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Una canzone per la mia amata, che sfiori la sua essenza, il battito del suo cuore, le briciole del suo sorriso1.

Esistono romanzi di vita da ri-iniziare a scrivere, da proseguire, da non finire mai; narrazioni che cambiano i modi di intendere la vita.
Personaggi coraggiosi, tenaci e vulnerabili, tristi. Sono letture o racconti che, se letti o ascoltati con il cuore, permettono di vedere al di là, di penetrare nell’anima di canzoni di popoli oppressi, non riconosciuti e violentati.

Era il primo giorno di primavera, quando sembra che tutti in città si mettano d’accordo per essere di buon umore, e che donne, uomini e bambini stiano flirtando tutti quanti con la mia diversità2.

Esistono storie di donne che si sentono abbandonate, che sono rimaste sole, che non possono riconoscere il valore della solitudine. La sensazione di essere “vista troppo” e ancora di essere “sepolta viva”, di non essere assolutamente vista o presa in considerazione, permette di oscillare tra una volontà di esistere per ciò che si è e la volontà di cambiarsi, per vivere una vita differente, meno dolorosa, maggiormente omologata e omologante. Un’esistenza determinante e determinata in base a stimoli culturali che rinfacciano stereotipi in continuazione.

Quanti racconti di un coraggio femminile, di donne che si ribellano, che subiscono una violenza cruda, brutale e inumana?
Eppure la donna sembra rappresentata in quel modo.
È rischioso prendere una scelta di diversità, remare controcorrente. Eppure ritengo possa essere maggiormente doloroso pretendere di non appartenere a un popolo oppresso. Ma sapere di farne parte.
Sostanzialmente è un atto politico. È un agire che riflette la necessità di “uscire allo scoperto” per permettere un certo tipo di riconoscimento da parte della società, e della politica. Si tratta di diritti umani; di una paralisi legislativa che denota un rallentamento della messa in discussione di pratiche strettamente umane, strettamente necessarie.

Il genere femminile (così come quello maschile) è un sistema di stratificazione; tutte le componenti vanno riconosciute come strutturali: il corpo; la sessualità; i rapporti di dominio; le rappresentazioni sociali.
Se ci basiamo sull’ultima citata, sappiamo che ognun* ha un immaginario legato alla figura femminile. Aggiungo l’aggettivo culturale, una rappresentazione sociale culturale.
Omaggiando la nostra cultura, alcune caratteristiche del femminile sono la bellezza, la delicatezza, la gentilezza, la raffinatezza, il prendersi cura, l’essere moglie e madre,… Senza dubbio può sembrare riduttivo, e lo è, ma, se ragioniamo sull’immaginario comune, coloro che non rispettano queste caratteristiche possono essere soggette a discriminazione o emarginazione.

Andando a richiamare parole magari sconosciute ai più, i termini femme, lipstick, chapstick, butch… sono modalità di essere donna lesbica o di essere una donna?
Femme o lipstick richiama una donna che ama accessori e abiti (culturalmente) molto femminili; chapstick è “una via di mezzo” tra ciò che è considerato “mascolino” e “femminile”. Butch indica donne che si atteggiano e si vestono in modo (culturalmente) maschile.
Ci domandiamo, nel 2018, che senso possano avere i concetti di maschile e di femminile. Si educa al femminile o al maschile, in base a un diktat culturale: “essere donna significa essere donna in uno specifico modo”; “essere uomo significa essere uomo in uno specifico modo”.
Se l’essere donna si basa su elementi fondamentali, è il concetto di identità rigide a perpetuare gli stereotipi di genere. La donna vera, lo ripetiamo, ha determinate caratteristiche difficilmente discutibili, perché è la violenza dell’apparenza che dà valore, che dà significato al femminile e alla sua modalità di costituirsi. In questo modo, è imposto socialmente e culturalmente il globale mondo Femminile.
Come spezzare le corde che legano le ideologie ingabbianti?

Era scegliersi i dolori. Ecco cos’era vivere. Mi attaccai a quel pensiero e provai a sentirmi solo fiera. Non mi ero arresa. Non ero solo stata un’osservatrice impassibile finché era troppo tardi. Non mi avevano in pugno3.

Ripristinare il contatto di ogni donna con il proprio Femminile, promuovendo una grammatica possibile e in costante cambiamento di ciò che si vuole essere in relazione a ciò che si è, potrebbe essere la risposta pedagogica?
Seguendo la teoria taoista cinese, dovremmo riconoscere la natura del Femminile e del Maschile per ricreare un modo fluido per muoverci tra i due mondi, che abitano nel nostro essere.
Educare quella connessione che esiste tra le due anime, sarebbe come ritrovare un equilibrio meraviglioso, ri-scoprendo la bellezza della complessità in atto.

 

Giulia Carloni

 

1_ Tratto da “Psicosi delle 4 e 48”, S. KANE (2000), Tutto il teatro, Einaudi, Torino.
2_ L. FEINBERG (2004), Stone Butch Blues, Il Dito e la Luna, Milano.
3_ A. LORDE (2014), Zami. Così riscrivo il mio nome, àltera, Pisa.

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