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Alla domanda «volete che sia emendato l’articolo 41 della Costituzione del 1937, con l’inserimento di una nuova clausola nella sezione “Famiglia”? “Il matrimonio può essere contratto per legge da due persone, senza distinzione di sesso”», il 62 % degli irlandesi ha risposto “Sì”. I paesi dell’Unione Europea che ancora non hanno adottato nessuna legge che riconosca i diritti delle coppie omosessuali sono 9: Italia, Grecia, Cipro, Lituania, Lettonia, Polonia, Slovacchia, Bulgaria e Romania.

In Italia, ancora non sappiamo quale sarà l’esito della discussione della proposta di legge “Cirinnà” sulle unioni civili. Sono stati presentati all’incirca 4000 emendamenti che, malgrado la determinazione della senatrice Monica Cirinnà, l’appoggio del premier Renzi e la possibilità che una maggioranza per i diritti si costituisca ad hoc, rischiano di mettere in pericolo i diritti garantiti dalla futura legge (stepchild adoption, cioè la possibilità di adottare il figlio del o della partner, e la reversibilità della pensione, due punti che suscitano forti opposizioni), o addirittura di metterne in pericolo l’approvazione.

Molte sono le voci che hanno salutato il “sì” irlandese con grande entusiasmo. Tra le tante, quella della Presidente della Camera, Laura Boldrini, che su twitter incalza: “Dall’Irlanda una spinta in più. È tempo che anche l’Italia abbia una legge su #unioni civili. Esseri europei significa riconoscere i diritti”. Una presa di posizione senza dubbio importante che rivela, però, una visione dell’uguaglianza dei diritti all’italiana su cui riflettere.

Certamente, una legge che riconosca i diritti delle coppie omosessuali è, non solo un passo importante per porre rimedio al ritardo italiano, ma anche un’urgenza per tutelare le persone e le famiglie che vivono oggi in un vuoto giuridico, fonte di insicurezza, di ingiustizie e di innumerevoli problemi nella vita quotidiana (eredità, pensione, cura dei figli, ecc.). Eppure, il fatto che si sia intrapresa la via dell’unione civile (sul modello tedesco) andando a creare un istituto giuridico riservato alle coppie formate da persone dello stesso sesso è un’opzione politica che ha delle controindicazioni non trascurabili.

Si ricordi, in effetti, che la proposta di legge presentata in Italia non prevede una modifica del matrimonio civile che rimane esclusivamente eterosessuale, e istituisce l’unione civile come forma giuridica dell’unione tra coppie esclusivamente omosessuali. Si creerebbe così una doppia esclusione.

Da un lato, gay e lesbiche continuerebbero ad essere escluse/i dal matrimonio e accederebbero a una forma giuridica da cui dovrebbero discendere alcuni diritti (soprattutto patrimoniali) ma non per esempio la possibilità di adottare (al di fuori della coppia) o di ricorrere alla procreazione assistita (fecondazione in vitro). Dall’altro, le coppie eterosessuali che, per una ragione qualsiasi, non si riconoscono nel vincolo del matrimonio, per ufficializzare civilmente la loro unione, non avrebbero altra scelta che sposarsi.

Che si sia intrapresa la strada del compromesso, in un contesto politico di larghe intese e in un paese in cui la classe politica continua ad essere sottomessa al potere di influenza della Chiesa cattolica, non stupisce, ed è probabilmente l’unica strategia vincente, per quanto ancora sospesa all’imprevedibilità dell’iter legislativo. Si veda per esempio la sorte toccata alla proposta di legge “Scalfarotto” (legge sui crimini d’odio a stampo omofobico e transfobico), infossata e denaturata proprio da questa stessa strategia del compromesso che l’ha condannata a uscire tristemente di scena, offrendo una vittoria schiacciante ai movimenti integralisti, reazionari e conservatori.

Il dibattito sui diritti delle coppie omosessuali, che nei paesi più civilmente avanzati dell’Unione Europea si è concentrato sull’accesso al matrimonio, è stato tradotto qui in Italia nella versione discount delle “unioni civili”, tanto che per Laura Boldrini matrimonio e unioni civili sono ormai sinonimi. Occorre ribadire che, se fosse approvata la proposta “Cirinnà”, le coppie formate da persone dello stesso sesso continuerebbero ad essere coppie di serie B, non abbastanza civili per essere riconosciute sullo stesso piano delle coppie eterosessuali, non abbastanza “famiglie” da rientrare nella definizione che l’articolo 29 della Costituzione che “riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”, non abbastanza mature per poter adottare o per poter ricorrere a tecniche di procreazione assistita.

Più grave ancora, dietro questa strategia di realpolitik si va in realtà ad avallare il pregiudizio per cui le persone omosessuali non sono del tutto “normali” e quindi non è possibile equiparare la loro unione a quelle delle coppie eterosessuali, il cui unico privilegio sarebbe quello di essere fondate sulla presunta complementarità naturale e biologica dei sessi. Istituire una forma giuridica omosex che si avvicina per difetto al matrimonio e che apre ad alcuni diritti matrimoniali significa creare un ghetto giuridico e culturale che perpetua la segregazione delle persone omosessuali come categoria a basso valore sociale, e legittima di fatto le false credenze sull’omosessualità e sulle famiglie omogenitoriali.

In Francia, dove l’uguaglianza di tutte e di tutti davanti alla legge è un principio fondamentale e irrinunciabile della Repubblica, la situazione è allo stesso tempo semplice e giusta:

  • il matrimonio per tutti permette di utilizzare il cognome del coniuge, di presentare la dichiarazione dei redditi congiunta, di ereditare automaticamente dal coniuge, la reversibilità della pensione, il diritto di soggiorno per il coniuge straniero, e permette l’adozione all’interno della coppia (stepchild adoption) e all’esterno, permette la procreazione assistita per le coppie eterosessuali ma non per le coppie omosessuali (una dura battaglia è in corso per abbattere quest’ultima barriera);
  • il Patto civile di solidarietà (Pacs), una forma di unione civile, tutela i diritti delle coppie sia omo che etero con alcuni limiti. Permette, per esempio, la dichiarazione congiunta ma non conferisce lo statuto di eredi (necessità di un testamento), permette di subentrare al contratto di affitto in caso di decesso del partner ma non prevede la reversibilità della pensione, è un elemento preso in considerazione per il rilascio della carta di soggiorno per il partner straniero ma non prevede il rilascio automatico, permette l’adozione individuale (del figlio del partner o all’esterno), ma non l’adozione congiunta;
  • il concubinage, e cioè l’unione o la convivenza di fatto (prevista dalla proposta “Cirinnà”), prevede il riconoscimento della coppia convivente ma non permette la dichiarazione congiunta, permette al partner di subentrare nel contratto di affitto ma solo dopo un anno di convivenza, è un elemento preso in considerazione per il rilascio della carta di soggiorno, e favorisce il trasferimento per i dipendenti pubblici solo in presenza di figli (mentre Pacs e matrimonio danno la priorità in ogni caso), non prevede l’adozione (se non quella individuale comunque possibile in Francia dove il singolo può fare richiesta di adozione).

La distinzione fatta in Francia non riguarda l’orientamento sessuale delle persone, ma il tipo di forma giuridica che le persone scelgono per le loro unioni: più stretta, più tutelata e anche più costrittiva nel caso del matrimonio, più soft nel caso dell’unione di fatto (non c’è procedura di separazione per esempio), e a metà strada nel caso dell’unione civile.

L’uguaglianza dei diritti è un principio che non significa semplicemente “riconoscere i diritti” di persone che ancora oggi sono prive di diritti, ma significa riconoscere i diritti in maniera uguale e anti-discriminatoria. In italiano marriage (inglese), matrimonio (spagnolo), mariage (francese), ægteskab (danese), huwelijk (olandese), poroke (sloveno), si dice matrimonio, non unione civile.

 

Massimo Prearo

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