Skip to main content

Può il teatro divenire il mezzo per esprimere sé stessi e far conoscere al mondo la propria identità e le proprie idee, abbattendo così anche molti stereotipi e pregiudizi?

Sembrerebbe proprio di sì, o almeno questa è l’impressione (e la speranza) che ho avuto confrontandomi con Arianna Negro, che ha fatto della sua passione per la scena teatrale un vero proprio strumento per avvicinare le persone alla diversità riuscendo anche a farne comprendere la bellezza.

 

Arianna, la tua passione per il teatro è qualcosa che caratterizza profondamente il tuo percorso di vita. Prima di parlare più diffusamente di questa tua passione, ti andrebbe di raccontarci qualcosa in più di te e della tua storia personale?

 Il mio nome è Arianna e tra qualche giorno compirò ventott’anni.

Sono nata in un paesino in provincia di Lecce e finiti gli studi superiori mi sono trasferita a Ferrara con l’intenzione di iscrivermi alla facoltà di Farmacia.

Ho frequentato il corso per tre anni ma più il tempo passava più mi rendevo conto che non era questo ciò che volevo davvero fare nella vita.

Non sentendomi felice, ho quindi preso la decisione di cambiare strada mi sono iscritta al Dams (Corso di laurea triennale in Discipline delle arti, della musica e dello spettacolo) di Bologna. È stata una rivelazione, mi piace davvero un sacco!

In seguito, nella mia vita è successa un’altra cosa bellissima: mi sono trasferita a Padova e sono entrata a far parte della sezione locale dell’Arcigay.

Con alcuni ragazzi del gruppo, nel 2015 ho dato vita al gruppo teatrale Tralaltro, con il quale ho portato in scena numerosi spettacoli.

E’ stata un’esperienza davvero magnifica, che mi ha davvero insegnato tanto

 

Da dove nasce questo tuo interesse verso la pratica teatrale e quali sono le motivazioni che ti hanno spinto a imboccare una strada così affascinante ma spesso anche un po’ complessa e tortuosa?

Se devo essere sincera, posso dirti che il mio incontro con il teatro è avvenuto in maniera abbastanza casuale.

Fin da piccola ho sempre avuto tanta fantasia e molta parlantina, quindi quando alle superiori mi è stata offerta l’opportunità di prendere parte a un corso di recitazione ho subito colto la palla al balzo.

Quasi subito però mi sono resa conto che ad affascinarmi non era tanto la scena, ma soprattutto il lavoro che serve a costruire il vero e proprio spettacolo, con particolare riferimento all’elaborazione della sceneggiatura.

La scrittura è sempre stata una mia grandissima passione e già da adolescente la coltivavo annotando poesie e racconti.

Certo, non posso dire che questo sia stato un processo rapidissimo: conclusa l’esperienza di teatro alle superiori, per qualche anno ho messo in pausa il mio grande amore per il teatro e mi sono dedicata ad altro.

Non ho però smesso di scrivere e, poco per volta, dalla stesura di libri sono passata a quella delle vere e proprie sceneggiature.

L’ho fatto nel momento in cui mi sono resa conto che il teatro era il modo più veloce per dare voce e forma alle mie parole e ai miei pensieri, ma anche per vedere quello che scrivo materializzarsi e muoversi davanti ai miei occhi.

Con il passare del tempo ho avuto anche la conferma che preferisco di gran lunga stare dietro le quinte e creare piuttosto che prendere parte all’opera da un punto di vista recitativo.

Sono consapevole che quella che ho scelto di intraprendere sia una strada molto tortuosa ma credo che nella vita a volte serva il coraggio di provare a inseguire i proprio sogni. Magari poi non riuscirò nel mio intento e dovrò comunque fare un altro lavoro che non mi piace ma almeno saprò di aver tentato e di aver scelto di lottare.

 

Quali sono i sentimenti e le emozioni che ti accompagnano durante l’elaborazione di un nuovo progetto e che cosa vorresti trasmettere al pubblico attraverso le opere che porti sul palco?

Le emozioni che provo nella creazione di un progetto sono tantissime e spesso anche opposte.

Passo dalla fase di entusiasmo a quella in cui mi butto giù perché quello che ho scritto improvvisamente non mi sembra abbastanza bello.

Il giorno della rappresentazione vengo colta da una grande euforia, che lascia poi il posto all’ansia elettrizzante del pre-spettacolo.

A rappresentazione conclusa, nel mio animo trovano posto la soddisfazione immensa ma anche un certo senso di vuoto, perché quando le luci sul palco si spengono capisci veramente che il tuo lavoro è finito.

Per quanto riguarda quello che voglio trasmettere al pubblico, posso dirti che esso varia molto a seconda dello spettacolo che porto in scena.

Sicuramente mi incuriosisce la natura dell’essere umano e mi piace molto raccontare diversi punti di vista spesso in conflitto tra loro.

Tramite le parole mi sforzo di capire quanto può essere sottile il limite tra azione giusta e azione sbagliata e nei miei lavori cerco sempre di analizzare e sondare un po’ il mondo delle emozioni umani.

Gli esseri umani sono davvero una grande fonte d’ispirazione per chi scrive, te lo dico con sincerità!

 

Per diversi anni sei stata una colonna portante della compagnia teatrale Tralaltro di Arcigay Padova e hai anche firmato molti dei testi che la troupe ha portato in scena.

Potresti parlarci più diffusamente di questa tua esperienza e di come abbia influenzato il tuo percorso artistico, ma anche e soprattutto umano e personale?

L’esperienza ad Arcigay è stata per me estremamente importante per la mia formazione umana e professionale.

Gli anni trascorsi con i ragazzi di Tralaltro mi hanno aiutato a crescere e ancora oggi mi ritengo fortunata perché mi è sempre stata data carta bianca c’è sempre stata molta fiducia nei miei confronti.

Mi è stato data l’opportunità di portare in scena cose che spesso avevo scritto proprio io e mi è stato concesso di sperimentare parecchio, passando dalla commedia al dramma nel tentativo di trovare la strada che meglio mi rappresentasse.

E’ stata un’esperienza che non dimenticherò mai, anche perché l’attivismo è qualcosa che ti segna profondamente: quando passi degli anni, nel mio caso quattro, a combattere per i diritti della comunità LGBTQIA (lesbiche, gay, bisessuali, transessuali, queer, intersex, asessuali) quella voglia di lottare e di far sentire la tua voce ti rimane dentro in maniera perpetua.

In qualche modo è come se dentro di te fossi attivista per sempre.

Arcigay è poi una realtà così variegata che ti permette di allargare i tuoi orizzonti e scoprire realtà che magari prima avevi solo sentito nominare.

Ho avuto modo di fare tante esperienze culturali e di vita che porterò sempre con me e che non scorderò davvero mai.

 

Ritieni che il teatro e la rappresentazione scenica possano essere un valido aiuto per rompere gli schemi e permettere alle persone queer (e più in generale agli appartenenti alle minoranze) di mostrare se stesse e di farsi conoscere da un pubblico più vasto?

Sì, credo che il teatro sia utile alle persone queer o facenti parte di minoranze per far sentire la propria voce, ma penso anche che esistano tanti altri mezzi.

Il modo migliore per abbattere un pregiudizio è sempre quello di parlare e far conoscere.

Il teatro può farlo narrando una storia, usando le parole e le immagini per arrivare allo spettatore ma in fin dei conti ritengo che si possano utilizzare moltissimi altri modi per comunicare qualcosa che ci sta a cuore.

Ciascuno di noi può scegliere il mezzo che più lo rappresenta o con cui sa comunicare meglio.

L’importante è essere fieri di ciò che si è e non lasciarsi abbattere.

Molto spesso il pregiudizio nasce dalla non conoscenza di qualcosa.

E quale modo migliore per far conoscere qualcosa se non parlandone in tutte le salse possibili e immaginabili?

 

Da pochi mesi a questa parte hai intrapreso una nuova e molto entusiasmante avventura: il Teatro dell’Imperfetto.

Che effetto ti fa essere parte di un nuovo gruppo e quali sono gli obiettivi che ti prefiggi di raggiungere insieme ai tuoi compagni di viaggio?

Ebbene sì, sono super entusiasta e felice di iniziare questo nuovo percorso.

Certo come ogni cosa nuova un po’ mi spaventa.

C’è la paura di non riuscire, di sbagliare, il terrore che qualcosa vada storto e che tutti i miei progetti vadano a gambe all’aria, ma come dicevo prima non bisogna lasciarsi abbattere.

Anche in una situazione un po’ difficile come questa l’unica cosa da fare è rimboccarsi le maniche, farsi coraggio e provare.

«Ho provato, ho fallito. Non importa, riproverò. Fallirò ancora. Fallirò meglio».

Sono le parole del grande Samuel Beckett e io ne ho fatto un po’ anche il mio mantra.

A mio parere la parola chiave è provare. Provare sempre.

Se va bene sarà fantastico, se andrà male pazienza, almeno ci ho provato!

Per quanto riguarda l’obiettivo che mi prefiggo, beh è semplicemente quello di fare teatro, una cosa che amo moltissimo e che mi regala davvero tanta felicità.

 

Il ricordo del nostro primo incontro è strettamente collegato a una serata di avviamento alla pratica teatrale tenutasi lo scorso febbraio nella sede dell’Arcigay di Padova. Tu eri la conduttrice dell’incontro, io l’alliev@ molto entusiasta ma anche un po’ imbranat@. Nonostante i miei numerosi errori, tu non hai comunque mai perso il sorriso e neppure la calma. Più che una domanda questo è dunque un piccolo tributo alla tua dolcezza e disponibilità.

Se poi, magari, hai anche qualche consiglio su come diventare così pacati, simpatici e zen, io sarei davvero il prim@ a starti ad ascoltare…!

Ti ringrazio per le belle parole.

Se devo essere sincera, ti dico però che in realtà non sono affatto una persona zen, anzi mi altero spesso, hahahaha!

Allo stesso tempo, credo però che una delle cose fondamentali nel teatro sia la pazienza. Uno spettacolo è un po’ come una piantina: devi dargli il tempo di crescere bene, sana, robusta e forte.

Mi reputo paziente ma anche severa quando serve.

Credo che stimolare gli attori in modo costruttivo e positivo, instaurando un rapporto di stima reciproca, aiuti davvero molto a raggiungere ottimi risultati.

 

 

Nicole Zaramella

Leave a Reply