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Quando ho letto le dichiarazioni che lo scrittore Umberto Eco ha pronunciato qualche giorno fa in occasione del conferimento della laurea honoris causa all’Università di Torino, non mi hanno fatto né caldo né freddo. Non mi sentivo chiamata in causa in quel momento.
Ma oggi, al termine di una settimana che per me è stata di forte attività sui social network e sulla rete in generale, le sue parole mi sono tornate in mente. Le ripropongo qui:

“I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli. La TV aveva promosso lo scemo del villaggio rispetto al quale lo spettatore si sentiva superiore. Il dramma di Internet è che ha promosso lo scemo del villaggio a portatore di verità”, osserva Eco che invita i giornali “a filtrare con un’equipe di specialisti le informazioni di internet perché nessuno è in grado di capire oggi se un sito sia attendibile o meno”. “I giornali dovrebbero dedicare almeno due pagine all’analisi critica dei siti, così come i professori dovrebbero insegnare ai ragazzi a utilizzare i siti per fare i temi. Saper copiare è una virtù ma bisogna paragonare le informazioni per capire se sono attendibili o meno” (fonte).

I social media danno diritto di parola ai cittadini. Tutti i cittadini – o perlomeno tutti quelli che usano un computer, hanno Internet e frequentano i social network. Internet ci permette, probabilmente per la prima volta nella storia, di conoscere davvero le opinioni, le idee e i pensieri di milioni di persone nello stesso istante, le reazioni a un fatto di cronaca o a una dichiarazione politica, di tastare insomma il polso del paese. Con alcuni distinguo: si tratta, in effetti, solo di quella parte del paese costituita da utenti del web e solo dei pensieri che essi si arrischiano a esporre online. Ma trovo che sia comunque una rappresentanza ampia e molto significativa, da cui possiamo veramente imparare chi siamo noi e chi sono le persone che abbiamo intorno.

Il problema quindi non è che tutti questi imbecilli di cui parla Umberto Eco abbiano la possibilità di parlare e di essere ascoltati, il problema è: perché una così larga parte degli utenti del web è rappresentata da imbecilli, molti dei quali provvisti di titolo di studio e magari di un incarico o di una personalità pubblici? Perché così tante delle notizie che si trovano online si rivelano essere delle clamorose bufale, in buona o in cattiva fede?

Questo ha poco a che fare con Internet in sé. In un esperimento di fisica, se laddove ci aspettiamo un picco di emissione di particelle il rivelatore ce ne segnala due, o non ce ne segnala affatto, nella quasi totalità dei casi la ragione andrà cercata nell’apparato di emissione delle particelle e non nel rivelatore. Internet è il rivelatore: è il mezzo. Internet è l’altoparlante attraverso cui queste “legioni di imbecilli” si esprimono. Prima lo facevano ugualmente, ma non li sentivamo (sto supponendo naturalmente di non essere compresa nel novero degli imbecilli, senza poterne avere la certezza; il che però gioca a mio favore, perché invece gli imbecilli di solito sono assolutamente certi di non esserlo). Eppure, anche se non li sentivamo, alcune tracce della loro presenza si facevano notare: perché gli imbecilli non si limitano a parlare (o scrivere attraverso una tastiera). Gli imbecilli votano, lavorano, fanno la spesa, camminano per la strada, vanno al ristorante, accompagnano i figli a scuola. Noi prima osservavamo le conseguenze dei loro comportamenti e potevamo al massimo immaginare i loro pensieri o le loro opinioni, adesso invece li sentiamo parlare (ovvero, leggiamo ciò che scrivono) e l’impatto è devastante.

Parlo per esperienza diretta e sono certa che sia capitato anche a molti di voi che leggerete quest’articolo: su Internet (ma anche nella vita, e anche in posti come le università in cui ci si aspetta un livello culturale minimo garantito!) capita di discutere con persone spaventosamente ignoranti. Ignoranti nel senso autentico del termine, analfabeti funzionali, che non sanno distinguere una notizia vera da una falsa, una fonte imparziale da una sfacciatamente di parte, a volte neanche un sito satirico da uno di cronaca. Persone che, a prescindere dai punti di vista che possono essere più o meno condivisibili, non sanno strutturare un discorso, argomentare la propria tesi o confutare quella dell’avversario, e così finiscono per parlare a colpi di slogan, frasi fatte, ripetendo sempre le stesse quattro boiate ignorando il fatto che l’altra persona le ha già più volte messe in discussione con delle argomentazioni a cui loro non hanno risposto. Del resto, è lo stesso tipo di dibattito a cui ci hanno abituato da anni i talk show politici, il che la dice lunga sulla posizione che gli imbecilli sono in grado di raggiungere nel nostro paese e l’influenza che esercitano.

La domanda che questo articolo vuole porre, senza purtroppo avere nemmeno una vaga idea delle possibili risposte, è: perché? Da dove ha origine un così tenace substrato di insofferenza nei riguardi della logica, della razionalità, del senso critico?

La scuola ha delle responsabilità, senza dubbio. Ne hanno anche i mezzi di comunicazione, specie se pensiamo che a volte anche i giornalisti (della tv o della carta stampata così come della rete) danno le notizie in modo approssimativo ai limiti, e spesso oltre i limiti, dell’inesattezza, attratti dalla comodità di copiaincollare l’articolo da un sito a caso piuttosto che alzare il culo, verificare di persona, interrogare, lavorare insomma. Ma è tutto qui?

Credo sia importante saperlo perché gli imbecilli secondo me, dott. Eco, non vanno “messi a tacere”, vanno educati. E se per loro è troppo tardi, che si salvino almeno i loro figli.

Vulcanica

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