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Quando, diversi anni fa, la parlamentare Elisabetta Gardini colse sul fatto Vladimir Luxuria nel frequentare i bagni femminili di Palazzo Montecitorio, il clamore mediatico della sua furia fu tale da far dubitare che in tanta sede i bagni fossero organizzati senza porte…

Il tempo passa, ma certe situazioni tardano nel trovare pace. A Pordenone, recentemente il messaggio secondo cui l’educazione scolastica all’inclusione può passare anche attraverso l’uso dei servizi igienici pareva accolto: al liceo Grigoletti, infatti, una preside particolarmente attenta, Ornella Varin, aveva tentato il buon esempio con le toilette unisex, per superare una delle più elementari e quotidiane distinzioni di genere, causa spesso di imbarazzo e di spunti cattivi. Tuttavia alle migliori intenzioni non ha corrisposto il miglior riconoscimento, e anche in questo caso le furie della protesta sono volate al cielo, caratterizzate sì dal solito benaltrismo e da un’evidente mancanza di maturità, ma purtroppo soprattutto da una fuffa ideologica d’accatto che si poteva auspicare estranea alle giovani leve.

“Fuori servizio per mancanza d’identità”

è il testo del cartello esposto su una finta porta posta all’ingresso del liceo Grigoletti. Il Blocco Studentesco di Pordenone ha contestato in questo modo quelle che ha ritenuto “priorità discutibili della preside”. Per i rappresentanti del Blocco Studentesco, l’aver istituito bagni comuni altro infatti non sarebbe che

“una scelta che vuole imporre il pensiero unico finalizzando l’omologazione dell’individuo andando a sminuire l’identità della persona”.

E scomodando l’improbabile “ideologia gender”, il Blocco Studentesco afferma che questa “non dovrebbe essere presente nella scuola nella forma in cui va a imporsi senza possibilità di opposizione (…) da sempre siamo a difesa e a sostegno dell’individualità di ogni persona, però come valore e non come negazione della complessità”. Testuale.

Chi ha paura dei bagni neutri?

© Foto di Tim Mossholder / Unsplash

Non si tratta quindi dell’imbarazzo per una novità inattesa (di bagni misti si fa tutti uso, per esempio in famiglia), ma di avversare con ideologie spropositate quella che deve essere la precedenza nelle scelte, cioè che nessuna persona si senta discriminata nei luoghi pubblici.

A chi in proposito ha manifestato pubblico fastidio, come nel caso di qualche politicante di Fratelli d’Italia, che ha sproloquiato di ‘ennesimo teatrino ideologico’, tocca ricordare che il bagno misto non toglie niente a nessuno, mentre offre ad alcune persone la sensazione di essere maggiormente rispettate.

Ovviamente anche personaggi come il noto leader della Lega Matteo Salvini non si sono astenuti dalla loro mediocrità intellettuale, sentenziando su Instagram sulla non priorità e sulla “ridicolaggine” dei servizi ‘gender free’.

Se in Italia si fa tutta questa fatica, in Europa ci sono esempi migliori: nel Regno Unito, il sindaco di Londra Sadiq Khan già nel 2018, all’interno del palazzo municipale, aveva deciso di sostituire i servizi igienici femminili e le docce con altrettante toilette di genere neutro. In Svezia, i servizi igienici sono da tempo diventati gender free e si va sempre più verso un linguaggio pubblico che non fa distinzioni di genere…

In una società fortemente patriarcale come quella italiana, dove trovano ampio spazio le istanze vaticane, della destra politica e di certo femminismo estremista, non accettare la possibilità di offrire uno spazio di inclusione, sia pure tanto banale, deriva semplicemente dalla miserabile arroganza nel non voler accettare la diversità delle persone.

Chi ha paura dei bagni neutri?

© Foto di No Revisions / Unsplash

La contestazione del Blocco Studentesco non si è fermata tuttavia alla questione “bagni neutri”, che in qualche modo ammetteva la possibilità di un disagio iniziale, ma ha toccato anche il civilissimo istituto della carriera alias nel nuovo ordinamento scolastico, novità anche questa approvata dalla preside Ornella Varin, sulla base della precisa richiesta di uno studente. Non si comprende quali fastidi e disagi questo possa generare.

La carriera alias è un protocollo che offre la possibilità di comparire nella burocrazia interna di un ente o di un’azienda con il nome che corrisponde alla propria identità di genere, anche se diverso da quello anagrafico. Nasce da una riflessione approfondita di genitori, di associazioni e di istituzioni, in merito al disagio e all’umiliazione di qualche studente nel dover costantemente esporre e giustificare la propria condizione di genere, soprattutto se non conforme alle aspettative e alle norme sociali. Questa misura vuole contribuire a rendere effettivo il diritto allo studio delle persone trans, per cui la scuola e l’università sono spesso ambienti ostili, discriminatori e violenti, come confermano i dati raccolti dall’Agenzia Europea per i Diritti Fondamentali – FRA, secondo cui, in ambito scolastico, solo il 4% dei giovani LGBTQI+ italiani tra i 15 e i 17 anni dichiara di aver fatto coming out, mentre il 56% dichiara di nascondere sempre la propria identità – cifra che sale al 77% per giovani e adolescenti trans o non conformi rispetto al genere atteso.

Il caso dei bagni unisex e della carriera alias del liceo Grigoletti di Pordenone finirà a Roma, direttamente sui banchi del governo. A informare il sottosegretario al Ministero dell’istruzione Paola Frassinetti è stato, manco a dirlo, un parlamentare di Fratelli d’Italia, Emanuele Loperfido, secondo il quale come in tutti i cambiamenti “ci vogliono equilibrio e analisi delle possibili conseguenze, senza fughe in avanti che pur hanno come obiettivi – certamente condivisibili – la protezione dei soggetti che possano essere discriminati o non sentirsi a proprio agio nell’ambiente scolastico in questo caso”. Possibili conseguenze? Fughe in avanti? Da quanti decenni stiamo aspettando un passo avanti di civiltà, anche su versanti minori ma significativi come questi?

 

Maria Gigliola Toniollo
©2023 Il Grande Colibrì
immagine: elaborazione da foto di Alexander Grey / Unsplash

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