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“Il mondo dei bambini è fatto di fantasia, come quello delle Drag Queen in fondo”.

Di tutte le bellissime frasi pronunciate da Francesco Pierri durante la nostra chiacchierata, quella appena citata è sicuramente la mia preferita. Perché racchiude un mondo, anzi un universo di colori, dolcezza e sì, anche di liberazione.

Perché essere una Drag Queen, così come essere un* bambin* è un’esperienza molto più coraggiosa, dirompente e intensa di quanto il senso comune potrebbe farci pensare.

 

Francesco, tu nella vita sei un assistente sociale. Quando e come hai iniziato a entrare in contatto con il mondo Drag e quali significati ha avuto e ha per te questa esperienza?

Cristina nasce sei anni fa un po’ per caso.

Non c’era mai stato in me il desiderio di fare la Drag Queen, anzi a dire il vero all’inizio respingevo e non capivo quel mondo. In un certo senso credo si trattasse di una sorta di omofobia interiorizzata. Il mio migliore amico, invece, sognava di fare la Drag Queen sin da bambino veniva a casa mia e si truccava e vestiva per ballare in corridoio.

Un giorno, per puro caso, dimenticò le sue scarpe col tacco da me e così, nella solitudine della mia stanza, decisi di provarle. Facevano un male cane e camminarci era impossibile. Da quel momento in me si fece largo una specie di moto di ammirazione e iniziai a considerare la passione del mio migliore amico non più come uno stupido capriccio, ma come qualcosa di molto più profondo. Ci doveva essere anzi c’era qualcosa di più dietro tutto questo; c’era qualcosa di più dietro alla scelta di sottoporsi ad una tortura del genere.

Un giorno, sempre per caso, ci proposero di esibirci in un locale, ma lui era troppo timido e da solo non ci sarebbe mai andato. Di fatto, avrebbe rinunciato al suo sogno e per impedire che ciò accadesse decisi di accompagnarlo.

Da lì nacque il duo Spice Bomb formato da Cristina Prenestina e Renèe Coppedè.

I cognomi che abbiamo scelto derivano dai quartieri di Roma dove abitavamo.

Volevamo raccontare Roma e le sue contraddizioni.

Inizialmente questa esperienza aveva un significato meramente goliardico. Volevo vivere un momento di gioco con il mio migliore amico, dare sfogo alla mia vena artistica. Nella mia immaginazione tutto questo sarebbe durato un paio di mesi al massimo e poi avrei appeso la parrucca al chiodo. Ma una volta salito su quei tacchi, quando mi trovavo davanti a un pubblico e riuscivo a catalizzare la sua attenzione ho capito che non poteva trattarsi di semplice gioco: in una società maschilista ed eterosessista, che esalta la visione machista, del maschio virile, un uomo che veste abiti femminili diventa un gesto politico e rivoluzionario. Una presa di posizione che rompe la campana di vetro dello stereotipo dove aleggia la cappa tossica di una visione binaria del Genere. Credo che sia doveroso da parte di noi Drag Queen non fermarci al solo gioco, al solo spettacolo, ma andare oltre. Siamo detentrici di un messaggio, diventiamo bandiera di lotta e rivendicazione ed è giusto ribadirlo in ogni istante, luogo e situazione, anche in discoteca.

Io per primo ho per l’appunto provato a dare spessore a quello che facevo. Dietro la maschera della superficialità si nascondeva un messaggio. Vale lo stesso per il nome che ho scelto di darmi e che volevo facesse riferimento a un personaggio con una storia alle spalle.

Cristina deriva infatti da Cristina di Svezia, la cui vicenda personale mi ha sempre molto colpito e affascinato. La leggenda narra che fosse ermafrodita, che da regina abbia rinunciato al trono pur di non sposarsi e che sia venuta in Italia per vivere la sua omosessualità liberamente. Girando il nostro Paese ho potuto constatare che il livello artistico delle Drag è altissimo. Il problema è che l’ambiente è diventato un po’ troppo glamour dimenticando quello che doveva essere il messaggio di Stonewall: il movimento nasce da una travestita che si ribella. All’interno della lotta ai diritti gay, il ruolo del travestito, del cross gender, è un ruolo chiave, centrale e non possiamo e non dobbiamo dimenticarlo.

 

In una tua precedente intervista hai descritto Cristina come l’esatto opposto della drag glamour e sexy, definendola “l’altra”, quella “simpatica, che gioca con se stessa” conoscendo i propri limiti e facendone un punto di forza. Se non sono troppo indiscreto, potrei chiederti quali sono questi limiti e in che modo tu e Cristina avete trovato il modo di superarli?

Abbiamo tutti dei limiti, seppur la cultura occidentale ci spinga costantemente al sogno della perfezione, dell’onnipotenza. Inseguire quel sogno, però, significa condannarsi all’infelicità. La vita invece ci insegna quanto siano belle le nostre imperfezioni, i nostri limiti, le nostre diversità perché ci rendono unici. Dobbiamo abbracciare le nostre  unicità, essere orgoglios* di loro, comprendere i nostri punti deboli, le nostre paure, affrontarle  e non nasconderle. Un tempo anch’io ero schiavo di canoni troppo alti, di ansie da prestazione, di etichette e di regole che non avevo scelto io. E non ero felice. Così un giorno mi sono guardato allo specchio e mi sono detto “SEI COME SEI e non c’è nulla di più speciale al mondo”. Ho fatto della mia imperfezione la mia bandiera, il mio orgoglio.

 

Nell’intervista concessa a Freeda, hai raccontato con grande sensibilità e delicatezza la tua passione per il mondo dell’infanzia e per i bambini, di cui adori “la capacità di saperti guardare con un occhio totalmente privo di giudizio”. Personalmente la trovo una frase davvero intensa e bellissima e mi piacerebbe tanto se approfondissi il discorso partendo magari dalla tua esperienza come assistente sociale…

Il mondo dei bambini è fatto di fantasia, come quello delle Drag Queen in fondo.

Non mi sono inventato nulla  di nuovo perché l’iniziativa è nata a San Francisco anni fa, arrivando poi in diversi paesi europei. Il governo svedese, ad esempio, finanzia direttamente il progetto con lo scopo di sensibilizzare e promuovere tematiche legate all’integrazione e all’accettazione. Vista la mia esperienza come assistente sociale, ho pensato che fosse interessante farlo anche in Italia. Ho lavorato per diversi servizi, tra cui gli asili nido. Avevamo una serie di libri di fiabe da leggere alle classi, ma nessuna trattava temi nuovi, erano le solite storie della cultura contadina. Le favole raccontano una società. Ma le favole del passato raccontano una società patriarcale, promuovono modelli di differenza di genere che non possono più rispecchiare le società di oggi. Bisogna raccontare il cambiamento, la diversità come valore, l’uguaglianza e l’equità come diritto. Per questo ho deciso di introdurre nuovi testi, nuove storie, con nuovi protagonisti, per dare una speranza a que* bambin* che pur sentendosi divers*, non crescano nella paura di essere sbagliat*.

 

Pochi mesi fa sei stato tuo malgrado protagonista di una polemica abbastanza colorita. Alcuni esponenti della destra hanno infatti attaccato un’iniziativa promossa dall’associazione “Cittadini del mondo”, un progetto extra curriculare e totalmente gratuito che prevedeva la lettura di favole a bambin* e ragazzin* organizzato all’interno di una biblioteca romana. La tua risposta alle loro accuse è stata a mio parere davvero composta ed esemplare, oltre che molto chiara e concisa. Senza chiederti di rivangare nello specifico quell’episodio, immagino per te piuttosto doloroso, mi piacerebbe conoscere il tuo punto di vista su quanto è successo e sulle motivazioni che a tuo parere hanno spinto alcuni politici ad attaccarti…

L’iniziativa prevedeva  quattro incontri di lettura di fiabe all’interno della biblioteca, a cui le classi aderenti avrebbero partecipato. Il mio progetto andava avanti già da un anno senza che nessun esponente politico avesse mai detto apertamente di esserne contrario. Per la prima volta però c’è stato il patrocinio del VII Municipio di Roma. Credo che l’intento fosse più quello di attaccare il comune di Roma, dato che in realtà nessuno degli esponenti di destra che mi ha attaccato, si è poi informato realmente a proposito dei contenuti dell’iniziativa. Nessuno si è preoccupato di conoscere chi fossi io, il mio curriculum, l’associazione che sta dietro al progetto, quali fossero i testi e quindi i temi che avremmo trattato. Credo fermamente che prima di attaccare, bisognerebbe conoscere e comprendere: attaccare a priori, criticare senza sapere nulla, non lo trovo molto costruttivo, anzi! A mio parere, certe offese definiscono solo chi le fa e non chi le subisce.

 

L’ultima domanda che ti pongo è un po’ una provocazione ma forse nemmeno così tanto…! Se capitasse l’occasione e potessi scegliere, che favola leggeresti a una delle persone che ti hanno così aspramente criticato?

Se qualche adulto finge di non vedere il cambiamento e vorrebbe riportare l’Italia indietro anni luce, allora gli farebbe bene ascoltare qualche favola nuova. Tra le favole che leggo, molte delle quali si possono trovare sul mio canale IG tra le storie in evidenza, la più indicata sarebbe sicuramente I colori delle emozioni  di Anna Llenas edita da Gribaudo.

Racconta la storia di un mostro che non conosce le proprie emozioni, ma grazie all’aiuto di una bambina imparerà a riconoscerle e a leggerle. Questa storia nella sua semplicità racchiude l’essenza di tutto ciò che faccio. Sono convinto che non esistano i cattivi, i mostri, credo che più semplicemente ci sia gente che attacca, urla, odia, perché non conosce. Se aiutiamo queste persone a comprendere, se forniamo loro una nuova chiave di lettura delle cose, sicuramente riuscirebbero a capire: l’ignorante è tale perché ignora, mica perché è stupido.

 

 

Nicole Zaramella

[fotografie di Serafino Giacone]

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