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Ho letto tanti post e commenti sulle Sentinelle in piedi che non meritano, secondo me, alcuna considerazione, ma diciamo che non resisto all’invito di replicare… anche per evitare che si pensi che la normalità, la maggioranza, il senso comune siano dalla loro parte.

Luigi, nella sua lettera a Luca (link) scrive in modo paternalistico e, nelle sue speranze, manipolatorio. Vorrebbe passare da saggio e anzi come l’unico dei due in grado di pensare con disincanto e razionalità, mostrando invece una totale rigidità e mancanza di empatia. Ha senza dubbio revisionato la sua risposta cercando di renderla più tagliente e intelligente, lasciando per la strada tanti segni del cambiamento – passando dal tu al lei o viceversa – nell’indecisione su quale modo di rivolgersi a Luca suonasse più superiore.
Il suo stile mi respinge, ma serve a mascherare passaggi logici deboli o inutili.

Vorrei rispondergli che in realtà la legge ha molto, moltissimo a che fare con la felicità. La legge non è un dato normativo a prescindere, un nero su bianco di una supposta realtà naturale o divina che va solo accettata e preservata. La legge cambia, è a servizio delle persone, sancisce e dettaglia il patto sociale che è alla base della convivenza in un certo tempo e in un certo luogo. È in continuo sviluppo e cambiamento, proprio perché è fatta per facilitare e regolare la felicità di tutti, la maggiore felicità possibile del più gran numero di persone possibile, tendenzialmente di tutti. Chi si ritiene escluso, dimenticato o discriminato chiede a gran voce nuove leggi, che magari fino a quel momento non sembravano necessarie.

Un eterosessuale oggi si ritrova garantito dalla legge nel valore sociale dei suoi amori. Una persona omosessuale attualmente in Italia non lo è e quindi chiede, insieme a tutti gli eterosessuali che la pensano allo stesso modo, che la legge cambi o migliori. Secondo me è proprio questo errore sul rapporto tra legge e felicità che acceca l’animo delle Sentinelle, che lottano in difesa di una loro visione del matrimonio senza rendersi conto di calpestare il desiderio di felicità di altre persone, sia pure di una minoranza (criterio che non vale niente quando si chiedono uguaglianza e tutela).

La propria felicità non è un’opinione su cui fare un dibattito anche aspro, è un diritto. Non ho ancora capito che cosa esattamente sarebbe minacciato dall’avvento del matrimonio omosessuale. Gli eterosessuali continuerebbero a potersi sposare felicemente (o anche infelicemente, come purtroppo capita). Gli omosessuali, che esistono in ogni caso e si innamorano e fanno e realizzano progetti di famiglie di fatto come tutte le altre, potrebbero anche, volendo, contrarre matrimonio, rendendo la loro felicità più facile e pubblica e regolamentata. La società nel suo insieme non può che guadagnarci.

Penso che coloro che si oppongono a questi cambiamenti nascondano in realtà lo schifo che provano al pensiero di relazioni omosessuali. Peccato. Evidentemente non amano nessuno che sia omosessuale, tipo amici, figli, fratelli e sorelle… Non so davvero come facciano a non avere tra i loro affetti, neanche per caso, persone omosessuali, non da esibire come prove viventi della loro umana compassione, ma in cui identificarsi e di cui volere il bene. Si vede che se ne tengono ben lontani.

Il paragone con la poligamia spesso avanzato forse avrebbe un qualche senso, ma la poligamia è proprio vietata in Italia, mentre il matrimonio omosessuale non è affatto vietato, è solo non contemplato. Il paragone con altre situazioni è la solita umiliazione e anche disumanizzazione che si tenta verso gli omosessuali.

Per concludere con una cosa su cui sono d’accordo con Luigi, la Sentinella. È vero che se non piace la legge di un paese si può anche andare all’estero. Personalmente farò di tutto perché Luca e tutti i gay e le lesbiche possano rimanere qui, se vogliono, con me, e che siano gli altri a dover emigrare perché dicono di trovarsi male in questo paese, quando la storia li avrà sorpassati, anzi travolti, visto che si sono cementati i piedi nelle piazze con le colleghe sentinelle, in una immobilità disumana e autodistruttiva.

 

Silvia Masotti, Pisa

 

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