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Il non binarismo di genere è un aspetto della mia Identità che io per prim@ sto faticosamente cercando di indagare.

Pur avendo piena coscienza del mio non essere e di conseguenza del mio non volermi definire come appartenente a un genere univoco, mi è spesso capitato di credere che il desiderio di conoscermi a fondo fosse in realtà una pretesa disperata.

A rimettere tutto in discussione e a sciogliere almeno in parte i dubbi e le perplessità che da un po’ di tempo a questa parte sembrano essere diventati i miei (in)discreti compagni di viaggio ci ha pensato Gianluca Evangelista, studente di Psicologia Clinico-Dinamica presso l’Università degli Studi di Padova e impegnato nella stesura di una tesi di laurea magistrale incentrata proprio sul non binarismo di genere.

Grazie a lui e alla sua grande disponibilità e pazienza, ho potuto sondare e comprendere meglio numerosi aspetti del mio carattere e della mia personalità, allargando poi il confronto a una realtà decisamente più vasta e articolata.

In cuor mio, spero vivamente che questa conversazione – per forza di cose avvenuta a distanza – possa essere utile a qualcun* tanto quanto lo è stata per me.

Gianluca, la nostra conoscenza e, mi auguro, la nostra futura amicizia nascono grazie a un questionario dedicato allo studio del non binarismo di genere e alla sua percezione all’interno della società italiana. Le risposte, tutte trattate in forma anonima come specificato nel modulo, entreranno a far parte di una ricerca molto più ampia e articolata di cui renderai conto nella tua tesi di laurea. Se sei d’accordo, ti chiederei di partire proprio da qui e di proporci una piccola analisi dei punti fondamentali dell’indagine che stai portando avanti.

L’argomento centrale della mia ricerca sono le identità di genere fluide e non binarie, rappresentate dal costrutto “Genere non Binario”. Con quest’ultimo termine – che ci tengo a precisare utilizzo io all’interno di questa mia specifica ricerca – si intende la possibilità per un essere umano di considerare la propria Identità di genere come né maschile né femminile, bensì posizionata all’interno di un continuum di cui femminile e maschile rappresentano le estremità.

Andando più nello specifico, posso dirti che la prima parte della mia tesi è dedicata a un’analisi e a una descrizione dell’ampia panoramica di proposte che la scienza e la società italiana hanno offerto alla possibilità di collocarsi appunto in un genere non binario.

La seconda parte del mio elaborato riguarda invece una ricerca che io stesso sto cercando di condurre e che si pone come obiettivo quello di osservare e descrivere come la questione del non binarismo di genere si configuri all’interno della società in oggetto, ovvero quella italiana.

Per rendere più chiaro quest’ultimo punto, potrei dire che parto e mi baso sul presupposto secondo cui il Genere non è una realtà oggettiva, ma un costrutto prodotto dal Linguaggio, inteso come mezzo per costruire quella che chiamiamo e/o che definiamo realtà.

Il fine ultimo del mio studio è quindi l’analisi dei discorsi compiuti sulla realtà “Genere non binario” e l’impatto che possono potenzialmente avere all’interno della comunità di appartenenza, nella quale potranno in seguito essere pensati e predisposti degli interventi mirati alla promozione della salute.

Quali sono le motivazioni che hanno guidato questa tua scelta e quali difficoltà hai incontrato nello svolgimento della tua ricerca?

La decisione di affrontare e proporre una ricerca sul non binarismo di genere e le questioni a esso collegate è stata ispirata da numerosi fattori.

In primo luogo, posso dirti che l’idea che una persona abbia la possibilità di collocarsi in un genere che non sia né maschile né femminile mi interessa davvero molto.

Viviamo in un periodo storico caratterizzato da grandi cambiamenti, sia scientifici che legati al cosiddetto “senso comune”, e il non binarismo di genere è una tematica che coinvolge e incuriosisce particolarmente l’uomo contemporaneo.

Al contempo, la scelta di fare di questi temi il fulcro della mia ricerca è derivata anche da una presa di coscienza profondamente collegata alla realtà circostante.

In questi ultimi anni abbiamo infatti assistito a una profonda evoluzione della nostra società, all’interno della quale sono avvenuti dei cambiamenti davvero molto significativi. Pensa ad esempio al Disegno di legge Cirinnà del 2016, che non solo introduce le unioni civili per le coppie dello stesso sesso in Italia, ma riconosce e regolamenta le coppie di fatto sia etero che omosessuali per la prima volta a livello nazionale.

Volgendo lo sguardo al mondo dell’istruzione, non ti sarà di certo sfuggito l’infuocato dibattito che si è scatenato intorno alla proposta di introdurre nell’offerta formativa degli istituti italiani anche alcune ore di lezione dedicate all’educazione alla sessualità e all’identità di genere e subito ricollegate alla famigerata “teoria del gender”.

Ecco, parliamone!

Con il termine “teoria del gender” si è soliti fare riferimento all’insieme di argomentazioni e ragionamenti veicolati e diffusi da alcuni esponenti di gruppi cattolici a partire dalla fine degli anni ’90/inizio 2000.

La principale opinione di questi gruppi – tra cui possiamo certamente citare le ormai celeberrime Sentinelle in piedi o i non meno agguerriti Amici di Lazzaro – è che all’interno della nostra società siano presenti quelle che loro stessi hanno ribattezzato “lobby LGBT”.

Queste lobby, a loro avviso, starebbero cercando di infiltrarsi in ogni angolo del nostro mondo per promuovere e imporre l’idea secondo cui non esistano le differenze sessuali e che il genere sia un prodotto culturale.

Partendo da questo assunto, i gruppi anti-gender hanno dunque avviato numerose campagne di “informazione” per dimostrare come la politica, le istituzioni e soprattutto le aule scolastiche rischino di diventare (o siano addirittura già diventate) dei luoghi pregni di ideologia e fanatismo LGBT.

Le loro mobilitazioni hanno ottenuto negli anni una risonanza sempre maggiore e hanno purtroppo contribuito a generare una certa confusione sul tema.

Gli effetti peggiori si vedono tutt’oggi nel mondo della scuola, dove gli esempi di opposizione alla “teoria del gender” si sprecano ormai da anni.

Un esempio in questo senso può essere fornito ricordando quanto successo a Venezia, dove il neo eletto sindaco Luigi Brugnaro decide di ritirare dagli istituti scolastici della sua città i 49 libri gender colpevolmente proposti ai più piccoli dalla precedente Amministrazione.

Appena qualche mese dopo, proprio qui a Padova, la filosofa e deputata PD Michela Marzano si è vista negare la possibilità di presentare il suo libro Papà, mamma e gender in una sala di Palazzo Moroni già regolarmente prenotata.

Stando alle motivazioni espresse dal sindaco Massimo Bitonci, l’iniziativa promossa dalla sezione dell’Arcigay locale sarebbe infatti stata in netto contrasto «con l’indirizzo programmatico dell’Amministrazione Comunale», che come ricorderai bene rifiutava in toto qualunque forma di “ideologia gender”.

Per ricollegarmi alla tua domanda precedente, posso dirti che in effetti uno dei maggiori ostacoli che ho incontrato nello svolgimento della mia tesi è proprio quello della diffidenza.

Talvolta mi è infatti capitato di sentirmi dire che con questa mia ricerca starei facendo ideologia e la cosa mi ha piuttosto stupito, soprattutto quando le critiche sono arrivate da persone che –a livello professionale – dovrebbero far parte della comunità scientifica.

In realtà, il mio obiettivo è semplicemente quello di promuovere la salute e il benessere delle diverse identità che compongono l’ambiente sociale di cui noi stessi facciamo parte, e che spesso vengono purtroppo lasciate ai margini.

La confusione e il pregiudizio di certo non aiutano a instaurare un dialogo costruttivo… quali pensi possano essere le motivazioni che spingono la stessa comunità scientifica a mostrarsi così refrattaria nei confronti di queste tematiche?

Per buona parte il problema nasce da una conoscenza ancora poco approfondita di determinati temi e teorie.

Non è da molto che si è cominciato ad affrontare argomenti di per sé piuttosto ostici come la costruzione dell’identità di genere e la possibilità di ri-costruire la propria fisicità avendo come obiettivo il raggiungimento di un corpo il più possibile vicino alla visione ideale.

Un grande aiuto alla comprensione e alla conoscenza di queste tematiche ci viene per esempio offerto da Judith Butler, filosofa post-strutturalista e autrice di alcuni importantissimi volumi dedicati alla politica, all’etica e alle questioni di genere.

Insieme a Simone De Beauvior, Butler è anche una delle maggiori “nemiche” dei gruppi cattolici a cui facevo riferimento poco sopra, che considerano entrambe delle «madri fondatrici di un’ideologia scellerata».

Un po’ più recente, ma non per questo meno importante, è il lavoro della psicologa inglese Christina Richards, che insieme al collega Walter Pierre Bouman ha da poco dato alle stampe un volume significativamente intitolato Genderqueer and Non-Binary Genders.

In esso, Richards e Bouman – supportati da un vasto numero di esperti tra cui assistenti sociali, chirurghi, avvocati, endocrinologi e psichiatri – cercano di proporre un lungo excursus sulla storia, le teorie accademiche e gli aspetti giuridici collegati alle identità di genere non binarie e gender nonconforming.

All’interno della pubblicazione, gli autori inseriscono anche alcune preziose linee guida utili a chi si trovi a lavorare con individui che si riconoscono in un’identità di genere non binaria. In ultimo, ampio spazio viene altresì dedicato agli aspetti più strettamente collegati al corpo e alla possibilità di modificarlo anche grazie alle sempre più numerose possibilità offerte dalla chirurgia.

Insomma, le possibilità di ottenere informazioni di certo non mancano…!

In effetti, no!

Quello che conta è cercare di mantenere vivo l’interesse nei confronti di tematiche vicine ai bisogni della comunità.

Occorre inoltre ricordare – e ci tengo a sottolinearlo – che da un punto di vista ontologico il genere in realtà non esiste.

E non esiste perché non è oggettivabile.

Pensa per esempio alla tua mano: essa “esiste” perché la puoi percepire con i cinque sensi.

La puoi vedere, toccare, la stai usando proprio in questo momento per scrivere il tuo articolo: non vi è ombra di dubbio che esista.

Non così per il genere, che è invece un costrutto, una mappa che tutti noi utilizziamo per rappresentare una realtà che altrimenti non saremo in grado di osservare.

Così come la psiche è un costrutto rappresentato da diverse teorie che ne descrivono e ne avvalorano l’esistenza, anche l’identità di genere si configura come un costrutto prodotto dal Linguaggio, che come ti spiegavo in precedenza è il mezzo utilizzato per costruire quella che chiamiamo e/o che definiamo realtà.

Non nasciamo con un’identità di genere definita.

Il nostro “essere” e la nostra identità si formano interattivamente e si consolidano mediante i significati che attribuiamo alle esperienze che facciamo e tramite il processo di educazione e socializzazione che riceviamo.

Ecco perché a mio avviso sarebbe fondamentale promuovere delle iniziative che coinvolgano l’intera società e forniscano a genitori, insegnanti e agli stessi bambini e ragazzi gli strumenti necessari a capire e a comprendere l’esistenza delle differenze di qualunque tipo, abituandoli e guidandoli a valorizzare la diversità senza rifiutarla e senza nemmeno azzerare o dimenticare il proprio modo di essere.

Se adeguatamente realizzata, questa idea potrebbe davvero rivelarsi un’ottima risposta a molte criticità della scuola italiana, penso ad esempio al fenomeno del bullismo.

Che dire? Hai proprio ragione da vendere, in effetti! Già che si parla di mondo dell’infanzia, ne approfitterei per sottoporti un ultimo e molto personale quesito. Da un po’ di tempo a questa parte sento dentro di me due “spinte” fra loro molto contrastanti. Da un lato ci sarebbe infatti la volontà – forse legata al mio lato più maschile – di scegliere un’esistenza e un futuro libero e privo di legami importanti. D’altro canto, da un po’ di tempo a questa parte sento molto forte in me il desiderio di avere dei figli, con o senza un/una partner accanto. Come credi si possa spiegare questo aspetto per me così strano e particolare?

Prima di rispondere a questa tua domanda, ci tengo a fare una piccola premessa.

Innanzitutto, tieni presente che non conoscendoti ancora di persona non posso dare risposte, diciamo così, del tutto complete.

Tieni inoltre presente che le mie considerazioni sono quelle di un laureando magistrale in Psicologia fortemente vicino agli studi di genere, e che quindi non possono essere equiparate a quelle di uno psicologo già abilitato.

Quelle che mi proponi sono infatti tematiche complesse che meritano di essere approfondite accuratamente, quindi ti prego di considerare queste mie parole solo come un punto di partenza per una futura e più minuziosa analisi.

Detto questo, tieni anche presente che in psicologia non esistono regole o leggi universali, non c’è insomma una relazione di causa-effetto, ragion per cui non si tratta di un aspetto a cui bisogna trovare una “spiegazione”.

Poco fa mi parlavi per esempio delle tue origini italo-etiopi chiedendomi se il fatto di essere – come tu stess@ ti definisci – un meticcio avesse una qualche correlazione con la tua identità di genere non binaria.

Ecco, anche in questo caso la risposta non sarebbe univoca, nel senso che molto dipende dal tuo vissuto e da come tu stess@ e l’ambiente che ti circonda avete plasmato il tuo essere e ha dato vita e senso alla tua storia personale.

Noi esseri umani non siamo macchine, non ragioniamo attraverso moduli precostituiti, non abbiamo la soluzione preconfezionata a tutti i nostri problemi.

Scopriamo le cose poco a poco.

Con pazienza, magari anche attraverso un piccolo lavoro di ricerca intrapreso con al fianco la persona giusta, anche tu riuscirai a comprendere meglio ciò che sei e conoscerai parti di te stess@ che finora non hai esplorato.

Ricordati poi – e qui torno alla tua domanda iniziale – che ritenere “maschile” il tuo lato più refrattario alle relazioni serie e “femminile” quello che invece ti spinge a legarti stabilmente a qualcun* e addirittura a desiderare dei figli, è un pensiero binario derivante da aspetti socio-culturali a cui tutti siamo sottoposti.

Tuttavia non sta scritto da nessuna parte che l’uomo debba essere per forza libero e, per così dire, privo di un centro e che la donna debba invece essere naturalmente predisposta all’accudimento e alla cura.

Si tratta di dualismi che ci siamo abituati a impiegare, come mente/corpo, natura/cultura e molti altri.

Molto spesso è vero l’esatto contrario.

Ricordati inoltre che vivere delle contraddizioni è un elemento a cui non bisogna per forza trovare una soluzione.

Come ho scritto anche all’interno della mia tesi, se fossimo privi di contraddizioni dovremmo credere che le persone abbiano un’identità stabile, statica nel tempo mentre sappiamo che scientificamente parlando non è affatto così.

 

Nicole Zaramella

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