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Sono Emanuele, un omosessuale cristiano protestante. Sono doppiamente minoranza: come protestante e come gay, e questo non è un caso. Cerco di costruire una società inclusiva anche con il mio impegno in un partito, ma purtroppo mi ritrovo minoranza anche in politica, attualmente.

Non mi sono mai sentito un emarginato, perché la mia voglia di partecipare è sempre stata più forte, anche se a volte mi è sembrato di esser stato messo all’angolo. Sogno una chiesa inclusiva e vorrei con questa testimonianza parlare del mio percorso di fede, che è tinto anche di arcobaleno come lo è il mio esser LGBT, che mi ha spinto a diventare protestante.

Quando ho conosciuto la Chiesa battista di Milano, circa quattro anni fa a 26 anni, già avevo una fede matura, con le sue crisi e i suoi momenti di luce. Ero stato da sempre cattolico, anche se già da qualche anno preferivo definirmi cristiano. Non ho mai abbandonato la realtà del Movimento dei focolari che mi ha insegnato a vivere la fede, in particolare mi ha trasmesso l’ideale della fraternità universale, declinato nei suoi svariati modi. Grazie alla spiritualità appresa tramite i Focolari sono riuscito ad avere la certezza che la mia omosessualità non era un difetto della mia personalità (da sola la scienza non mi era stata sufficiente a dipanare tutti i dubbi).

Eppure nella chiesa cattolica alcune domande, legate alla mia omosessualità, non trovavano adeguata risposta: anche per questo motivo, grazie ad alcuni eventi ecumenici ho cominciato, a vent’anni, a frequentare sporadicamente alcuni amici protestanti. Non che nella chiesa cattolica non ci fossero gruppi LGBT credenti (ho frequentato il Guado e l’Albero di Zaccheo), ma, nonostante le fondamentali esperienze vissute con loro, le perle più interessanti di teologia e di chiesa inclusiva le ascoltavo quasi sempre dai protestanti. Fu durante uno di questi incontri a Milano, organizzato tramite la Commissione fede e omosessualità dei battisti, metodisti e valdesi, che incontrai quello che poi sarebbe diventato il mio fidanzato.

Dopo esserci conosciuti e visti varie volte lui mi ha portato nella chiesa battista di Milano. La prima volta che sono entrato una cosa mi ha subito colpito: la multietnicità. Ho percepito per questo una chiesa in cui le diversità arricchivano la comunità. Poi ho sentito l’accoglienza e il calore delle persone, che si rivolgevano a me con simpatia e naturalezza, anche i pastori erano persone che mi parlavano con semplicità, senza volermi mostrare la loro autorità o superiorità. Dopo qualche settimana ho cominciato a conoscere la realtà dei battisti e delle altre chiese riformate: la loro storia, la loro teologia, la loro missione.

Inizialmente trovavo strana la liturgia e i canti: erano così diversi rispetto a quelli cui ero abituato nella messa cattolica, ed erano molto più partecipati. Per circa un anno ho alternato la frequenza alla messa cattolica e al culto battista. Le ragioni di questa alternanza stavano nel fatto che non credevo (e non credo tutt’ora) che una chiesa possa arrogarsi di possedere la Verità assoluta, ma credo che siamo tutti in cammino con Cristo: cioè questo per me significa definirmi innanzitutto cristiano, a prescindere dai riti e dalle confessioni.

Confrontavo le diverse teologie, linguaggi, riti, spiritualità: lo ammetto, trovavo in tutte le chiese cose che condividevo di più e di meno. Ad esempio l’organizzazione un po’ anarchica dei battisti crea comunità troppo diverse tra loro, ma c’è sempre una grande compartecipazione alla vita della propria chiesa. Dopo qualche mese cominciai a frequentare non solo il culto domenicale, ma anche le altre attività della chiesa: preghiere, studi biblici, attività culturali e manifestazioni.

Mi sentivo di condividere in pieno i messaggi che venivano lanciati: l’ecumenismo, il contrasto ad ogni forma di discriminazione, l’amore gratuito di Dio. Ma ciò che più mi spinse alla scelta definitiva del battesimo (che per i battisti è una scelta che deve essere consapevole e avvenire in età adulta) fu l’accoglienza della chiesa che mi faceva sentire già parte della comunità. Non ho nascosto a nessuno la mia omosessualità e non ho mai subito discriminazioni, impegnandomi per favorire ancor più l’inclusione delle persone LGBT, anche tramite i gruppi e gli organi LGBT delle chiese protestanti (tra cui il gruppo Varco).

Momenti che considero molto importanti sono le annuali veglie e i culti contro l’omofobia: durante le veglie posso incontrare i miei amici LGBT cattolici e realizzare una esperienza di ecumenismo LGBT, durante i culti invece posso portare a tutti i fedeli della mia chiesa i messaggi di inclusione. So che questi messaggi sono stati ascoltati: alcuni miei amici battisti hanno fatto coming out, confidandosi con me e con il resto del gruppo dei giovani. La mia esperienza di militanza LGBT ovviamente non si riduce alle attività nella chiesa: partecipo il più possibile alle manifestazioni politiche e ai Pride. Non posso predire le sfide che mi riserverà il futuro, ma certo non mi dimenticherò mai di essere una minoranza che non sarà mai emarginata.

 

Emanuele Crociani
©2022 Il Grande Colibrì

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