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Sabato migliaia di donne e uomini hanno camminato per la città di Roma in occasione della manifestazione contro la violenza di genere organizzata dal movimento femminista Non una di meno.
Io per varie ragioni sono rimasta a casa, con la mia vita violenta e il mio corpo che lentamente si risveglia da anni di sepoltura sotto macerie pesanti. Quali? Quelle delle relazioni di potere, quelle delle convenzioni imprigionate da una mentalità patriarcale, quelle delle condizioni materiali sfavorevoli allo sviluppo libero dell’individuo.

Giornata contro la Violenza sulle Donne

‘Qualcosa non ha funzionato’, Foto di ©Luigi Cuomo

Nella mia città, Avellino, sono state numerose le iniziative sul tema, ho partecipato ad alcune, ad altre no cercando di trovare risposta alle tante domande che mi pongo ogni giorno, cercando un modo diverso di trattare un tema così delicato e purtroppo così importante.
Grandi spunti di riflessione sono sorti da intense conversazioni con gli attivisti della rete SOMA- Solidarietà e Mutualismo Avellino, ma la risposta più convincente con mia grande sorpresa l’ho trovata nel teatro dell’Associazione culturale Vernicefresca, con cui da qualche tempo collaboro. Ammetto di aver accettato di vedere lo spettacolo “Qualcosa non ha funzionato” per amicizia e stima verso i colleghi che ci avevano lavorato per tanto tempo. L’idea di uno spettacolo contro la violenza sulle donne non mi piaceva affatto e nei giorni precedenti escogitavo modi per dire ai miei amici “siete bravi, ma mi spiace lo spettacolo non mi è piaciuto” e invece… Quattro attori, due donne e due uomini che diventano l’archetipo del maschile e del femminile, ci raccontano il potere nelle relazioni con gesti fluidi, sguardi intensi, parole scelte con cura. Piuttosto che contrastare la violenza tentano di comprenderla, di sviscerarne la complessità al di là degli stereotipi. Lo fanno con dolcezza, con delicatezza. Ci sono molte donne e molti uomini, infatti, che di fronte alla violenza non provano rabbia distruttiva, si indignano solo il giusto per prendere le distanze. Ci sono tante persone che non credono nel sistema giudiziario punitivo, che non dividono il mondo in vittime e carnefici, ci sono persone che non condannano i violenti, ma cercano di comprendere i meccanismi che innescano le relazioni violente. Per queste persone la violenza nasce dalla rabbia, dalla solitudine, dalla fragilità, dalla paura dell’intimità, sentimenti comuni in una società bugiarda e ingiusta. Per queste persone alzare la voce con aggressività, rappresenta il seme della comunicazione ostile, che è già di per sé un atto di violenza. Quello che la maggior parte delle volte contrastiamo e condanniamo, infatti, è la violenza fisica, quella di un corpo contro un altro, spesso quello maschile reso più forte dalla divisione imposta del lavoro a seconda del sesso. Il tipo di violenza che incute maggior timore è quello che può portare alla morte fisica, in molti casi delle donne. Eppure esistono numerose donne mai sfiorate da un uomo, che subiscono ricatti morali, umiliazioni continue, che muoiono silenziosamente sotto il peso di parole velenose. Così come esistono tanti uomini prigionieri di madri, sorelle o mogli egoiste, sadiche, manipolatrici. Nei rapporti di amicizia o di coppia fra persone dello stesso sesso è uguale: ogni volta che una persona tenta di dominare l’altro e di limitarne l’espressione e la libertà si sta comportando in modo maschilista. Così si comporta l’eterna vittima, che si rappresenta sempre in una posizione di sudditanza e incapacità rispetto all’altro.

Giornata contro la Violenza sulle Donne

‘Qualcosa non ha funzionato’, Foto di ©Pasquale Foggia

Il patriarcato è questo: la sopraffazione di una persona sull’altra, è la visione gerarchica delle relazioni, è prigionia di ruoli imposti dalla logica del profitto ed è per sua natura intriso di violenza. Per liberarsene bisognerebbe dunque dire basta alle relazioni di potere, qualsiasi sia il ruolo che ci si trova ad impersonare, per far posto alle relazioni d’amore. Bisogna essere insieme, uomini e donne, perché è insieme che abbiamo creato le asimmetrie di potere nelle relazioni ed è insieme che dobbiamo decostruirle per imparare un nuovo modo di amare. La parità si può raggiungere solo attraverso l’abbandono all’amore, che non conosce rabbia, risentimento, invidia. Tante, troppe persone purtroppo non si trovano nelle condizioni favorevoli a questo tipo di trasformazione: succede nelle famiglie quando si è troppo piccoli per svincolarsi dai genitori, succede nei matrimoni quando si sceglie in base al bisogno momentaneo o alla cosiddetta scintilla e non in base ad una visione della vita. Accade perché viviamo in un mondo ingiusto, in cui molte donne per convenienza o per sopravvivenza restano in relazioni tossiche.

Troppe volte è meglio subire sguardi e parole offensive, oltraggi, maltrattamenti fisici piuttosto che vivere nella solitudine totale e nell’assenza di prospettive di una vita migliore. Inutile negare che soprattutto le donne non hanno il supporto materiale, sociale e psicologico adeguato. D’altra parte gli uomini, spesso messi alla gogna come gli unici responsabili, come i mostri, non sopporterebbero il peso della consapevolezza di aver inflitto una sofferenza senza fine alle persone più care e non troverebbero una società pronta ad accogliere e a sostenere il percorso verso il cambiamento. Mi sento dunque di lanciare un appello ai miei concittadini: guardatevi allo specchio, lasciate andare la paura e indagate il seme di violenza che c’è in voi e nelle vostre relazioni. Una volta scoperto allontanatevi, cercate modi nuovi di amare, perché l’ultima speranza che ci resta è nelle relazioni, tutto il resto non lo cambieremo mai. Mentre scrivo sono consapevole di rivolgermi solo ad una parte della società, quella che può permettersi il lusso di essere libera.

 

Rosanna Maryam Sirignano

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