Skip to main content

Lente d’ingrandimento sul movimento americano “Sins Invalid”.

Il movimento americano, collocato a San Francisco, Sins invalid, peccatori invalidi, propone “una sfacciata richiesta di bellezza in faccia all’invisibilità”, come indica lo slogan di questo progetto, il quale, a parer mio, ne esprime in modo illuminante l’intenzione: rendere visibile l’invisibile.

Questo approccio è legato alle arti visive coinvolgendo artisti e performers non facilitati fisicamente, nonché of color e queer – come la bellissima e bravissima Maria R. Palacios. L’intento politico: l’esigenza di visibilità di coloro che sono lasciati ai margini, in ombra, attraverso l’espressione performativa in cui il corpo è al centro del gesto artistico in quanto figura ed, al contempo, tramite di un pensiero. Queste performance, che vanno dal teatro alla video-arte, esplorano i temi della sessualità e, più in generale, della corporeità non facilitata, cercando di mettere in discussione il paradigma della “normalità”.

Prendiamo alcuni esempi: è profondamente toccante un monologo teatrale che l’artista Maria R. Palacios ha portato in scena quest’anno a S. Francisco. Si tratta di un dialogo tra lei, sulla sedia a rotelle, e lo specchio, tra lei e ciò che di lei è riflesso e si riflette in quella trasparente forma ovale che le sta di fronte. Progressivamente il dispositivo prende la forma di un dialogo interiore, tra ciò che lei è e ciò che non è. Ed anche quando l’attrice usa espressioni come “poor me!” (povera me!) lo fa enfatizzando le parole con la voce, rivelandone il carattere patetico, repentinamente inserito in un grintoso fluire di frasi e movimenti del corpo. L’impatto emotivo è fortissimo. Nell’atmosfera buia lo specchio, da interlocutore privilegiato, diviene, a poco a poco, nel corso della rappresentazione, un ornamento.

L’attenzione è tutta su Maria, sulla sua capacità di caricare emotivamente ogni frase, portando chi guarda a riflettersi affettivamente nella sua storia, soprattutto quando il discorso dell’artista sfiora le corde del leitmotiv che mette in scena: la fragilità.

In un’altra rappresentazione del 2009, al “Brava Theatre” di San Francisco, questa straordinaria performer mette in scena il suo “Vagina Manifesto”, in cui reclama pubblicamente le esigenze della sua vagina “stanca, silenziosa che nasconde un desiderio”, proprio come se fosse un essere umano. Si tratta quindi di un orgoglioso monologo sulla femminilità, declamato sottovoce ma in modo suadente, pieno di umorismo e di intelligenza, in cui la bella Maria vestita di bianco, coinvolge gli spettatori invitandoli a riflettere attraverso lo humor.

Un’esigenza si manifesta costantemente in ciò che l’artista inscena. Una richiesta limpida, cristallina: manifestare in modo fermo ciò che si è – manifestazione che non vuole abbagliare, ma far vedere, rendere visibile con sincerità. La sincerità di mettere in luce, portare in superficie, rendendo visibile agli occhi ciò che altrimenti non è altro che un’apparizione, un fantasma, una comparsa a teatro che riappare e di nuovo scompare.

Silvia Migliaccio