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La parola genere apre la riflessione sulle identità e sui soggetti. Se è vero che culturalmente si ritiene che le sessualità rivoluzionarie stiano mettendo in discussione l’eterosessualità e con essa la figura del maschile, un ulteriore tema è l’evidente introduzione della paura della perdita del potere maschile. Cambiano le relazioni tra i generi e mutano i ruoli sessuali. Ma… mutano gli uomini?

Negli odierni studi sul maschile, la maschilità vive dei conflitti interni, derivanti da aspettative sociali non condivise.
Esiste un ordine gerarchico simbolico: tutto ciò che fuoriesce dalla norma maschile eterosessuale viene stigmatizzato. Questo significa che non solo gli omosessuali vengono discriminati ma anche tutte le mascolinità che non rispecchiano i requisiti.
Così, la misoginia, l’omofobia e la violenza sulle donne hanno una radice comune: l’ossessione della virilità, della forza maschile e della piena efficienza sessuale e muscolare.
Il pensiero fa azione e il riversamento culturale assomiglia a uno straripamento, a una incapacità di contenere. La virilità diviene una sorta di divinità, se non di scudo o di pericolo.

Ma che significa virilità?
Per alcun* può rappresentare la prestanza sessuale, legata strettamente all’organo genitale; per altr* è l’apparire “veri uomini”. Forse è il raggiungimento dell’età matura, fertile e l’essere in possesso dei caratteri somatici propri dell’uomo. Ma quali sono questi caratteri? O forse si tratta di doti morali? Risolutezza, fermezza, serietà, senso di responsabilità sono caratteristiche dell’uomo maturo, pronto alla vita coniugale e quindi alla procreazione? D’altra parte si discute in maniera meno profonda della paternità, rispetto alla maternità. Alla virilità non apparterrebbe la cura, la dolcezza, l’accoglienza. La massiccia presenza di queste caratteristiche pone di fronte a una questione esistenziale: “Sei gay?”.
Perché la non virilità apparterrebbe ai gay, considerati non dominanti, che non governano sessualmente la relazione.

Si sta vivendo un disagio del maschile?
L’analisi delle relazioni tra i sessi e tra i generi apre una questione molto attuale. La costruzione dell’identità di genere delle nuove generazioni riflette la rappresentazione dei ruoli sessuali, del maschile e del femminile. Il modello di virilità tradizionale appare evidentemente un idolo non più ri-proponibile a tutto tondo, ma al tempo stesso resta un riferimento da cui appare pericoloso allontanarsi troppo, pena la messa in discussione della propria identità sessuale e non solo.

Come fare per scardinare il binarismo di genere rappresentando una specificità maschile lontana dagli stereotipi? Come si può valorizzare l’identità maschile?
Dovremmo iniziare a proclamare la dignità dei sentimenti degli uomini, la grandezza del loro donare, la purezza delle loro passioni, il fascino del loro silenzio e della loro frugalità, lo stupore della loro energia, l’eminenza delle loro creazioni, l’eccellenza del loro genio. Va finalmente proclamata la bellezza dell’essere uomini. La maschilità dovrebbe non accettare l’afasia imposta, ridefinendo il coraggio come la qualità dell’esporsi allo sguardo altrui per ciò che si è.
La maschilità potrebbe ri-acquistare la legittimità al pianto, alla dolcezza, alla gentilezza vista non solo come “galanteria”; all’essere non obbligatoriamente forti, forzuti o aggressivi.
Il primo passo verso l’allontanamento sociale dal patriarcato ingombrante raffigura la volontà degli uomini di liberarsi dal feticcio della virilità, e giocare le carte della delicatezza.

Si propone, in questo contesto, un’educazione attenta alle tematiche legate all’identità di genere e alle sessualità, ma che non utilizzi gli strumenti stereotipati che promuovono caratteristiche cementate da anni e da secoli.
Una visione pedagogica che si domanda quanta limitata possibilità di scelta ci sia per gli uomini, virili… ma non troppo.

È tempo per vestiti culturali differenti, disgiunti dal binarismo di genere che, molte volte, permette la violenza e la discriminazione.

 

Giulia Carloni

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