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Quando è stata votata la legge 194, ciò che la società era impegnata a tutelare era la vita di una persona non in potenza, ma già in atto, nata e viva: si voleva tutelare la donna e la salute del suo corpo. Con il voto del 1978, gli elettori italiani postularono un diritto fondamentale: il diritto di ogni individuo, nello specifico di ogni donna, all’autodeterminazione circa la propria salute e il proprio corpo. Spesso questo diritto è messo in discussione, forse perché ci si dimentica di cosa possa significare per una donna il percorso che la porta ad abortire, ci si dimentica di ascoltare le donne.

Quando incontro Laura, provo a sgombrare la mente di ogni opinione personale; voglio affrontare il suo racconto con la stessa ingenuità con cui lei ha vissuto la sua esperienza: ha abortito all’età di soli 14 anni, in un’epoca in cui si era appena aperta la discussione sull’educazione alla sessualità. Nel 1977 Laura ha fatto l’amore per la prima volta ed è rimasta incinta. Non mi racconta del ragazzo che era con lei né della vita che aveva in corpo; mi racconta della mamma, cui ha chiesto aiuto e che si è prodigata per trovare un medico che illegalmente le praticasse un aborto: «Se ne parlava tra donne, di come fare senza correre rischi».

Provo a immaginare le sensazioni che attraversavano quel corpo di bimba, gravato da uno sbaglio molto più adulto di lei, mentre Laura descrive i pochi minuti del suo aborto: «Sono entrata nello studio medico e mi sono seduta come se avessi dovuto fare una normale visita ginecologica; il dottore mi ha messo dell’etere al naso e sul pube, ma non dormivo: ho sentito che tutto mi veniva strappato dal corpo. Sono uscita dopo 10 minuti, sulle mie gambe, così come ero entrata».

Non riesco a chiederle di più. Mi bastano il gesto di portarsi le mani al ventre e lo sguardo che rivolge alla figlia che ha dato alla vita anni dopo quest’esperienza; una ragazza di vent’anni, fiera dell’onestà della madre e di come l’abbia educata nella consapevolezza del proprio corpo e della propria sessualità.
«È stato il giorno più brutto della mia vita; – dice Laura– il più bello quando ho avuto lei».

Alice invece ha abortito 7 anni fa, appena maggiorenne, legalmente e con la giusta assistenza medica. Mi parla prima di tutto di un corpo che si trasforma a causa di un ospite inaspettato: «Qualcosa che da un po’ di giorni mi faceva rallegrare e scoppiare di rabbia nello stesso istante».

Ha da subito le idee chiare: vuole interrompere la gravidanza. L’iter però è meno semplice di quello che lei si aspetta: dagli sguardi gravi della farmacista che le vende il test di gravidanza, all’impossibilità di scegliere un consultorio adatto alle sue esigenze, vincolata alla propria residenza; Alice si vede costretta a coinvolgere il partner: «Ci volevamo molto bene, ma non lo volevo vicino. Avrei fatto volentieri a meno di stare con me stessa ma, non potendo staccarmi da me, mi staccavo almeno da lui».

Anche dallo psicologo, Alice subisce la violazione di giustificare la propria scelta davanti a medico e compagno, «come se io non avessi il diritto di decidere della mia vita. Dissi che non era il momento, che io volevo crescere e realizzare me stessa. Dissi che non sarei stata in grado di amare un figlio, perché l’avrei incolpato di tutto quello che non avevo potuto fare».

È il suo partner a coinvolgere i genitori, ma in loro Alice trova degli inaspettati alleati: non solo l’accompagnano in questa «lotta stile film d’azione» contro il tempo; dopo l’intervento l’attendono con una tavolata di dolci: «Mi sembrava una festa, e forse lo era. Io ero orgogliosa di me, della mia forza e risolutezza. E, in fondo, ero già fiera di tutte quelle cose che pensavo di non poter più fare e che invece, ora, erano nel mio futuro».

«Oggi, a 25 anni, posso dire che quella è stata la scelta migliore della mia vita. Non avrei fatto tutte quelle cose che mi hanno resa me stessa, le sensazioni e lezioni che hanno costruito e plasmato la mia persona.

Ho deciso fra due vite. E sono fiera, felice e incredibilmente grata per la scelta che ho fatto. Ho esercitato un mio diritto. Non la 194. Ho esercitato il mio diritto a essere felice».

 

Sara Ferrari

fonte: Pequod Rivista

 

Pequod Rivista

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