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Due giorni fa Marco ha cominciato il suo ultimo anno di superiori. «Se fossi rimasto a casa probabilmente non sarei mai arrivato al diploma. Adesso lo so, ma è stato difficile», ragiona a voce alta. Due occhi neri pieni di luce che alternano slanci e timidezza, Marco aveva undici anni quando ha lasciato «casa», dove la situazione era diventata insostenibile, per andare in comunità. Ma è negli ultimi 15 mesi che la sua vita ha avuto un cambiamento imprevisto: «ormai convinto che non sarebbe più stato possibile», ha trovato una famiglia che si prendesse cura di lui. E da giugno dell’anno scorso è stato affidato a una coppia di uomini gay: Massimo De Trovato, 40 anni, e Alessandro Savona 47, palermitani come lui. Il suo è uno dei pochi casi noti in Italia di affido a omosessuali: se ne è cominciato a parlare a novembre scorso, quando il Tribunale di Bologna ha affidato una bambina a una coppia di uomini; ma è successo anche a Torino, Genova, Roma e Milano. Marco però è il primo ragazzo che, essendo appena diventato maggiorenne, può raccontare cosa significa essere accolto da una famiglia gay.

«Io non conoscevo niente di questo mondo. E all’inizio non ci volevo andare» ammette seduto sul divano del bed & breakfast che Massimo e Alessandro gestiscono nel centro di Palermo. I fratelli di Marco, che sono molto più piccoli di lui, avevano trovato già da tempo delle famiglie affidatarie. Ma per gli adolescenti è molto più difficile: «Alla casa famiglia me lo hanno detto senza mezzi termini: “Rassegnati, per te non ci sono speranze, nessuno ti prenderà più”. Ma hanno aggiunto che invece c’era questa coppia di uomini… Io ho capito subito che erano gay e ho detto di no. Poi però ho pensato: conosciamoli. Se avessi visto che anche solo uno dei due era effeminato, non ci sarei mai andato», si giustifica.

Non è successo: «Ho scoperto che i gay non sono come in tv. Cosa fanno la notte è una questione privata: di giorno sono persone normali», aggiunge con un sorriso. Dei motivi che gli hanno impedito di vivere con suo padre e sua madre, Marco non parla. «A casa c’erano problemi», si limita a dire. Sua mamma così si è rivolta ai servizi sociali per andare via: «All’inizio io e i miei fratelli siamo andati in comunità con lei. E ci hanno fatto allontanare da mio padre, anche se io con lui ho un rapporto bellissimo. Poi mia mamma dopo un anno e mezzo è uscita». Ha trovato un lavoro e un appartamento dove stare, mentre Marco è rimasto in una casa famiglia con i fratellini. «Quando se ne è andata è stato difficile – racconta –. Da piccolo avevo nove in condotta, ma due e tre nelle altre materie. Lì ho capito che l’unica persona a cui potevo aggrapparmi era me stesso. Ho pensato: quando esco da qui devo lavorare, mi serve il diploma. E mi sono messo a studiare». Ne ha cambiate tre di comunità: «Ogni volta che arrivavo in un posto nuovo facevo fatica a dormire». E a volte la convivenza con gli altri ragazzi era difficile. Ma Marco ha sempre cercato di non dare problemi: «Non volevo che se mi comportavo male mi portassero lontano dai miei fratelli».

È con questo bagaglio che è arrivato a casa di Massimo e Alessandro, il 17 giugno dell’anno scorso. «Abbiamo iniziato con un affido parziale, stava con noi qualche ora al giorno, poi tornava in comunità», racconta Alessandro. «Il primo giorno mi hanno fatto vedere l’appartamento e la camera, poi mi sono addormentato sul divano», dice ridendo Marco. Da dicembre, dopo le necessarie verifiche dei servizi sociali, l’affido è diventato a tempo pieno: Marco ha iniziato a vivere con loro. «La scelta l’ha presa anche mia mamma, li ha conosciuti e ha detto: mi piacciono, sono d’accordo», assicura.

Adesso tutti e tre hanno la familiarità di chi condivide il quotidiano. «Con Ale mi piace studiare – dice Marco, interrompendo le proteste dei due adulti che mostrano di essere increduli –. Soprattutto come mi spiega il francese. Sui film invece abbiamo gusti diversi». Massimo ha cercato inutilmente di comunicargli la passione per il cinema d’autore. «Ma lui guarda solo quella robaccia d’azione», si lamenta. Anche su altre cose non si trovano: «Io voglio le cose stirate, mentre loro non stirano – dice Marco –. Allora ci penso io, tanto mi piace». E Massimo e Alessandro hanno dovuto fare qualche aggiustamento: «È stata un’invasione: non eravamo abituati ad avere un adolescente in casa, il rumore sano della quotidianità – ammette Alessandro –. Io sono figlio unico, cresciuto tra i libri». Spesso da loro ci sono anche i compagni di scuola di Marco: «A nessuno importa che siano due maschi. L’importante è che siano persone per bene», garantisce il ragazzo.

A settembre scorso c’è stata una nuova udienza dal giudice: «Ci hanno chiesto cosa volevamo fare. Lo stesso hanno fatto con lui, separatamente – racconta Massimo –. Noi non lo sapevamo, ma c’era già pronta un’altra famiglia». Invece Marco ha scelto di restare per altri due anni, anche se ora è maggiorenne. «Stando con loro ho molte più possibilità – dice candidamente –. E questa per me è una forma di famiglia, loro rimarranno sempre un punto di riferimento». A sentirlo Massimo e Alessandro si allargano in un sorriso. «Ci ha già chiesto: ma io quando mi sposo mi fate da testimoni?», racconta Massimo e il tono, come sempre quando parla di lui, si addolcisce. Ma ci tiene a specificare che, anche se sono famiglia, lui e Alessandro non sono i genitori di Marco: «Ce lo hanno anche chiesto come ci si sente da neo-papà – afferma Massimo –. Ma noi non siamo i suoi padri, siamo persone che hanno fatto un percorso di affido, che è ben diverso dall’adozione. Il padre e la madre Marco ce l’ha già. E li vede almeno una volta a settimana, come i fratelli».

Il resto è una pagina bianca ancora tutta da scrivere: «Non vedo l’ora di diplomarmi: l’anno prossimo vorrei partire, andare a lavorare fuori», dice Marco, che è iscritto all’alberghiero e quest’estate ha già fatto un’esperienza come aiuto cuoco in un ristorante. «La passione per la cucina me l’hanno fatta venire i racconti di mio padre, che ora fa il venditore ambulante ma prima era chef sulle navi. L’altro sogno sarebbe entrare nell’esercito. Ma più di tutto spero di diventare autonomo presto. Magari con una ragazza accanto. Non voglio più che nessuno mi dica cosa devo fare», confessa. «Se Marco domani decide: bene, devo andare per la mia strada, noi dobbiamo amarlo così — sospira Massimo —. Il suo futuro però me lo auguro bello. Gli diciamo sempre che quello che ha fatto sua mamma lo ha fatto per garantirgli qualcosa di meglio. Io credo che ci sia riuscita».

 

Elena Tebano

fonte: 27esimaora.corriere.it

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