli atti di crudeltà gratuita a danno degli animali, comuni tra i maschi della mia età. Tantomeno amavo canzonare gli altri, com’era in uso a scuola. Un gioco diabolico in cui si individuava di volta in volta l’anello debole della catena per rafforzare il senso comune del gruppo, in quella ricerca di un bersaglio posta a fondamento del proprio stare insieme. Lo trovavo stupido e pericoloso. In fondo, il ruolo ingrato di vittima poteva capitare a tutti e questo generava uno stato di ansia permanente.
Puoi sguazzare quanto vuoi in una piscina o in un acquario, ma prima o poi se avveleni l’acqua nella quale stai nuotando, finirai per avvelenare anche te stesso.

Per tutta l’infanzia – spesso per tutta la vita – una persona sensibile si sente ripetere quello che non va in lei in continuazione. Se è maschio in una società rozza e maschilista, verrà tacciato di debolezza; se sente appieno il senso di responsabilità o si interroga a fondo sulle cose, verrà irriso perché si fa troppe domande.
La società non è pronta a gestire le diversità, fossero anche quelle caratteriali, e i genitori di frequente si rendono complici di errori educativi senza rendersene conto.

Insomma, mai ero riuscito a entrare in certe logiche sociali che miravano a far del male al prossimo né ad aderire alla mentalità maschilista che mi circondava.
Quando alle medie il branco dei maschi decise compattamente di votare uno di loro come rappresentante di classe, io mi ero schierato dalla parte dell’unica ragazza candidata. Implicitamente riconoscevo l’ingiustizia di un’esclusione basata solo sull’appartenenza di genere e non volevo esserne complice. Con questo gesto avevo firmato definitivamente la mia condanna all’isolamento, ma avevo comunque deciso di farlo.
La sensibilità dettava il mio codice morale e io ne riconoscevo l’importanza, anche se intorno nessuno sembrava accorgersene.

 

Ivan

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