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Ciao Marco, quando hai scoperto di essere gay come hai vissuto il coming out?

Il mio coming-out è stata un’esperienza lacerante. Avevo 16 anni quando per la prima volta ho verbalizzato la questione alla mia migliore amica di Liceo. Ero confuso, preoccupato e pieno di domande. Da lì a poco un evento a casa mi avrebbe fatto scoppiare e gridarlo alla famiglia, che – a loro dire – non si era accorta di nulla.
È chiaro, pensavo io. Proprio perché si tratta di una condizione “normale”, non ci devono essere segnali, per così dire, standard – se esistono ovviamente.

 

Tu eri cattolico: cosa ti ha spinto ad aderire alla chiesa evangelica valdese?

Io ero cattolico per nascita: la mia famiglia mi ha battezzato nella chiesa cattolica e, dopo aver frequentato il catechismo, ho ricevuto i sacramenti dell’iniziazione cristiana: confessione, comunione e confermazione. Nel periodo di sofferenza dovuto alla scoperta del mio orientamento sessuale, mi sono allontanato dal cattolicesimo per vivere liberamente la giovinezza che si affacciava. Avevo incontrato persone con il mio stesso orientamento, preferivo condividere spazi e tempo con loro, piuttosto che con persone “amiche”, che non contemplavano alcun tipo di alterità.

La mia vicenda con il cattolicesimo è tanto avvincente da poter fare una bella serie TV! Cercherò tuttavia di ridurre all’essenziale. Verso i 20 anni mi sono riavvicinato a una chiesa cattolica della mia città: lì ho vissuto intensamente la mia fede, facendo parte di gruppi e consigli per la vita della comunità. Ero talmente dentro la vita ecclesiastica, da pensare che il mio futuro fosse quello di servire Dio con la consacrazione religiosa o con il sacerdozio. Fu attraverso esperienze vocazionali molto belle e al tempo stesso molto forti che mi accorsi di avere dei dubbi. Dubbi che riguardavano in particolar modo la struttura e l’impostazione teologica della chiesa: le mie perplessità e i miei divennero di sola natura ecclesiologia.

Non avendo trovato partner dialoganti su questa nota dolens, iniziai a prendere le distanze dalla chiesa cattolica progressivamente, cominciando a frequentare il culto domenicale della piccola comunità evangelica valdese della città. Ero entrato in contatto con questa chiesa in modo totalmente fortuito: poco tempo prima era giunto il nuovo pastore e, per spirito ecumenico, io e un fratello cattolico eravamo passati a salutare. Galeotto fu quel saluto di cortesia, che qualche tempo più tardi mi ispirò a ricercare la predicazione del vangelo in un luogo che non fossero le chiese cattoliche della città – ben otto per un paesino siciliano.
Da quel momento ho iniziato a frequentare la solo comunità valdese, chiedendo poco tempo dopo la catechesi – il che forse poteva far sorridere, data la mia già approfondita conoscenza dei fondamenti della fede – e l’anno successivo sono stato ammesso come membro della comunità.

 

Ti sei sentito subito accolto nella chiesa valdese in quanto omosessuale o hai avuto qualche difficoltà?

Penso di non aver mai detto alle mie sorelle e ai miei fratelli della chiesa valdese:

“Sono gay!”.

Penso non ci sia mai stato motivo di farlo: io ero lì, pregavo, cantavo con loro; più volte ho presieduto il culto, predicato il vangelo e amministrato il sacramento della Cena del Signore; ho guidato studi biblici, catechismi e campi giovanili; cucinato e mangiato con tutte e tutti loro. L’accoglienza della mia persona era basata sulla gioia e la condivisione, non su particolari caratteristiche, come in particolar modo il mio orientamento sessuale.

 

Tu come ti impegni per l’inclusione delle persone LGBT, dentro e fuori la chiesa?

In questo momento della mia vita, la mia prima “preoccupazione” è mostrare alle persone LGBTQIA+ che il Dio annunciato da Gesù di Nazareth è veramente un Dio che ama, al di là di ogni condizione economica, di orientamento sessuale o stato di salute. Ascoltare dubbi, perplessità o accuse nei confronti di Dio e/o della chiesa cristiana è il punto di partenza.
Nell’ascolto della sofferenza si apre una porta di dialogo, nel dialogo si spalanca la possibilità della condivisione, nella condivisione si sperimenta l’amore di Gesù Cristo che condivide il pane con le persone che vivono ai margini. Il mio essere cristiano è vissuto alla luce del sole, perciò non è molto differente ciò che faccio dentro e fuori l’ambiente della chiesa. Una differenza – se vogliamo chiamarla così – è la ricerca di parole nuove, affinché le persone che stanno “fuori” non si sentano minacciate o spaventate da un linguaggio troppo ecclesiastico.

 

Quel desiderio di servire il Signore di cui parlavi prima: c’è ancora?

Quella fiammella, come l’ho descritto una volta alla mia comunità, non è sparita, anzi è stata captata e alimentata dalle mie sorelle e fratelli. Il risultato è stato iniziare lo studio della teologia a Roma, presso la Facoltà Valdese, in vista del ministero pastorale. Mi preparo a servire le chiese metodiste e valdesi, quelle stesse chiese che mi hanno dato tanto e gratuitamente su vari fronti. Il ministero della parola si è palesato come possibilità di vita in maniera tutt’altro che ovvia: questo percorso è stato, e di certo sarà, un discernimento continuo, fatto di lealtà e fiducia, in Dio e nelle donne e uomini che mi accompagnano. È una storia d’amore e, come tale, ha le sue gioie e le sue sofferenza; ma proprio perché amore, ha la forza di ripartire!

 

Cosa ti sentiresti di dire a chi è in ricerca e si sente piccolo in questo grande mondo in trasformazione continua?

Il nostro pianeta continuerà a girare attorno al Sole; ogni cosa attorno a noi è in veloce trasformazione; non riusciamo quasi ad andar dietro alla frenesia del cambiamento. Però: la tua vita falla girare attorno all’Amore, perché questo solo rimane per sempre.

 

Emanuele Crociani
©2023 Il Grande Colibrì

 

Con Marco: far girare la vita intorno all'amore

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