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Claudio ha 29 anni ed è autistico high-functioning con un’ulteriore diagnosi di ritardo mentale1, eventualità piuttosto rara nell’ambito dei casi di disturbo dello spettro autistico ad alto funzionamento.

Una delle caratteristiche più tipiche della sua sindrome consiste nello sviluppare una fissazione con qualcosa e non trovare pace fino a che la suddetta cosa non viene fatta secondo quella che lui considera la perfezione. Ogni tipo di critica, o anche solo l’eventualità che si configuri la possibilità di una critica, rappresenta per lui una fonte di ansia, che ha necessità di sedare tramite la conferma da parte di persone esterne.

Io e la sorella di Claudio stiamo insieme da alcuni anni, e nonostante lui abbia intuito in maniera più o meno “superficiale” che tra noi esiste un legame particolare, pur essendo noi due donne, risulta tuttora piuttosto complesso spiegargli la natura del nostro rapporto. Sta di fatto che, quando Claudio ha bisogno di un qualche tipo di “conferma”, non esita a far riferimento a entrambe.

La prima volta che Claudio ci ha detto di voler aprire a tutti i costi un account su un Social Network ci si sono rizzati i capelli sulla testa. In particolare, era entrato in fissa con la piattaforma di video-sharing Musical.ly, definito dai media come “il nuovo social che ha conquistato i teenager di tutto il mondo”. Questa piattaforma sostanzialmente permette agli utenti, altrimenti detti “muser” – in gran parte minorenni – di condividere brevi videoclip di se stessi mentre ballano e cantano in playback su una traccia musicale di sottofondo (cercando al contempo di rendersi il meno ridicoli possibile). Già vedevamo orde di cyber-bulli pronti a fare di lui il nuovo caso di cronaca nazionale.

In quel periodo, oltretutto, la stampa pullulava di notizie di adolescenti che si erano tolti la vita a causa delle vessazioni continue – virtuali e reali – da parte dei loro compagni di scuola e coetanei, il che aveva contribuito a un discreto incremento del nostro livello di paranoia.

Ad ogni modo, dopo un primo momento di panico iniziale in cui si era configurata nelle nostre teste l’equazione autismo + social network + adolescenti esibizionisti = bullismo assicurato, abbiamo ragionato sul fatto che, tutto sommato, un tentativo si poteva fare, magari con un “piccolo aiutino” da parte nostra.

Perciò gli lasciamo fare i primi video, e per l’occasione Claudio decide di sfoderare una nuova fissazione: farsi i video in camera sua, mentre balla e canta sulle note dell’ultimo successo trap del momento, indossando esclusivamente il costume da bagno.

Ecco che, a quel punto, all’ “equazione del panico” si aggiunge immediatamente commenti omofobi come ulteriore variabile. Difatti, ecco che dopo poco arrivano, puntuali, i primi “ma che sei ricchione?” da parte di pre-adolescenti dotati di notevole sensibilità e acume mentale.

Ma io sembro gay?

Ci chiede preoccupato Claudio, che nel frattempo ha preso la buona abitudine di telefonarci un milione di volte al giorno per raccontarci ogni singolo commento che viene fatto ai suoi video per farseli “spiegare” e, naturalmente, rassicurare.

Ma ho forse la faccia da gay?

È stato in quel momento che le cose per noi si sono un po’ complicate. Dal punto di vista di Claudio, infatti, qualsiasi condizione di diversità fisica o psicologica significa solamente discriminazione, dunque esclusione da parte della comunità; motivo per cui, pur essendo Claudio consapevole della propria condizione, si è sempre rifiutato di accettarla. In un mondo in cui tutti vorremmo sentirci speciali, per Claudio la cosa più importante è potersi sentire uguale a tutti gli altri.

Abbiamo dovuto attrezzarci di una buona dose di “diplomazia” e pazienza (è necessario ripetergli le stesse cose svariate volte) per spiegare a Claudio che no, lui non sembra gay solo perché balla in camera sua in costume da bagno, ma anche che “essere gay” non è una cosa di cui doversi vergognare, così come non c’è nessuna vergogna nell’essere autistico.

Sapevamo che una cosa del genere sarebbe stata inevitabile. Altri “muser” si sono poi lanciati in commenti del tipo “ma come ti muovi, mi pari handicappato” contribuendo ad alimentare l’idea, già ben radicata in Claudio, che ogni forma di diversità, fisica e mentale, equivalga a un giudizio negativo sulla persona.

C’è da chiarire una cosa: Claudio è decisamente bravo a ballare, anni di pratica quotidiana con la Playstation lo hanno reso un campione del videogioco Just Dance (al quale noi nemmeno proviamo a sfidarlo). Ma la sua “particolarità” è in qualche modo evidente, intuibile da alcuni dettagli.
Così, insieme ai commenti fuori luogo degli haters di professione e dei semplici sprovveduti che non riescono a intuire la sua condizione, viene fuori che in realtà Claudio ha una nutrita fan-base di utenti che lo apprezzano genuinamente. Certo, per lui i commenti “negativi” rimangono un pallino su cui finisce per focalizzarsi anche troppo, a causa della sua incapacità di convincersi che le eventuali prese in giro non sono tanto conseguenza di una sua scarsa performance, quanto della scarsa sensibilità altrui.

Tuttavia, in una cosa Claudio ci ha realmente sorpreso: è diventato fin da subito in grado di gestire da solo le repliche ai commenti che gli venivano fatti, a volte in maniera più accondiscendente, altre volte dando sfogo a tutta la sua frustrazione.

In seguito, per curiosità, abbiamo deciso di farci un giro su Youtube (dove possono essere visionati i video dei vari “muser”), e lì scopriamo che esiste una notevole quantità di persone “normali” che si esibiscono febbrilmente e con una frequenza ossessiva in questi video-selfie, tutti pressoché uguali. Sembrerebbe che queste “star” improvvisate, che ballano per lo più in solitaria, chiuse nelle proprie camerette, non sono altro che persone, esattamente come Claudio, alla disperata ricerca di qualche cenno di approvazione altrui e, probabilmente, della conferma del fatto che loro esistono.

Allo stesso tempo, notiamo che vi è anche una quantità indefinita di persone, adulti e giovanissimi, in condizioni simili a quella di Claudio; persone con “neuro-atipicità” di vario genere e grado; ma anche semplicemente persone con caratteristiche fisiche particolari, come l’essere eccessivamente in sovrappeso o non particolarmente attraenti, che cercano semplicemente un canale attraverso cui farsi guardare, e per tutta risposta, a differenza dei cosiddetti “normali”, ricevono spesso insulti spietati e gratuiti.

“La verità è che sei brutta e soprattutto il tuo canale fa schifo”, così commenta un utente al video di una donna, colpevole di non essere troppo curata esteticamente e di mostrare dei chiari segnali di disturbo dell’apprendimento. Un altro utente decide addirittura di impiegare tempo ed energie per girare un video dedicato alla donna in questione, nel quale sostiene senza troppi giri di parole che quest’ultima “non dovrebbe stare su internet, anzi, non dovrebbe nemmeno girare per strada”.

Sarebbe bello che un giorno qualcuno introducesse nel manuale diagnostico delle malattie mentali anche la “disabilità emotiva”, l’incapacità di provare empatia verso l’altro. Forse avremmo un boom di diagnosi, e la maggior parte delle persone finirebbe per scoprirsi almeno un poco più stronza di quanto avesse mai pensato di essere.

Penso ai drammatici casi di cronaca recenti, come quelli di Michele Ruffino e Beatrice Inguì, e mi sembra di capire che ci sia un fenomeno più grande dietro questa assurda pratica di lapidazione verbale che spinge dei poco più che adolescenti, un po’ meno “normali” degli altri dal punto di vista di qualcuno, a scegliere la via del suicidio.
C’è il rifiuto di guardarsi nello specchio della propria stessa solitudine, del proprio stesso disagio, della propria stessa ossessione e della propria paura di non essere guardati, di non esistere agli occhi degli altri.

Una volta gli autistici e gli altri disabili mentali venivano rinchiusi in casa, perché nonostante tutti sapessero che esistevano, non si doveva far vedere. Pretendere di negare a qualcuno l’accesso a internet, che è il principale mezzo con cui oggi ci informiamo, con cui comunichiamo e tramite il quale ci mostriamo agli altri, equivale a voler negare a quella persona il contatto con una grossa fetta di mondo.

L’esibizionista solitario “normale” non accetta di vedere l’esibizionista “diverso” sul suo stesso piano, perché in fondo sa che in qualche modo loro due sono simili.
Il problema è che sbaglia punto di vista: non vede il “diverso” simile a sé nel suo naturale desiderio di farsi vedere e apprezzare dagli altri, ma vede se stesso simile al “diverso” nella presunta “deformità” di quest’ultimo.
Quindi si ritiene inconcepibile che un neuro-atipico, o una persona con una caratteristica fisica considerata “anomala”, desideri mostrarsi in pubblico così come chiunque altro.
Significa, ancora una volta, voler rinchiudere in casa il “diverso”, nasconderlo alla vista, perché fuori, per strada, nei luoghi pubblici – reali o virtuali – ci possono stare solo i “normali”, quelli certificati.

Alla fine siamo arrivate a una consapevolezza. Che la vita “normale” di noi persone “normali”, in fondo, è fatta di queste stesse dinamiche: l’impossibilità di sfuggire al giudizio altrui, sui Social così come nella vita reale, e la necessità di affrontare questo giudizio, a volte arrabbiandoci, a volte accogliendo le critiche costruttivamente.
Ogni volta che qualcuno esprime un giudizio su di noi, è perché ci sta guardando, ci sta considerando, e questo tendiamo spesso a darlo per scontato.

A tutti quei “diversi”, nel mondo reale come in quello virtuale, mi piacerebbe che arrivasse questo messaggio: non permettete a nessuno di rendervi invisibili. Non nascondetevi, Mai. Ogni “declinazione”, fisica e mentale, dell’essere umano ha diritto di gridare IO ESISTO! (come fa Claudio quando qualcuno cerca di ignorarlo).
Se qualcuno prova fastidio nel guardarvi, che non vi guardi. Ma che non osi impedirvi di esistere, di voler essere guardati.

Noi nel frattempo, grazie a Claudio, una cosa l’abbiamo capita. Che a modo nostro, tutti noi, “normali” e “diversi”, siamo un po’ ossessionati e ossessionanti; bisognosi di essere guardati e apprezzati, e che tutti ne abbiamo il sacrosanto diritto.
E soprattutto, che “visto da vicino, nessuno è normale”.

 

N.b.: Al momento della scrittura di questo articolo, Claudio ha totalizzato più di 8.000 fan sul suo canale Musical.ly.

P.I.

 

1_ Usualmente si intende che la diagnosi di ‘autismo ad alto funzionamento’ implica la mancanza sia di compromissione del linguaggio che di disabilità intellettiva.
Ma il QI minimo per una diagnosi di HFA (Autismo ad Alto Funzionamento) è 70, e fino ad un QI di 75 è ancora possibile trovare soggetti con significativa compromissione intellettiva.
Quindi, la concomitanza (o, in termine più tecnico, la comorbidità) di HFA e disabilità intellettiva è rara ma possibile. Inoltre, il QI è una misura sintetica di diverse abilità mentali, che vanno prese in considerazione separatamente per una corretta valutazione del soggetto. Nelle persone autistiche capita di avere grandi abilità e grandi deficit insieme, ma di solito questa situazione porta alla diagnosi di ‘disturbi specifici dell’apprendimento’, e solo raramente ad una ‘disabilità intellettiva’ vera e propria

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