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Ogni tanto mi immagino di avere vent’anni oggi e scoprire di essere non binary. Mi chiedo se il mio percorso personale sarebbe diverso, ma faccio fatica a prendere distanza dal mio vissuto, sarebbe come reinventare la mia storia. E non posso farlo perché come tutti anche io sono figlia dei miei tempi.

Posso solo guardarmi indietro ora, vedere le cose in prospettiva, unire punti allora scollegati che oggi, a 42 anni, mi danno un quadro completo di quello che sono, regalando finalmente un senso a tutte quelle sensazioni di non conformità, stranezza, confusione e solitudine.

Una cosa però oggi la so: se da bambina, entrando in una sala con a destra sedute le femmine e a sinistra seduti i maschi, mi avessero detto: “vai a sederti”, mi sarei sentita le ginocchia tremare senza sapere dove andare.

Nel 1981 avevo tre anni, per una recita all’asilo le suore avevano deciso di legare un fiocco rosa in testa alle bambine. Io mi ero opposta, è il primo no categorico che io ricordi. Decine di bambine sul palco con il fiocco rosa.

Tranne me.

Il sentimento che ho provato è stato la vergogna. Vergogna all’idea di dover mettere quel coso, della gonna, di dover fare le cose da femmina. È stato il primo momento in cui ho capito che qualcosa di me era diverso dagli altri. Qualche anno dopo ho voluto tagliare i capelli cortissimi ed è capitato che mi scambiassero per maschio. Io mi offendevo moltissimo e allo stesso tempo mi sentivo confusa: non vuoi che ti trattino da femmina ma non vuoi che ti scambino per maschio, e allora cosa vuoi?

Allora non potevo capire che non era una questione di volere ma di essere.

La vergogna mi ha accompagnata anche nella prima adolescenza, quando ho iniziato a essere sessualizzata dai maschi. Non capivo perché le mie amiche volessero piacere e io no. Quando un ragazzino mi faceva il filo, io reagivo defilandomi o in modo aggressivo, perché doveva lasciarmi stare.

Il bullismo subito alle medie ha stroncato la mia estroversione: se gli altri pensavano che io fossi davvero un maschio, che in mezzo alle gambe non avessi quello che hanno le femmine, significava che non ero solo io a vedere di essere diversa.

In provincia, nei primissimi anni Novanta, a un caos interiore si sopravvive isolandosi. Io allora non cercavo persone come me, perché non potevo sapere che esistevano e soprattutto non sapevo cos’ero io, ma vedevo che qualcosa di me non era conforme a nessun altro. Mi dicevano tutti che ero strana, che ero una femmina uscita male, che ero lesbica. Alcuni ragazzini sono persino andati a chiedere al mio fidanzatino di turno come facesse a stare con “una come quella lì”.

Da eterosessuale ho ignorato per anni tutto ciò che riguarda il mondo LGBTQ+, poi a un certo punto in psicoterapia ho parlato per la prima volta del bullismo subito alle medie. Era come se per circa trent’anni quelle cose le avessi rimosse per non sentirne il peso. Ho ricordato la paura a letto la sera, quando pensavo che forse avevano ragione loro e che prima o poi mi sarebbe cresciuto il pisello, che ero davvero un maschio, anche se fino ad allora non si era capito del tutto.

Ho passato quarant’anni a non sentirmi accettata, focalizzavo il problema sulla non accettazione da parte degli altri.

Gli uomini con cui sono stata non hanno mai gradito il mio deficit di femminilità: non è mai stato qualcosa di estetico, è proprio insito nel mio carattere, nella mia indipendenza, nel mio modo di vivere ogni cosa senza dimostrare di avere dei bisogni e soprattutto il mio modo di rapportarmi a loro come se fossimo dei pari desessualizzati, cosa che li sconcertava e rendeva me meno interessante ai loro occhi. Quando poi uno di loro dopo una breve frequentazione mi ha detto: “Voglio una femmina che si vesta da femmina e che faccia la femmina”, ho capito che doveva esserci altro, non era solo una questione di accettazione da parte degli altri, ma era qualcosa di me che dovevo scoprire io.

Quando ho capito la differenza tra l’orientamento sessuale e l’identità di genere ho sentito un’implosione potente, accompagnata dalla mia voce interiore che mi diceva: “Ecco che cosa sei”. Ho sentito come se per tutta la vita io mi fossi retta in piedi su un’asse di legno poco ferma e all’improvviso mi fosse stata estratta di colpo e sostituita con qualcosa di fermo.

Mi sono vista nel corridoio di mezzo tra il gruppo di maschi e femmine mentre mi dicevo: “Tranquilla, rimani qui in mezzo, il tuo posto è questo.”

Scoprire di essere non binary da adulta per me è stato come uno tsunami che ti arriva addosso senza buttarti con la faccia nel fango, come se la sua funzione fosse quella di eliminare tutti gli sforzi di normalizzazione che ti sei imposta per decenni. E alla fine del suo passaggio sentire la tua voce che dice: “La puoi smettere di fingere di fare la femmina, adesso puoi essere solo la persona che vuoi essere.”

Ho sempre amato il concetto dell’equilibrio e adesso posso finalmente sentire di essere in equilibrio con quello che sono. Fino a quando non sai chi sei passi il tempo a definirti attraverso quello che fai, che esterni, attraverso le persone che incontri e i rapporti che hai. Sposti tutta la concezione della tua identità al di fuori, come se dovesse essere vista per essere riconosciuta anche da te, quando invece è come avere una pallina che ti dondola dentro la pancia senza trovare la sua collocazione, fino a che un giorno, trova il suo posto e smette di vacillare.

Ho imparato ad accettare il mio corpo femminile: penso che non ne vorrei mai uno maschile, anche se preferirei dei fianchi dritti e tutti i muscoli del corpo scolpiti. Ho la fortuna di avere il seno piccolo; se lo avessi grande mi sentirei molto a disagio. Ma il rapporto con il mio corpo è stato un problema per molto tempo, perché si accompagna alla sessualizzazione, e quando tu vuoi essere vista solo per la persona che sei, è difficile da mandare giù.

Quando ho fatto coming out con i miei amici, più di uno di loro mi ha detto che nonostante fosse ignar* delle identità di genere non binarie, mi ha sempre percepita, sin da bambina, come una persona del tutto neutrale, e ho trovato bello che alla fine chi ti ama aveva già capito in qualche modo prima di te chi realmente sei.

Io mi sento senza genere ma non è qualcosa che avverto come una mancanza, piuttosto come qualcosa di non necessario per sentire la mia definizione di persona, che si fonda su un ventaglio di qualità e difetti miei che non hanno niente a che vedere con l’essere maschio o l’essere femmina.

Ripenso spesso alla me stessa adolescente così confusa e spaventata, mi piacerebbe vederla oggi alla stessa età proiettata nel mondo di adesso e affrontarlo con la curiosità di chi cerca chi è senza il terrore delle sue non conformità.

Non so se per lei sarebbe tutto più semplice, ma mi piace pensare che possa capire prima di me che quello che si è, che sia dentro o fuori dai binari, sia qualcosa che ci regaliamo per diventare la persona che abbiamo sempre sognato di essere.

 

 

Lollo

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