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“In ogni epoca bisogna tentare di strappare nuovamente la trasmissione del passato al conformismo che è sul punto di soggiogarla”

Walter Benjamin, filosofo ebreo tedesco, scriveva queste parole mentre cercava di scappare dall’invasione nazista della Francia. Oggi che il Giorno della Memoria sembra diventare sempre di più un appuntamento rituale, vale la pena soffermarci sulle sue parole, ricordarci che la memoria non ha nulla di scontato – è sempre frutto di un lavoro faticoso e di conflitti di interpretazione.

LA PROPAGANDA SUI “NAZISTI GAY”

Il percorso accidentato della memoria dei “triangoli rosa” (le vittime e sopravvissutɜ omosessuali e trans dell’Olocausto) ha molto da insegnarci in questo senso. Al contrario di quanto accadde alle persone ebree o appartenenti all’opposizione politica, dopo la caduta del regime nazista non ci fu un riscatto immediato per i triangoli rosa. Non si diede subito visibilità alle violenze che subirono. Anzi, per anni si è potuto continuare ad alludere all’omosessualità come motivo di satira nei confronti dei nazisti. Basti pensare al film La caduta degli dei (1969) di Luchino Visconti, dove il travestitismo e le relazioni omoerotiche servono a mostrare la degenerazione morale dei nazisti. Si tratta di uno stereotipo molto in voga già nella propaganda anti-nazista di sinistra degli anni ’30, alimentato in parte dalle dicerie sull’omosessualità di Ernst Röhm, il capo della milizia nazista S.A. assassinato nel 1934 durante la “notte dei lunghi coltelli”.

Primo piano di Helmut Berger in una scena del film 'La caduta degli dei' di Luchino Visconti

Primo piano di Helmut Berger in una scena del film ‘La caduta degli dei’ di Luchino Visconti

Insomma, per lungo tempo l’omosessualità fu vista come il segno della perversione e della pazzia dei carnefici, più che come una ragione di persecuzione delle vittime. Del resto, il paragrafo 175 del codice penale tedesco, che risaliva al 1871 e condannava i rapporti sessuali tra uomini, fu abrogato soltanto nel 1994 in Germania. Nel 1935, Hitler lo aveva inasprito, portando le pene fino a dieci anni di lavori forzati e all’internamento in campi di concentramento. Se gli emendamenti nazisti furono tolti dopo la Seconda guerra mondiale, il paragrafo 175 restò in vigore molto più a lungo.

OMOSESSUALI E TRANS: VITTIME DEL NAZISMO

La prima testimonianza ufficiale di un triangolo rosa, quella di Joseph Kohout, arrivò tardi, in Austria nel 1972. E soltanto nel 1985 la Repubblica Federale Tedesca riconobbe ufficialmente la persecuzione degli omosessuali durante il regime nazista. Fu la spinta del movimento di liberazione omosessuale tedesco, che iniziò a crescere a partire dagli anni ’70, a suscitare un dibattito pubblico sul tema e a far venire a galla numerose testimonianze. Grazie a questa lotta, ad oggi sappiamo che circa 100.000 persone omosessuali e trans1 furono schedate dal regime nazista; circa 50.000 ricevettero una condanna e tra le 5.000 e le 15.000 furono mandate nei campi di concentramento, dove la maggior parte morì.

Omosessuali e trans vittime del Nazismo

© Foto di mariomieli.net

Nei campi di concentramento, spesso ai triangoli rosa venivano assegnati i lavori più difficili, perché dovevano essere “rieducati dal lavoro”. Alcuni venivano castrati, altri sottoposti ad esperimenti medici. L’omosessualità, secondo l’ideologia nazista, rappresentava una minaccia per la purezza e la forza della “razza”, minando la logica della sessualità riproduttiva: era un’“infezione” che andava stroncata. Le lesbiche invece, nella gran parte dei casi, riuscivano a scampare alla persecuzione restando discrete e rispettando i canoni dell’espressione di genere convenzionale. Quando furono deportate, furono classificate per lo più come “asociali” o “comuniste”.

UN MOVIMENTO DI RESISTENZA E DI LIBERAZIONE

Tuttavia, la memoria che è emersa con le testimonianze dei triangoli rosa non è solo quella di una violenza cieca che si è abbattuta su vittime inermi. È importante ricordare la violenza nazista come un moto di repressione verso un movimento e una cultura LGBT emergente che ebbe i suoi albori proprio nella Germania della fine del XIX secolo. A Berlino, il cabaret Eldorado era il punto di ritrovo dell’ambiente queer dell’epoca. Magnus Hirschfeld, medico ebreo gay e padre della sessuologia, aveva fondato il Comitato scientifico-umanitario, che combatteva attraverso campagne e petizioni contro la criminalizzazione dell’omosessualità nel paragrafo 175, cercando di raccogliere evidenza scientifica per dimostrare che l’omosessualità non è una malattia. Fu in un certo senso la prima organizzazione militante per i diritti LGBT.

Nel 1933, una squadra di giovani nazisti assalì l’edificio dell’Istituto di sessuologia, dove lavorava Hirschfeld, e bruciò i suoi libri. Quando Hitler arrivò al potere, le riviste omosessuali furono proibite, le discoteche chiuse, il movimento sciolto. Non fu semplicemente una carneficina di vittime impotenti. Fu anche la repressione di una lotta, la chiusura di uno spiraglio che si apriva verso un futuro di liberazione.

Omosessuali e trans vittime del Nazismo

© Foto di blmagazine.it

LIBERARE LA MEMORIA DAL CONFORMISMO

Torniamo alle parole di Benjamin. Sì, è importante ricordare – e su questo, ormai, siamo più o meno tuttɜ d’accordo. Ma è importante anche fare attenzione a chi ricordiamo, cosa ricordiamo e come lo ricordiamo. La memoria va “strappata al conformismo che è sul punto di soggiogarla”. E di questo conformismo, oggi, ne sappiamo qualcosa.

In Italia, stiamo vivendo un momento storico in cui il fascismo viene sempre più visto come acqua passata. La memoria viene banalizzata, tant’è che la leader di un partito di destra che, pur con tutte le evoluzioni e le rotture del caso, ha le sue radici nella tradizione (post-)fascista, si è più volte risentita se si chiedeva conto della sua posizione rispetto al fascismo. È ovvio che non siamo più fascisti, è ovvio che condanniamo le leggi razziali: ci sarebbe pure da chiederlo? Anzi, secondo Fratelli d’Italia, mentre chiunque condanna il fascismo, si continuerebbero a fare sconti al comunismo. Nella logica in cui “tutti gli estremi si equivalgono”, la destra sarebbe più a posto della sinistra nella dissociazione dal suo passato.

Di fronte a questo conformismo, ricordare la storia dei triangoli rosa, oggi, può servirci a due cose. Primo: ribadire che la memoria non è mai scontata e la storia non è mai acqua passata, perché a mano a mano che ci liberiamo dal conformismo, rileggiamo la storia con significati nuovi e riusciamo a riportare alla luce memorie rimaste prigioniere del conformismo, come lo è stata a lungo quella dei triangoli rosa. Secondo: conformismo e progresso, repressione e liberazione non si equivalgono. La deportazione dei triangoli rosa è il culmine di una storia di dominazione etero e patriarcale che si estende prima e dopo il regime nazista e ha spezzato movimenti LGBT nascenti. La violenza nazifascista non è da condannare solo perché è stata violenta, come pure regimi di altro orientamento politico lo sono stati: è da condannare anche perché è un’ideologia reazionaria, escludente, patriarcale, nazionalista e di supremazia razziale.

 

Simone Spera
©2023 Il Grande Colibrì
immagine: illustrazione di Mattia / @mettiuart

 

  1. Spesso nella categoria di “omosessuali” si trovavano classificate persone trans

 

© Illustrazione di Mattia / @mettiuart

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