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Alcuni pensano che le persone sprovviste di una fede religiosa siano automaticamente immorali, perché si ritengono al di sopra di ogni legge umana e divina. In effetti, quando mi chiedo se quel che faccio, che penso o che dico è giusto o sbagliato in relazione al contesto, non posso trovare la risposta da nessuna parte: non ho un libro sacro, un manuale di istruzioni che mi guidi. Non mi ispiro né ai dieci comandamenti né ai precetti di una ideologia politica o filosofica. Parto dal presupposto che io sono fallibile tanto quanto chiunque altro, e che quindi non c’è niente di male a cercare di decidere con la mia testa, ogni volta, quale strada prendere. Di solito valuto in base alle conseguenze che le mie azioni o parole avranno su di me e sugli altri, cerco di immaginare quali saranno gli effetti delle mie scelte. Spesso commetto degli errori, è vero, ma non credo che questa sia una prerogativa dei razionalisti.
Quando però non so proprio che pesci pigliare, quando ho due voci che si scontrano nella mia mente, c’è una regola che seguo e che mi porta spesso a smascherare i miei egoismi o le mie contraddizioni di comodo. A volte, anzi, è persino troppo difficile esserle fedele. La domanda che mi pongo è: cosa succederebbe se tutti facessero come me?

Penso che, se proprio dovessi, darei questa definizione del bene e del male: una cosa è bene se, applicata su larga scala, produrrebbe effetti prevalentemente positivi, e viceversa. Non mi vanto certo di aver inventato io questo sistema morale, in fondo è un po’ l’adattamento universale della regola d’oro comune a molte filosofie di vita e religioni: non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te.
Il bello di questa regola è che si adatta ai contesti più diversi e che ti insegna a non aspettarti di essere speciale rispetto agli altri, di essere un’eccezione, di poter fare quel che non accetteresti di ricevere. Questo non mi rende migliore degli altri, o più onesta, o più giusta: semplicemente io mi confronto con l’aspettativa migliore che posso avere su me stessa. Naturalmente, non sempre ne sono all’altezza, ma tento, e cerco di non raccontarmi balle.

Per esempio, quando ho fatto coming out, l’ho fatto pensando che se tutti si comportassero come me smetteremmo di essere una minoranza silenziosa, ricattabile e sfruttata.
Quando devo scegliere tra due reazioni, magari una più tollerante e una più aggressiva, quando devo decidere se farmi andar bene qualcosa che mi infastidisce oppure rifiutarmi di accettarla, quando ho davanti un bivio, cerco di prendere la decisione che gradirei prendessero anche tutti gli altri.
E non rispondetemi che tanto non succederà mai che tutti si comportino come me: io non lo pretendo affatto. La cosa più bella della mia morale è che si applica solo a me. Posso esprimere un giudizio sui comportamenti altrui, come è inevitabile e anche necessario, posso avere delle opinioni, ma non pretendo di influenzare con queste gli atteggiamenti di altre persone.

A me basta che non mi sia impedito, nei limiti della convivenza civile, di pensare e agire in base alle mie convinzioni, ma non cerco di fare in modo che anche gli altri le seguano.
E questa, ne sono certa, è un’idea che avrebbe effetti enormemente positivi, se tutti la mettessero in pratica.

Vulcanica

One Comment

  • luis ha detto:

    ed io che nonostante tutto non voglio farlo?
    Ma mi accetto e accetto tutto e tutti?
    E chiaro che se mi trattano male rispondo… A mio modo ma rispondo

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