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Il blog “I dolori della giovane libraia” ha “scalato le classifiche” in pochissimo tempo, nonostante una grafica tutt’altro che trendy, nonostante la libraia non si sia affidata a nessun tipo di pubblicità e nonostante la cortese fermezza con la quale la libraia gestisce i suoi social ed esprime le proprie opinioni (tra gli altri, argomenti su sessismo, omofobia e razzismo) senza guardare in faccia a nessuno. È proprio grazie a questo, insieme alla indiscutibile qualità dei contenuti e al passaparola che la libraia è arrivata quest’anno ai Macchianera Award ed ha all’attivo due pubblicazioni a fumetti sulle proprie disavventure come libraia: I dolori della giovane libraia, Quanti dolori giovane libraia, nonché una collaborazione con la rivista femminista “Aspirina” (una nuova vittima della Bayer).

Quanti dolori giovane libraia

Domanda: Da cosa pensi che dipenda il tuo successo?

Libraia: In realtà sono 4 anni che arrivo ai Macchianera! Scherzi a parte le motivazioni possono essere varie e disparate. Quando ho aperto il blog ho subito pensato che dovesse avere una “variazione sul tema”. Di blog di libri e librai ce n’erano già una marea e mi sono detta: cosa può rendermi diversa da loro? Così ho pensato ai fumetti che però, paradossalmente, all’inizio hanno fatto molta fatica a ingranare. La riflessione però ha pagato perché è una delle parti più caratterizzanti del blog adesso. Un’altra cosa che le persone apprezzano molto è il mio avere un’opinione, giusta o sbagliata che sia (ci tengo poi sempre a sottolineare che è la MIA opinione non L’OPINIONE assoluta, altro problema che hanno altri blog). Solitamente i blog specializzati rimangono nella loro nicchia, come se il mondo esterno non esistesse: guarda il libro, mi piace questo libro, che bello è uscito questo libro. Il lavoro in libreria mi ha insegnato che invece tra le scelte editoriali del momento e la realtà ci sono dei nessi enormi che vale la pena mettere in luce. Basti pensare a Fusaro, uno che dieci anni fa sarebbe andato a Zelig, oggi pubblicato dalle maggiori case editrici perché “rivoluzionario”. Dubito che ci credano, ma sanno che è il vento che va in quella direzione. Il libro, anche la narrativa di intrattenimento, è un oggetto SEMPRE politico, ma è un lato che non viene quasi mai messo in luce. Mi piace pensare che a me salti all’occhio anche perché ho studiato biblioteconomia e quindi so che conseguenze può avere sulla storia un singolo libro o le modalità di trasmissione dell’informazione. Diciamo che forse, in generale, il mio blog funziona rispetto a tanti altri perché dietro ci sono delle idee mie personali forti, molto chiare, che non hanno nulla a che vedere con: apriamo un blog così divento un influencer e le case editrici mi notano (che, intendiamoci, è legittimissimo, ma non è quello che volevo fare io).

Non hai mai nascosto il fatto di essere lesbica, ma non hai mai neanche fatto un coming out esplosivo. (Ricordo a tal proposito una tua vignetta che ironizzava sul fatto che inserire la parola lesbica nel blog avrebbe attirato orde di maniaci). Insomma, hai sempre trattato il tuo orientamento come solo uno dei tanti elementi che ti rendono chi sei. Anche per i contenuti del tuo blog, scegli i libri e i fumetti da segnalare allo stesso modo; insomma, non senti il bisogno di giustificarti, sei ciò che sei. Ritieni che questa sia, politicamente, la scelta migliore per presentarsi, oppure ci sono altri motivi?

In realtà i dolori della giovane libraia non nasce come blog LGBT, quindi fare coming out esplosivi non aveva molto senso. Ritengo gli unici coming out esplosivi della mia vita quelli fatti la primissima volta con una mia amica e quello coi miei genitori. Fine. Sono anche una persona fortunata che ha avuto famiglia, amici e lavoro sempre dalla mia parte e quindi ho sempre potuto infilare la questione nei discorsi con tranquillità. Non sono arrivata al nuovo lavoro dicendo “Sono lesbica”, ma parlando del più e del meno parlo sempre di mia moglie e ora lo sanno tutti (ci tengo a sottolineare che non sono una di quelle del “non voglio etichette non sono un pomodoro”, io dico tranquillamente di essere lesbica, ma non trovo sempre funzionale il coming out esplosivo). Sul blog non l’ho mai nascosto, ho fatto molti post durante l’approvazione delle unioni civili in cui raccontavo la mia esperienza, spesso nei miei post parlo di episodi della mia vita privata e, durante la preparazione della mia unione civile, ho fatto numerosi fumetti in proposito. Ho scelto volontariamente di dare un’impostazione “naturale” alla questione. Ogni tanto ci sono presunti gay o lesbiche famosi che, davanti a domande sull’orientamento sessuale o compagn* dicono: “Eh ma non c’è bisogno di dirlo perché ora è normale”. Condivido. Ma nel senso che non ho bisogno di fare un post per dire che sono lesbica, PERÒ non fingo di non avere una vita privata o la occulto dietro macchinosi filosofeggiamenti. Nei miei post lo dico spesso, racconto della mia vita con mia moglie e dei siparietti casalinghi. Racconto cioè la mia vita dando per assodato che il fatto che io stia con una donna debba essere percepito dalla società in modo tranquillo e naturale. Molti rimangono spiazzati, ma poi entrano praticamente subito in una modalità di “Ah ok è così, andiamo avanti”. Durante la preparazione dell’unione civile non c’è stata una sola persona, neanche su Facebook (io uso molto Facebook che è un social difficile da gestire solo se non dai delle regole CHIARISSIME agli utenti in materia di netiquette a cui loro si adeguano molto più facilmente di quanto non ci piaccia pensare), che mi abbia detto “Sei lesbica???”. Non lo sapevano tutti, lo scoprivano così e invece di rimarcare l’ovvio, mi scrivevano di come avevano organizzato il loro matrimonio, sia donne che uomini etero e gay, perché mi seguono molti uomini. Penso sia importante essere visibili, ma anche comunicare al ragazzino gay o alla ragazzina lesbica di provincia terrorizzata che sono stata anche io che: ehi, la vita è mooooooolto tranquilla e che puoi parlare del tuo orientamento sessuale e della tua vita quotidiana di coppia anche en passant, mentre stai facendo altro, esattamente come fanno gli etero tutti i santi giorni.

Credi che per combattere pregiudizi e intolleranza la cultura sia davvero utile, o serva forse anche qualcos’altro? Perché se bastasse la cultura, come ci spieghiamo questi fior di laureati antivaccinisti e complottari, sessisti, omofobi, razzisti e quant’altro?

Dunque, la cultura è utile, ma non in senso assoluto. Nel senso, non basta dire: “Eh ma basta leggere di più” o “Studiate e tutto cambierà”. Non è così perché non è vero. La cultura da sola non salva e studiare non sempre serve (esiste tanta gente brava che però non è ABBASTANZA brava da vincere borse di studio e continuare un percorso di studi e avere le stesse possibilità che hanno altre persone che magari sono meno brave ma hanno i soldi). Quello che manca al momento secondo me sono due cose:

  1. La divulgazione e l’educazione per gli adulti. Erano cose a cui un tempo si stava più attenti, adesso si ritiene che la scuola dell’obbligo assolva i suoi compiti e addio. Perché? Non è vero e lascia molte persone senza strumenti per affrontare la vita e comprendere di cosa si sta parlando. Io sono laureata ad esempio, ma non capisco una cippa di economia, ad un corso base organizzato da comune, biblioteche o istituzioni pubbliche varie sul tema ci andrei molto volentieri, magari capirei meglio cosa accade. Se ci si prendesse l’onere di fare delle classi (non dei dibattiti), ma delle classi in cui si spiega ai neogenitori cosa sono i vaccini, a cosa servono, storia, percentuali ecc. gli psycoantivaccinisti esisterebbero comunque, ma molti genitori che sono solo confusi e magari spaventati da robe che leggono su internet scritte dal cuggggino del cuggggino che sembra tanto intelligente cambierebbero immediatamente idea.
  2.  C’è un’opinione diffusa ed è lì che si annida la peggio destra, che studiare sia una cosa da ricchi. La cosa drammatica è che in parte hanno ragione. In parte eh, perché io non sono assolutamente nata da una famiglia benestante, ma ho studiato, mi sono pagata l’università, ho lavorato in negozio (e tutti mi compativano perché pareva fosse vergogna per un laureato lavorare in negozio, mentre se devi campare ogni lavoro onesto è degno di rispetto) e ora faccio un lavoro per il quale ho studiato. Tuttavia non ho il coraggio di prendermi come esempio di regola perché so che non è così, impegnarsi è importante, ma non tutti hanno le stesse possibilità economiche, lo stesso spirito d’iniziativa o vengono da un contesto familiare e sociale che li incoraggia a migliorarsi. La società invece di aiutarli, ha messo su una specie di teoria del vincismo per il quale TUTTI i risultati dipendono da te e non importa la base di partenza: i migliori ce la fanno. Non è vero. Importa tantissimo, ma partendo da questi presupposti molti si sentono sconfitti ancor prima di iniziare e allora sai che c’è, manco ci provo. La cultura non è più vista come un mezzo per migliorarsi, ma come qualcosa che ti fa sentire ancora peggio. Poi intendiamoci, c’è anche una dose di fancaxxismo da parte di molti che non voglio sottovalutare, ma questo è un altro problema che scorre parallelo, ma non riguarda le stesse persone.

Parliamo un istante della temibile lobby gay omosessualizzante gender: a tutt’oggi, pescando a caso in una libreria (e, diciamocelo, la sezione narrativa LGB… è presente in ben poche), si trovano al 99% storie eterosessuali. Ricordo in particolare, tempo addietro, la dichiarazione di Lynn Flewelling “my Italian publisher cut the series off after the third book because of the sexual content, so yes, there has been some serious fallout […] . When I created my characters I was taking a big risk. Today it’s no big deal”. Già è sconvolgente che la narrativa con temi omosessuali venga automaticamente considerata sconveniente ma la domanda è: qual è stata la tua esperienza in merito come libraria di catena? Dove viene collocato, mediamente, un romanzo di genere con protagonisti GLBTecc? Pensi che sia utile un reparto LGBT nelle librerie o lo ritieni, come si usa dire in questi casi, “ghettizzante”?

Nella libreria dove lavoravo avevamo fatto una sezione LGBT, anzi, l’avevano proprio affidata a me quale persona informata sui fatti che quindi non poteva sbagliare! Prima non c’era per due motivi: si riteneva fosse ghettizzante e, non avendo certezza che chi se ne occupava sapesse metterci davvero mano, si rischiava qualche casino (tipo le librerie dove trovo LGBT e narrativa erotica mescolati e vorrei tirare giù lo scaffale a calci). Bisogna considerare che le librerie offrono un’organizzazione funzionale per il cliente: cosa cerca il cliente? E dove lo cercherà? Anche le regole della biblioteconomia vanno in questo senso: 1) Ogni lettore ha il suo libro 2) Ogni il libro ha il suo lettore 3) Salva il tempo del lettore.
Ecco la sezione LGBT serve secondo me per rispettare questi tre criteri: i lettori LGBT vogliono leggere storie LGBT e vogliono trovarle, il modo più funzionale per farlo è raccoglierle in una sezione, esattamente come la sezione dei gialli, la rosa e la fantascienza. Si riesce a fare questa cosa anche perché appunto le pubblicazioni con protagonisti LGBT sono irrisorie e serve davvero un libraio esperto per scovarle nella massa di sinossi che lasciano intendere vagamente senza svelare (dopo un po’ però il libraio diventa esperto, quando legge “una persona” o appare la parola “diverso” al 90% ci sta azzeccando). Il problema però in questo senso è dell’editoria, non della libreria. I librai pensano in funzione della massimizzazione del servizio e in questo senso la sezione LGBT da noi funzionava. Anzi, venivano persone, anche ragazzini, assolutamente entusiasti, felici, di trovare la scritta LGBT ben esposta, molte persone si facevano finalmente coraggio e chiedevano consiglio perché pensavano “se c’è scritto LGBT vuol dire che posso dirlo e la mia domanda non è strana”.

C’è solitamente snobismo nei confronti dei fumetti da parte degli operatori culturali, ma la tua posizione è diversa e illuminata (Il Grande Colibrì ospita spesso strisce, vignette e fumetti). Come possiamo condividerla?

Ultimamente il fumetto sta andando di gran moda. Basta vedere come si stanno iniziando ad affannare i vari bookblogger aspiranti influencer che hanno iniziato a piazzare fumetti qui e lì senza eccessiva cognizione di causa o come se avessero scoperto un oggetto incredibile arrivato sui nostri scaffali ieri. Anche il fatto che le major editoriali abbiano aperto quasi tutte una collana di fumetti va in questo senso. Il problema principale secondo me è la mentalità di molte persone che continuano a collegarlo a qualcosa di “meno serio” o per il quale “serve meno sforzo”. In libreria molti genitori non volevano comprare fumetti ai figli o rifiutavano consigli in tal senso perché “mio figlio non è stupido”. Il ragazzino voleva leggere, ma doveva leggere quello che pretendevano loro. Poi chissà perché da adulti non leggono. Mi auguro che se non altro questo improvviso interessamento collettivo alla materia la renda mainstream e quindi riduca questi episodi.

Un libro a tema LGBTQIA* imprescindibile, secondo te?

A me colpì tantissimo “La lingua perduta delle Gru” di Leavitt, ma un libro LGBT che mi sconvolse seriamente fu “L’erede di Hastur” di Marion Zimmer Bradley probabilmente perché non è quello che ti aspetti. È un fantasy, parla di poteri psichici, ma mentre lo leggi ti accorgi che parla di altro, della lotta interiore enorme che alcune persone devono affrontare anche solo per concedersi di pensare che forse provano sentimenti che invece sono stati forzati, anche violentemente, a reprimere. Una violenza che non è tanto fisica, quanto psicologica, il lavaggio del cervello che sostanzialmente abbiamo tutti dalla nascita quando ti dicono che un giorno ti innamorerai di un bel ragazzo, si sforzano di trovarti fidanzatini all’asilo e impostano la tua vita in modo sicuramente e certamente eterosessuale. Ecco, quel libro mi sconvolse davvero perché lo leggevo e capivo che ero io la persona di cui stava parlando. Volevo leggermi un fantasy e invece stavo finalmente capendo che non ero strana, ero lesbica, ma non avevo mai avuto il coraggio di pensarci.

E un libro imprescindibile che *tutti* dovrebbero leggere?

Acc. Oddio, è una domandona. Non saprei, ogni persona viene colpita in modo imprescindibile per motivi diversi, In generale credo che tutti debbano leggere qualche libro che li metta nei panni dell’altro o che ponga un dilemma morale, anche in modi sorprendenti, tipo “Sostiene Pereira” di Tabucchi. Cosa farei io se capitasse a me?

Trovate la libraia anche su FB: https://www.facebook.com/pg/idoloridellagiovanelibraia/

 

Veruska

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