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Nel 1819, giusto due secoli fa, Benjamin Constant (1767-1830) pronunciò all’Athénée Royal di Parigi il famoso discorso De la liberté des anciens comparée a celle des moderns = Sulla libertà degli antichi confrontata con quella dei moderni, che è tuttora considerato un caposaldo del pensiero liberale, ripreso anche da Isaiah Berlin (1909-1997) nella sua lezione inaugurale all’Università di Oxford nel 1958, intitolata Two Concepts of Liberty = Due concetti di libertà

Quello che rende interessante Constant è che nel suo breve discorso sembra aver confutato i “sovranisti” con due secoli d’anticipo. Quella che Constant chiama la “libertà degli antichi” è la possibilità di partecipare attivamente ed efficacemente (perché ognuno constata quanto la propria volontà sia influente) nelle decisioni politiche, controbilanciata però da una forte ingerenza dello stato nella sua vita privata; la “libertà dei moderni” è invece quella di dirigere la propria vita secondo le proprie inclinazioni (e senza nuocere al prossimo) senza altre limitazioni che quelle indispensabili per la vita sociale.

Isaiah Berlin chiamerà la prima libertà la “libertà positiva”, la seconda la “libertà negativa”, e come tutti i pensatori liberali dà più valore alla seconda. Il perché diventa chiaro riportando la descrizione di Constant della “libertà degli antichi”: essa consisteva nell’esercitare collettivamente ma direttamente molte funzioni dell’intera sovranità, nel deliberare sulla piazza pubblica sulla guerra e sulla pace, nel concludere con gli stranieri i trattati di alleanza, nel votare le leggi, nel pronunciare i giudizi; nell’esaminare i conti, la gestione dei magistrati, nel farli comparire dinanzi a tutto il popolo, nel metterli sotto accusa, nel condannarli o assolverli. Ma se questo era ciò che gli antichi chiamavano libertà, essi ritenevano compatibile con questa libertà collettiva l’assoggettamento completo dell’individuo all’autorità dell’insieme. Non trovate presso di loro alcuno dei godimenti che abbiamo visto far parte della libertà dei moderni. Tutte le azioni private sono sottoposte a una sorveglianza severa. Nulla è accordato all’indipendenza individuale né sotto il profilo delle opinioni, né sotto quello dell’industria, né soprattutto sotto il profilo della religione. La facoltà di scegliere il proprio culto, facoltà che noi consideriamo come uno dei nostri più preziosi diritti, sarebbe sembrata agli antichi un crimine e un sacrilegio. Nelle cose che a noi sembrano più utili l’autorità del corpo sociale si interpone e impaccia la volontà degli individui. Terpandro non può a Sparta aggiungere una corda alla sua lira senza che gli efori si sdegnino. L’autorità si intromette anche nelle relazioni più intime. Il giovane spartano non può visitare liberamente la sua sposa. A Roma i censori penetrano con occhio scrutatore all’interno delle famiglie. Le leggi regolano i costumi e poiché i costumi concernono tutto non v’è nulla che le leggi non regolino.

Così presso gli antichi l’individuo, sovrano quasi abitualmente negli affari pubblici, è schiavo in tutti i suoi rapporti privati. Come cittadino egli decide della pace e della guerra; come privato è limitato, osservato, represso in tutti i suoi movimenti; come parte del corpo collettivo interroga, destituisce, condanna, spoglia, esilia, manda a morte i suoi magistrati o i suoi superiori; come sottoposto al corpo collettivo può a sua volta essere privato della sua condizione, spogliato delle sue dignità, bandito, messo a morte dalla volontà discrezionale dell’insieme di cui fa parte.

Non ci vuole molto a rinvenire nel sovranismo di Matteo Salvini e nel populismo di Beppe Grillo le caratteristiche della libertà degli antichi, con diversi accenti però: se l’M5S sembra voler sostituire all’agorà greca la piattaforma Rousseau (criticatissima per le sue vulnerabilità), la Lega sembra voler creare un corpo collettivo in cui le ragioni dell’identità prevalgano su quelle della libertà, in cui i magistrati perdano la loro indipendenza nei confronti del potere politico, che idealmente dovrebbe esprimere completamente la volontà popolare.

Constant diceva che “presso i moderni, al contrario, l’individuo, indipendente nella sua vita privata, persino negli Stati più liberi non è sovrano che in apparenza. La sua sovranità è limitata, quasi sempre sospesa; e se, a epoche fisse ma rare nelle quali è pur sempre circondato da precauzioni e ostacoli, esercita questa sovranità, non lo fa che per abdicarvi.

Contrariamente alle ciarle di populisti e sovranisti, quest’“abdicazione” non ce l’ha imposta l’Unione Europea: si trova già nella Costituzione Repubblicana del 1948, che recita:

Articolo 1, comma 2: La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.
Articolo 10, commi 1 e 2: L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute.
La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali.
Articolo 11: L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.

Articolo 139: La forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale.

Se gli articoli precedenti mi sembrano chiari anche per il profano, l’articolo 139 va chiosato: “forma repubblicana” non significa semplicemente che il capo dello stato è eletto anziché ricevere la carica in eredità (esistono le monarchie elettive, come il Vaticano), vuol dire che nella “Repubblica Italiana” i cittadini e le persone in genere (a seconda dei casi – ma la giurisprudenza costituzionale ha stabilito che qualora non ci sia motivo di limitare dei diritti ai cittadini, anche gli articoli che parlano esplicitamente di costoro valgono per tutti) devono godere almeno dei diritti (ed osservare i doveri) elencati negli articoli della Costituzione da 1 a 54. Una modifica costituzionale che comprimesse codesti diritti potrebbe essere impugnata presso la Corte Costituzionale e dichiarata incostituzionale per violazione dell’Articolo 139.

Come vedete, il popolo sovrano non può consegnarsi ad un tiranno nemmeno per decisione unanime. Constant riconoscerebbe in questo l’esplicita “abdicazione” della sua sovranità, e tutto questo serve a tutelare quella che Isaiah Berlin chiamerà “libertà negativa”, e Constant, chiamandola “libertà dei moderni”, così descrisse:

Il diritto di ciascuno di non essere sottoposto che alle leggi, di non poter essere né arrestato, né detenuto, né messo a morte, né maltrattato in alcun modo a causa dell’arbitrio di uno o più individui. Il diritto di ciascuno di dire la sua opinione, di scegliere la sua industria e di esercitarla, di disporre della sua proprietà e anche di abusarne; di andare, di venire senza doverne ottenere il permesso e senza render conto delle proprie intenzioni e della propria condotta. Il diritto di ciascuno di riunirsi con altri individui sia per conferire sui propri interessi, sia per professare il culto che egli e i suoi associati preferiscono, sia semplicemente per occupare le sue giornate o le sue ore nel modo più conforme alle sue inclinazioni, alle sue fantasie. Il diritto, infine, di ciascuno di influire sulla amministrazione del governo sia nominando tutti o alcuni dei funzionari, sia mediante rimostranze, petizioni, richieste che l’autorità sia più o meno obbligata a prendere in considerazione.

Questa descrizione è un po’ limitata ai nostri occhi (un altro grande pensatore liberale, Amartya Sen, nato nel 1933, aggiungerebbe quelli che ora chiamiamo “diritti sociali”, in quanto non può definirsi libero chi rischia ogni momento di morire di fame e malattie, ed è vittima dell’ignoranza), e Constant, scrivendo: “La libertà individuale, lo ripeto, ecco la vera libertà moderna. La libertà politica ne è la garanzia; la libertà politica è quindi indispensabile” riconosce la necessità che il popolo controlli il proprio governo proprio per salvaguardare la propria libertà (dei moderni), e pronuncia parole che sembrano applicarsi proprio a Salvini ed al modo in cui egli ha curato la propria immagine finché era ministro dell’interno – voglio evidenziarle così:

Vedete, Signori, che le mie osservazioni non tendono affatto a sminuire il valore della libertà politica. Dai fatti che vi ho sottoposti non traggo affatto le conseguenze che ne traggono certuni. Dal fatto che gli antichi sono stati liberati e che noi non possiamo più essere liberi come gli antichi essi concludono che siamo destinati a essere schiavi. Essi vorrebbero costituire il nuovo stato sociale con un piccolo numero di elementi che ritengono i soli appropriati alla situazione del mondo attuale. Tali elementi sono i pregiudizi per spaventare gli uomini, l’egoismo per corromperli, la frivolezza per stordirli, i piaceri grossolani per degradarli, il dispotismo per guidarli; e, ce n’è pur bisogno, conoscenze positive e scienze esatte per servire meglio il dispotismo. Sarebbe strano che questo fosse il risultato di quaranta secoli durante i quali il genere umano ha conquistato tanti mezzi morali e fisici: non posso pensarlo. Dalle differenze che ci distinguono dagli antichi io traggo conseguenze del tutto opposte. Non è affatto la garanzia che bisogna indebolire, è il godimento che bisogna estendere. Non voglio affatto rinunciare alla libertà politica, ma reclamo la libertà civile con altre forme di libertà politica. I governi non hanno più di ieri il diritto di arrogarsi un potere illegittimo. Ma i governi che derivano da una fonte legittima hanno meno di ieri il diritto di esercitare sugli individui una supremazia arbitraria. Possediamo ancor oggi i diritti che sempre avemmo, gli eterni diritti di approvare le leggi, di deliberare sui nostri interessi, di essere parte integrante del corpo sociale di cui siamo membri. Ma i governi hanno nuovi doveri; i progressi della civiltà, i mutamenti operati dai secoli comandano all’autorità maggior rispetto per le abitudini, per gli affetti, per l’indipendenza degli individui. Essa deve portare su tutte queste cose una mano più prudente e leggera.

Salvini non è quindi un genio della politica – è invece l’attuale incarnazione di una categoria di politicanti che Constant aveva già incontrato e confutato duecento anni fa.

Nel discorso che qui riassumo e cito Constant fa anche tre interessanti osservazioni con cui concludo.

La prima osservazione è che la “libertà degli antichi” presupponeva l’esistenza di una casta di schiavi: se una persona non ha bisogno di guadagnarsi da vivere perché sono i suoi schiavi a mantenerlo, essa allora può dedicarsi alla politica a tempo pieno. Forse lo sviluppo della robotica ci riporterà fra qualche secolo a questa situazione, ma nel frattempo essere in grado di votare (magari su Rousseau) su ogni proposta di legge e mozione non garantisce che si sia stati in grado di informarsi adeguatamente, formarsi un’opinione sensata, e valutare quanto spazio ci sia per negoziazioni e compromessi al fine di emanare una norma il più soddisfacente possibile. Il sistema rappresentativo, in cui alcune persone diventano politici a tempo pieno, e chi li sceglie controlla il loro operato, non è ancora obsoleto – la sua utilità viene difesa da Constant con un bel paragone: “I poveri fanno da sé i loro affari: i ricchi assumono degli intendenti”.

La seconda osservazione è che la “libertà degli antichi” presuppone la guerra come condizione normale della vita delle nazioni, mentre la “libertà dei moderni” presuppone invece il commercio.

Un’“internazionale sovranista” non può funzionare, perché ogni stato è costretto a mettere in evidenza ciò che lo differenzia dagli altri per motivare la propria esistenza; invece il commercio è molto favorito da norme uniformi, e perfino da un sistema di pesi e misure uniformi, e le unioni commerciali si sono dimostrate perciò efficaci e durature.
La globalizzazione ha creato numerosi problemi, ma per un motivo che Constant non era stato in grado di prevedere: ha facilitato i movimenti di capitale, ma non ha convinto gli stati ad allearsi per trattare con le multinazionali da pari a pari, anziché farsi concorrenza cercandone i favori. I sovranisti non avversano il commercio internazionale per contrastare le diseguaglianze che ha provocato, ma perché esso è una delle garanzie della “libertà dei moderni”.

Constant scriveva: “La stessa divisione dell’Europa in numerosi Stati è, grazie al progresso della civiltà, più apparente che reale. Mentre prima ogni popolo formava una famiglia isolata, nemica nata delle altre famiglie, ora una massa d’uomini vive sotto nomi differenti e in differenti modi di organizzazione sociale, che è però per sua natura omogenea. È abbastanza forte per non aver nulla da temere dalle orde barbare e abbastanza illuminata perché la guerra le sia di peso. La sua uniforme tendenza è verso la pace.

In questo egli preconizza l’attuale Unione Europea; mi sarebbe piaciuto che fosse più chiaro nell’affermare che omogeneità non vuol dire appiattimento, e che ogni popolo ha il diritto di mantenere la propria cultura – purché voglia la pace insieme con tutti.

Una terza interessante osservazione Constant la fa sull’ostracismo che era caratteristico dell’orientamento giuridico ateniese: per esiliare un cittadino era sufficiente temere che avesse acquistato un’influenza eccessiva sulla popolazione, e votarne l’espulsione.

Questo era il sommo esercizio della “libertà degli antichi”, che assoggettava ogni cittadino a tutti gli altri, anche al loro arbitrio; ma al giorno d’oggi (anzi, perfino da Constant, duecento anni fa) sarebbe considerato un abuso intollerabile, contrario alla “libertà dei moderni”.

Come fanno però i sovranisti a dimostrare qual tipo di libertà preferiscono? Accanendosi sugli stranieri, anche violando le leggi italiane e le convenzioni internazionali che li tutelano, varando pure norme che permettono di privare della cittadinanza chi è cittadino per naturalizzazione, espellendo i cittadini stranieri imputati di gravi reati senza nemmeno processarli prima, opponendosi allo “ius soli”, punendo ferocemente chi salva vite umane straniere.

E chi approva queste cose non si rende conto che la logica della “libertà degli antichi” vuole che come si è oppresso prima lo straniero si opprima poi anche il cittadino. L’ostracismo ateniese viene reintrodotto sotto altra forma.

La Bibbia ebraica non è un testo liberale (anche se, osservava Friedrich August von Hayek,[1899-1992], il liberalismo di tipo inglese è opera di cristiani riformati che la conoscevano bene), ma c’è un buon motivo per cui Deuteronomio 24:17-18 dice:

17 Non calpesterai il diritto dello straniero o dell’orfano e non prenderai in pegno la veste della vedova;

18 ma ti ricorderai che sei stato schiavo in Egitto e che di là ti ha liberato il Signore, il tuo Dio; perciò ti ordino di fare così.

Infatti lo straniero è il più debole dei tre, e se si tollera un sopruso a danno di uno straniero, anche un sopruso a danno di un orfano diventa ammissibile, e quello a danno di una vedova magari raccomandabile.

Duemilasettecento anni fa era già chiaro che chi rispetta ed aiuta uno straniero rispetta ed aiuta anche i diseredati del proprio popolo, e che chi odia e sfrutta gli stranieri odia e sfrutta anche i propri connazionali poveri. Non per nulla chi diceva: “E i terremotati?” non li ha poi affatto aiutati.

 

 

Raffaele Yona Ladu
Ebreo umanista gendervague
Socio di Autistic Self-Advocacy Network
©2019 Il Grande Colibrì

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