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La storia antica, e in particolar modo quella legata al mondo greco e romano, esercita sicuramente un grande fascino nelle menti di noi contemporanei.

Ne sentiamo parlare fin da piccolissim* e, in alcuni casi, ce ne innamoriamo a tal punto da decidere di approfondire queste tematiche anche con il passare degli anni.

E’ un po’ quello che è successo a Giulia Tessaro, una ragazza di ventiquattro anni che dopo il liceo classico frequentato a Verona ha deciso di trasferirsi a Padova per studiare lettere antiche. Ottenuta la laurea triennale, Giulia sta ora proseguendo il suo percorso alla magistrale in lettere classiche. Il tutto senza mai accantonare l’attivismo a favore delle persone LGBTQIA (lesbiche, gay, bisessuali, trans, queer, intersex, asessuali) che ormai l’accompagna da ben otto anni…

 

Giulia, lasciatelo dire: hai proprio energia da vendere! Università, attivismo, tanti progetti a cui pensare… la motivazione di certo non ti manca!

E, a proposito di questo, mi piacerebbe davvero molto chiederti quali sono le ragioni che ti hanno spinto a intraprendere questo tuo percorso di studi e quali sono gli obiettivi che ti prefiggi di raggiungere nel prossimo futuro?

Prima di rispondere a questa tua domanda, permettimi di ringraziare te e la redazione del Grande Colibrì per avermi voluta coinvolgere in questo bel momento di dialogo.

Credo ce ne sia sempre un gran bisogno e mi fa piacere poter partecipare a questo dibattito.

Tornando alla questione di partenza, posso dirti che ho sempre sentito dentro di me questa vocazione, ho sempre saputo che questa sarebbe stata la strada giusta per me.

Ricordo che a sei anni vidi un libro per bambini contenente alcuni racconti illustrati tratti dalla mitologia greca.

Ne rimasi subito rapita e chiesi insistentemente a mia madre di comprarmelo. Mi piacevano le storie e i conflitti che quei personaggi vivevano e mi ci sono affezionata così tanto che ancora oggi conservo quel volume nella mia libreria. Alle superiori ho scelto di frequentare il liceo classico, grazie al quale ho avuto modo di conoscere meglio l’antichità greco-romana anche attraverso lo studio della lingua greca e della lingua latina.

In brevissimo tempo me ne sono innamorata, quindi quando è arrivato il momento di scegliere l’Università non ho avuto alcun dubbio e mi sono iscritta alla triennale di lettere antiche.

Un domani vorrei diventare docente perché credo molto nell’importanza di trasmettere la cultura e negli strumenti di conoscenza, di indagine e riflessione che lo studio del mondo greco-romano può portare nella nostra contemporaneità. Spero di poter fare un buon lavoro e di riuscire a trasmettere a* mie* futur* student* ciò che queste culture, che queste storie, che queste persone di epoche lontane hanno insegnato e continuano a insegnarmi.

 

Uno degli elementi d’interesse più discussi e dibattuti riguarda sicuramente l’esistenza e la percezione dei rapporti omosessuali all’interno della società greca e latina. Stando alle informazioni che tu stessa hai potuto raccogliere durante il tuo percorso di studi, quali sono gli elementi che meglio descrivono e caratterizzano la visione dell’omosessualità nel passato?

La questione è molto complessa, quindi cercherò di illustrare un quadro generale.

Per un’analisi più dettagliata rimando agli interessanti contributi di Kenneth J. Dover, Greek homosexuality e di Eva Cantarella, autrice di Secondo natura. La bisessualità nel mondo antico e di Gli amori degli altri.

Oltre a questo, ci tengo a precisare che la panoramica generale che tenterò di proporre sarà purtroppo quasi esclusivamente relativa al mondo maschile perché, al di fuori del tiaso saffico, poco si sa dell’universo femminile, che nell’antichità era considerato di scarso interesse e dunque molto poco documentato.

La prima cosa che dobbiamo capire è che i greci e i romani pensavano e vivevano l’amore in modo diverso da come lo viviamo noi oggi. Molti concetti che noi moderni spesso consideriamo universali sono stati infatti introdotti dal cristianesimo.

Greci e romani avevano parole diverse per definire le esperienze della sfera erotica e sentimentale-romantica. Solo per fare un esempio, posso dire che le parole omosessuale e omosessualità, come anche eterosessuale ed eterosessualità,  nell’antichità  non esistevano e come loro nemmeno i concetti che esse esprimono.

In Grecia, l’esistenza di differenti “preferenze sessuali” (come venivano chiamate allora), è spiegata già attraverso il mito dell’androgino e il discorso di Pausania, entrambi contenuti nel Simposio di Platone (IV sec. a.C.). Queste genti non solo non condannavano il rapporto omoerotico, ma riconoscevano ad esso un valore educativo: la paideia, ovvero la formazione del fanciullo, avveniva anche attraverso una relazione pederastica estremamente codificata, all’interno della quale al giovane era destinato il ruolo di amato-passivo (eròmenos) e all’adulto quello di amante-attivo (erastès).

Nel corso di questa relazione il fanciullo imparava dall’erastès sia i valori etici e civili sia l’eros, diventando così un uomo.

Attenzione, però: quanto detto sin ora non deve farci credere che i greci ammettessero qualunque tipo di rapporto, eterosessuale così come omosessuale, in modo totalmente libero.

L’etica sessuale greca era particolarmente rigorosa e si basava su una serie di principi, il più importante dei quali era quello di “virilità” intesa come “attività”.

Per l’uomo greco, infatti, ciò che importava era essere attivo in ogni ambito della vita, che fosse in guerra, in politica o nei rapporti sessuali con donne o fanciulli (non quindi con altri uomini adulti, tenuti anch’essi alla virilità).

Fino al compimento dei 18 anni, il fanciullo greco non era ancora giudicato un uomo capace di deliberare ed era quindi sottoposto a tutela. La stessa cosa accedeva anche alle donne, per le quali però questa condizione durava per tutta la vita.

Partendo da questo assunto, credo risulterà abbastanza facile comprendere che solo il giovane greco di sesso maschile poteva assumere e infatti assumeva il ruolo passivo nel rapporto omoerotico. Colui che, una divenuto adulto, continuava ad avere ruolo passivo era invece fatto oggetto di scherno e veniva additato come “donna”.

In sintesi, l’unico tipo di rapporto omoerotico maschile giudicato in modo positivo era quello pederastico, che si basava su regole precise: ad esempio, l’amante doveva desiderare l’amato allo scopo di farne un cittadino modello (quindi non solo per la sua bellezza) e l’amato doveva concedersi solamente una volta certo delle intenzioni serie dell’amante.

Le quasi uniche testimonianze relative all’universo femminile nel mondo greco sono quelle relative al tiaso di Saffo, la famosa poetessa attiva all’inizio del VI secolo a.C. che visse nell’isola di Lesbo.

Con la parola tiaso si usa intendere un’associazione di carattere prevalentemente religioso legata al culto di una divinità greca, in questo caso specifico Afrodite.

Nel tiaso venivano mandate le ragazze di buona famiglia per essere istruite in vista del matrimonio. Durante la loro permanenza al tiaso le giovani venivano istruite al canto, alla danza, alla ricerca della bellezza, della raffinatezza e dell’amore. Anche in questo caso, il tutto avveniva sempre attraverso il rapporto pederastico.

Il valore di questo legame è attestato anche presso le donne di buona famiglia nella polis di Sparta, secondo la testimonianza di Plutarco (tra I e II sec. d.C.).

A Roma la questione era molto differente, pur con alcuni elementi di somiglianza rispetto al mondo greco.

Come per i greci, anche per i romani la differenza fondamentale non era quella tra omosessualità ed eterosessualità, due concetti che, come abbiamo detto in precedenza, l’antichità non conosce, ma tra attività e passività.

Presso i romani, tuttavia, la relazione pederastica tanto considerata nel mondo greco, era malvista.

 

Dici sul serio? E perché mai?

La motivazione va ricercata proprio nel mondo romano, all’interno del quale la virilità era una prerogativa del cittadino indipendentemente dall’età ed era quindi inconcepibile che egli, per quanto giovane, fosse passivo.

L’etica romana (anche sessuale) si basava sui concetti di dominio e sottomissione: il cittadino romano non poteva e non doveva essere sottomesso, doveva invece sottomettere le donne e  gli schiavi, femmine o maschi che fossero.

L’uso di dominare gli schiavi era frequente e sdoganato a Roma tant’è vero che numerosi autori – è il caso di Cicerone ad esempio – ne parlano apertamente anche in merito alla propria esperienza personale.

Il discrimine, per il mondo romano, stava quindi non nell’età, ma nella condizione dei soggetti: un cittadino romano poteva giacere con donne e schiavi, ma non con un uomo di condizione libera. Questo almeno era quanto accadeva in origine.

In età tardo repubblicana, il poeta Catullo (I sec. a.C.) parlava apertamente della sua intimità con Giuvenzio, giovane di condizione libera: evidentemente, come altri aspetti della vita e della quotidianità, anche l’etica sessuale romana iniziava ad essere influenzata dall’incontro col mondo greco, avvenuto in occasione della guerra contro Pirro (III sec. a.C.) e delle guerre romano-macedoniche (III e II sec. a.C.).

Lo stesso Catullo però, in un suo carme, definiva Cesare cinaedus (uno dei molti termini spregiativi per indicare il passivo) per via del suo interesse alla compagnia di donne e di cittadini romani e, soprattutto, perché poco virile.

Secondo una battuta popolare Cesare era il marito di tutte le mogli… e la moglie di tutti i mariti. La virilità/attività era quindi ancora una caratteristica fondamentale. Fu sempre così? No. Iniziava pian piano, già ai tempi di Cesare, un percorso di “sdoganamento”, oltre che dell’amore per gli uomini liberi, anche della passività maschile nel rapporto omoerotico. Non è un caso che questa evoluzione nel modo di concepire i rapporti sia iniziata proprio con Cesare: egli incarnava l’uomo ideale e il modello di virilità sul campo di battaglia, quindi non poteva non essere un esempio anche per il modo di vivere la sessualità.

Con l’avvento del cristianesimo le cose cambiarono però molto drasticamente, poiché sull’etica sessuale pagana si impose con forza quella cristiana.

Al IV sec. d.C. risalgono infatti i primi provvedimenti legislativi contro la passività maschile, mentre sotto l’imperatore Giustiniano, nel VI sec. d.C., il Corpus Iuris Civilis sancì che il rapporto omoerotico, senza differenza tra ruolo attivo o passivo, fosse un reato punibile con la pena capitale.

Per la prima volta, dunque, il rapporto tra uomini fu additato come delitto umano e divino, un vero e proprio atto “contro natura”.

 

Un pensiero, quest’ultimo, che purtroppo è rimasto ben ancorato nelle menti di chi considera gli omosessuali degli esseri indegni e addirittura subumani…! Per fortuna, però, c’è anche chi cerca di combattere e mettere fine a questi orrendi pregiudizi, e tra di ess* ci sei anche tu, che da alcuni anni ti batti in favore dei diritti delle persone queer e LGBTQIA (lesbiche, gay, bisessuali, trans, queer, intersex, asessuali). Potresti per favore dirci quando e come è cominciato questo tuo percorso di attivista e quale/i ruolo/i ricopri all’interno delle associazioni di cui fai parte?

Tutto è iniziato nel 2012, quando ho conosciuto la mia attuale migliore amica: è stata lei a introdurmi negli ambienti dell’attivismo a Verona. Quando ho messo per la prima volta piede nella sede dell’associazione Pianeta Milk Arci/Arcigay (che è sempre un posto molto speciale per me) mi sono resa conto che siamo una comunità, che abbiamo una voce e che possiamo e dobbiamo farla sentire. Ho iniziato a frequentare la rete giovani di Arcigay Nazionale, grazie a cui ho potuto conoscere realtà locali diverse dalla mia e formarmi su questioni che prima ignoravo completamente. Una volta maggiorenne, sono stata coordinatrice del gruppo giovani di Pianeta Milk per tre anni consecutivi e ho avuto la fortuna di poter contribuire all’organizzazione del Verona Pride 2015, uno dei momenti più intensi della mia personale esperienza da attivista, soprattutto grazie alle persone straordinarie con cui ho condiviso quell’avventura.

Ora sono a Padova, frequento il gruppo giovani di Arcigay Tralaltro e, insieme ad alcune colleghe, mi occupo della gestione del progetto QUEERantine Reading Party, un gruppo telematico di lettura a cura di Arcigay Tralaltro in collaborazione con l’associazione Studenti per – Udu Padova.

L’iniziativa è nata proprio durante il lockdown e si propone di essere un momento di condivisione e socialità, ma anche di confronto culturalmente stimolante.

Sono molto felice di aver trovato un ambiente così vivo dal punto di vista dell’attivismo e di aver conosciuto delle persone interessanti con cui portare avanti la nostra lotta e stringere dei legami.

 

Lo credo bene e ne sono davvero molto contento! Poter far parte di un ambiente stimolante e in cui ci si sente ben accolti è a mio parere una cosa importantissima. Vale per l’attivismo, ma vale anche per qualsiasi altro ambito della propria esistenza, a cominciare dalla scuola.

Dato che poco fa accennavi al fatto che il tuo sogno sarebbe quello di diventare un’insegnante, ti chiederei di raccontarci quali sono le motivazioni e le spinte interiori che ti stanno guidando verso questa scelta bellissima anche se a volte un po’ difficile e complicata…

Le cose facili n’ce piacciono ahah…!

Scherzi a parte, so bene che quello dell’insegnamento è un mondo complicato, ma credo valga la pena di accettare questa sfida.

Le motivazioni sono innumerevoli, ma mi piacerebbe condividere quelle che sento maggiormente.

Innanzitutto sono convinta che ogni testimonianza, ogni storia, sia preziosa: molte persone lontane nel tempo e nello spazio hanno scritto, elaborato pensieri, creato arte, insomma hanno vissuto. Una parte (minima, purtroppo) delle loro storie è giunta fino a noi e io credo che non possiamo permettere che queste testimonianze vadano perdute.

Nel corso dei secoli, inoltre, alcune di queste storie sono state rimaneggiate e “adattate” secondo la comodità e gli scopi di alcuni, quindi credo sia nostro dovere riconoscere e distinguere attraverso lo studio ciò che è autentico rispetto a ciò che è corrotto per evitare che i pensieri e le storie delle persone siano ricordati in modo falsato.

Ritengo oltremodo importante trasmettere queste storie, la bellezza e la grandezza di queste culture capaci di interrogarsi sulle esperienze, le criticità e le paure del genere umano: la vita, la morte, la giustizia, l’amore, il conflitto interiore.

Tutto ciò non è ovviamente prerogativa esclusiva del mondo greco-romano, anzi sono convinta che questo sforzo non sia sterile perché possono sempre emergere nuovi spunti anche da testimonianze e dallo studio di mondi lontani.

Quello che mi ha sempre colpito nello studio del greco e del latino è ad esempio  lo sviluppo di un pensiero critico, oltre alla ricerca condotta in maniera razionale della verità e dell’autenticità di un testo, di una storia ma anche di una notizia.

Credo che come società abbiamo un estremo bisogno di questi elementi e vorrei fare la mia parte nel cercare di insegnarli e trasmetterli alle nuove generazioni, facendole appassionare a questi mondi lontani, ma nemmeno poi così tanto.

 

Ascoltando le tue parole mi viene da dire: beat@ chi ti avrà come docente! Di persone come te c’è sicuramente un grande bisogno, soprattutto in considerazione delle numerose difficoltà che sta attraversando la scuola italiana. L’idea che nelle aule si insegnino e si veicolino contenuti contrari al decoro e alla morale è purtroppo molto diffusa e genera spesso polemiche e scandali.

In che modo, a tuo parere, sarebbe possibile avviare un dibattito sereno e costruttivo su tematiche di attualità e strettamente legate a questioni come l’inclusione, l’accettazione della diversità e la parità di genere?

Innanzitutto sarebbe interessante capire cosa significhino per queste persone le parole ‘decoro’ e ‘morale’ dal momento che questi concetti non sono universalmente definiti, ma assumono contorni differenti a seconda dei singoli e delle culture nel tempo e nello spazio geografico.

Se intendiamo il decoro e la morale propri della cultura cristiana cattolica occidentale, quella cioè più vicina a noi e più presente sul territorio, dobbiamo quindi mettere all’indice tutto ciò che non è da essa considerato “decoroso” e “moralmente accettabile”?

Piccolo spoiler: di sicuro non rimarrebbe molto nei programmi di numerose materie, di certo latino e greco in primo luogo.

Trovo sia molto pericoloso stabilire cosa possa essere insegnato e cosa no: limitare l’apprendimento equivale a limitare la possibilità di maturazione, di sviluppo di un pensiero critico elaborato, di creazione di nuove idee e di sviluppo della persona e della società stessa.

La scuola deve essere un luogo libero, sicuro, stimolante e accogliente in cui proporre dibattiti, esprimere pensieri, crescere anche dal punto di vista del rapporto con gli altri e con la comunità. Sono convinta che il ruolo della scuola non sia solo formativo a livello meramente didattico, ma anche educativo: credo sia importante che la scuola offra la possibilità di arricchirsi senza alcuna imposizione di limiti.

Aggiungo un altro elemento che mi è caro: la scuola garantisce la libertà di poter imparare e sviluppare un pensiero critico senza crescere nella costrizione che, in alcuni casi, viene imposta dalla famiglia.

Di nuovo, mi fa rabbrividire il concetto di stabilire, da parte delle famiglie come di qualunque altro soggetto o istituzione, cosa possa essere insegnato e cosa no: il sapere è libero e deve continuare ad esserlo.

Io sono molto favorevole al dibattito, purché esso sia rispettoso, informato e costruttivo: le basi per iniziare un confronto devono essere queste, altrimenti non è un momento di dialogo, ma un torrente in piena di frasi a caso senza alcun fondamento e senza alcun fine costruttivo (e allora che senso ha?).

Credo che lo scoglio maggiore da superare per discutere di queste tematiche sia la paura che alcune persone hanno di perdere la propria condizione, diciamo pure il proprio privilegio, nel momento dell’incontro con l’altro, come se in qualche modo questo potesse portar via loro qualcosa a cui sono legate.

In secondo luogo, capisco che mettere in discussione se stess* e le proprie convinzioni, magari profonde e radicate da una vita, sia difficile, per questo credo molto nel confronto pacifico.

Non credo di aver dato una risposta soddisfacente a quest’ultima domanda, dopotutto io stessa mi sto ancora interrogando sulla questione: sarebbe meraviglioso avere una risposta fatta e pronta da servire, ma credo che mi (e ci, inteso come comunità e come attivist*), serviranno ancora molti momenti di riflessione.

Di sicuro però continueremo a lavorarci, te lo garantisco!

 

 

Nicole Zaramella

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