Skip to main content

Sabato 15 giugno ho scelto di essere una delle centinaia di persone che hanno sfilato per le strade di Atripalda, un piccolo comune a pochi minuti da Avellino, in occasione del primo Pride irpino organizzato dall’associazione Apple Pie – L’amore merita LGBTQ+ fondata due anni fa dai meravigliosi Mara Festa, Antonio De Padova e Rebecca Piu. Ho seguito sin dal principio le attività dell’associazione, ho ascoltato ragazzi e ragazze, uomini e donne raccontare di discriminazione, difficoltà a ritrovare se stessi, ad accettarsi e farsi accettare in una società prigioniera del giudizio.

Pride di Avellino

Photo © Sabino Battista

La collaborazione con Apple Pie è culminata in uno degli incontri di dialogo più straordinari a cui abbia partecipato: il 6 giugno sono stata invitata a rispondere a domande su questioni di genere, sessualità, tabù e problematiche LGBTQ+ insieme a don Vitaliano Della Sala, prete cattolico e Michele De Prisco, ebreo. Le controversie che circondano i credenti delle tre religioni monoteiste quando sostengono pubblicamente i diritti della comunità LGBTQ+ sono ben note. Di questo e molto altro abbiamo discusso in un clima di rispetto e disposizione all’ascolto autentico, ognuno dalla propria prospettiva, con il proprio vissuto e la propria visione del mondo.

Alla fine dell’incontro ho preso la mia decisione: mi sono iscritta nella lista dei volontari addetti alla sicurezza di guidati dal fantastico Enrico Santonicola, per partecipare in modo attivo all’Abellinum Pride.

Come faccio a marciare in sostegno dei diritti di persone di cui il comportamento sessuale è contrario ai principi islamici?

Semplice! Il fulcro della questione è un altro. Se si fa un passo indietro si scopre che il pride fu istituito 50 anni fa come risposta alle violenze della polizia in un periodo in cui avere orientamenti sessuali diversi dalla maggioranza era illegale. Che incubo dev’essere stato! Immagino che se questa fosse stata la categoria “musulmani”, in quanto persone con orientamento religioso diverso dalla maggioranza, avrei vissuto una vita infernale. In effetti, se oggi ho la libertà di professare il mio culto, di vestirmi come desidero, di esprimere le mie idee in pubblico è grazie a persone che nel passato hanno lottato per i diritti, mai scontati e mai garantiti.

Dunque, ho partecipato al pride perché credo che ogni componente della nostra società plurale ed eterogenea vada rispettata, laddove in linea con i principi della Costituzione; perché lì ad Atripalda c’era parte della società civile a cui io appartengo, c’erano i concittadini in cui mi riconosco; perché quello era il posto giusto per me.

Pride di Avellino

Photo © Elena Russo

Da quando indosso il velo, per molti sono diventata elemento pericoloso ed estraneo alla società italiana, molti non accettano la mia scelta, non comprendono che è stata solo una scoperta, io sono nata così. Molti mi chiedono in continuazione perché mi ostini ad indossare il velo, quando potrei vivere la mia fede nel privato, e io ribadisco che la libertà di esprimere se stessi ed esserne orgogliosi è sacra. Ho perso amici, ho avuto difficoltà a lavoro, sono stata avvelenata dall’ipocrisia e schiacciata dal giudizio spietato; allo stesso tempo mi sono fortificata, ho sviluppato qualità umane che non conoscevo, ho incontrato persone che mi hanno accolto, con cui ho intessuto relazioni autentiche, e oggi queste ultime sono molte di più e molto più forti. Fra queste ci sono le persone di Apple Pie, che con il loro impegno quotidiano stanno trasformando la qualità delle relazioni umane nella mia città. Grazie ai numerosi eventi che organizzano, ci pongono di fronte a interrogativi importanti, mettendo in crisi le nostre certezze, andando oltre gli stereotipi e l’ignoranza.

Pride di Avellino

Photo © Giovanni Lombardi

Tra le persone LGBTQ+ ho trovato una solidarietà e comprensione straordinaria, perché vivere tormentati dalla minaccia di discriminazione e violenza, aiuta a sviluppare uno sguardo privilegiato e una sensibilità speciale verso le minoranze, tutte. Scegliendo di essere al loro fianco, ho richiamato alla mente la parola salaam “pace” che in arabo significa anche “integrità”, perché la pace si raggiunge quando riusciamo a creare armonia fra le contraddizioni e i conflitti che ci attraversano dentro e fuori di noi. Per questo motivo ho indossato la sciarpa della pace, per invitare tutti a superare le barriere della mente e ad aprirsi alla conoscenza dell’Altro.

 

Rosanna Sirignano

Leave a Reply