Mi è capitato di ricevere l’invito alla presentazione di un libro presso il Senato della Repubblica a Roma. Ringrazio per l’onore, ma gli organizzatori hanno rimarcato che l’accesso alla sala esige “abbigliamento consono e, per gli uomini, obbligo di giacca e cravatta”.
Al di là di quest’occasione, la prescrizione di giacca e cravatta vale solo per le visite organizzate da enti ed associazioni – ai privati cittadini è semplicemente “consigliato un abbigliamento decoroso, pur non essendo richieste giacca e cravatta per gli uomini”.
Ritengo necessario osservare che:
- Da buon naturista, ritengo che un dress code lo si possa imporre solo per motivi igienici (come ad un cuoco) o di autoprotezione (come ad un astronauta) – altrimenti si deve lasciar libera la gente di (s)vestirsi come vuole;
- La cravatta non è un segno di eleganza ideologicamente neutro – per molte persone è un simbolo dell’Occidente; questo spiega perché in Iran sia stata proibita dal 1979 fino a poco fa, e molti ebrei evitino di indossarla perché la ritengono estranea alla loro tradizione; imporre la cravatta a queste persone significa costringerle ad esprimere dei valori che non professano;
- Soprattutto, se si impongono agli uomini cose da cui le donne sono esenti (o viceversa), nasce il problema del distinguere gli uomini dalle donne – e qui si apre un mostruoso vaso di Pandora (la colorita espressione inglese “to open a can of worms = aprire un barattolo pieno di vermi” spiega molto meglio quello che penso).
Non succede assolutamente niente se un uomo entra al Senato della Repubblica in drag o comunque senza cravatta, anzi, questa rottura del binarismo dei generi può essere benefica anche per le menti di chi abbiamo eletto.
Raffaele Yona Ladu
Ebreo umanista gendervague
Socio di Autistic Self-Advocacy Network
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