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Me le ricordo le notti insonni, le richieste di aiuto soffocate nel petto, l’atroce lotta verso una risposta che non sapevo dove cercare, la musica triste e altissima sparata nelle orecchie per stritolare i pensieri. Ecco cosa mi ha provocato la nostra società del cazzo, le nostre regole sociali, i tabù morali. Perché io non avevo da accettare niente, il problema non era il non accettare o capire che mi piacevano le persone del mio stesso sesso, o, prima di tutto, che non provavo attrazione sessuale per i maschi. No, non era questo il problema.

Il problema era che ci si ritrova soli, senza un esempio, senza un appiglio, senza internet in supporto, senza un’associazione LGBT+ in una città che ok, non è piccola, ma non è nemmeno una metropoli che ti mostra che la diversità, in tante forme, esiste. Bensì in una città in cui si è abituati a vedere sempre e solo certe cose, determinati binarismi, comportamenti, concezioni, stereotipi che devono essere la norma no? Perché una “non norma” nemmeno si sa che può esserci. Questo è il vero problema della mia vita, di dieci, undici, dodici anni fa.

Perché nessuno era come me, perché sembravano tutti dei cazzo di stampini conformati. Perché era tutto monocolore? Le parole gay o lesbica servivano solo per offese generiche senza peso. Né una discussione, né un dibattito, niente di niente sulla questione omosessuale. Ti senti un fottuto moscerino piccolo e insignificante che ha pensieri indecifrabili e sbagliati. Il problema per me non è stato tanto sentirmi un piccolo moscerino in un mondo di giganti, il problema è stato che non sapevo dove collocarmi, dove stare, dove sta un gigante che si sente un moscerino in mezzo a giganti che si percepiscono tali? È frustrante, è vivere cercando una corda a cui aggrapparti per salvarti che non arriva mai, non sai nemmeno come e da dove dovrebbe arrivare! E non ci si ritrova soli perché non si hanno amici, ci si ritrova soli perché come fai a spiegare una cosa che sembra non esistere? Allora pensi che nemmeno gli amici possono capire, pensi che quegli adolescenti non abbiano gli strumenti per capirti, per affrontare certe tematiche, e allora taci, trattieni e ti sfinisci lentamente. È bastato uscire dal recinto della città per scoprire che c’è tanto altro. Io ho dovuto oltrepassare un continente ed arrivare alla punta più estrema di un altro per capirlo.

Ma finché non lo sai, sbatti contro le quattro mura del tuo cazzo di paese, non trovando quello che cerchi.

Poi esci, capisci il tuo posto, o per lo meno come provare a starci, comprendi chi sei e come mostrarti. I vestiti non son più quelli che mamma ti compra in cui ti senti mancare l’aria e a disagio perché non ti rappresentano. Allora il disagio si livella, la rabbia si scioglie e pian piano il tuo sole esce da dentro di te. Le notti insonni, dicevo, me le ricordo. Mi ricordo come ho sconfitto tutto da sola e forse è per questo che oggi son così dura, dura con me stessa, non chiedo aiuto, mi rimprovero di non fare mai il possibile, vivo perennemente in salita, ma in una di quelle salite faticose e senza fine che non ti permettono di godere del panorama attorno. Ed è anche per questo, lo so, è anche per questo che, come un martello pneumatico ho rimproverato, oltre a me stessa, qualcuno che mi è stato accanto.

Forse è per questo che sto rischiando di perderti, ma è anche perché grazie a te l’ho capito, che ti amo.

 

 

Ginevra Campaini

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