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Oggi ho 31 anni e mi sembra che siano già passati secoli da quando ho iniziato il mio percorso di attivista. Stento quasi a ricordarmi gli inizi. Ancora vivevo nel paesino d’origine dove lavoravo a tempo pieno come cameriere, quando la mia militanza ha avuto inizio, attraverso il web. Ricordo che quando rientravo a casa la sera, scrivevo dei pezzi a tematica LGBT e il mio facebook era un ricettacolo di notizie riguardanti l’Italia e soprattutto la sua arretratezza rispetto alle altre nazioni. Ricordo che è scattata in me una molla che mi ha portato a fregarmene del giudizio dei compaesani che avevo come contatti sui social network e mi sentivo libero di commentare e scrivere e, perché no, anche di sensibilizzare con questo strumento.

La vera militanza pratica è iniziata nel 2011 quando ho deciso di iscrivermi in università a Bari e di iniziare a frequentare gruppi LGBT, anche solo per confrontarmi. Ricordo che ho cominciato con un’associazione che si chiama KéBari, poi nel 2012 mi sono gettato nella presidenza del comitato Arcigay della città. Presidenza terminata poco fa. È stata una sfida. Volevo fare qualcosa di utile, sentirmi libero e ancora più fiero. Sfruttare questa mia caratteristica per aiutare e sensibilizzare, e cosi è stato!

Nel 2013 ho deciso poi di iniziare a militare anche con Famiglie Arcobaleno, perché mi sentivo mancare qualcosa, sentivo la mancanza del senso di famiglia, la voglia di paternità che sempre più cresceva e che avevo messo in sordina quando ancora pensavo che essere gay significasse necessariamente star da soli e senza figli. Attualmente sono referente esterno di Famiglie Arcobaleno Puglia/Molise, mi occupo quindi delle relazioni tra l’associazione e gli altri gruppi, istituzioni ed enti del territorio. In questo momento stiamo lavorando sulla campagna #figlisenzadiritti per sensibilizzare sull’omogenitorialità e per impedire che il Senato svuoti il DDL Cirinnà da un punto per noi fondamentale, quello sulla stepchild adoption.

All’inizio scelsi il KéBari perché avevo amici e fidanzato (ormai ex!) che militavano in una “filiale” siciliana della stessa associazione. Credo di essere arrivato in Arcigay perché sentivo il desiderio di farmi carico di una responsabilità più grande e di sentirmi partecipe in prima persona nella lotta per i diritti LGBT in Italia. In Arcigay esisteva quella realtà sovraterritoriale che al KéBari mancava. L’idea di fare lobby e di far parte di un’entità strutturata in tutta Italia mi dava fiducia e coraggio. I vari scambi di idee tra territori, il conoscere nuove persone e quant’altro. Con il mio trasferimento a Roma la militanza è diventata ancora più forte sia con Arcigay, ma soprattutto con Famiglie Arcobaleno, dove ho creato delle relazioni di amicizia che sono tra le migliori che tutt’oggi mi accompagnano.

La maggior parte delle volte, la mia vita sociale coincide con il mio attivismo. Sono single, e, in generale, diffido molto dalla conoscenza con persone non attiviste, non tanto perché disprezzi chi non si impegna nella militanza per la causa LGBT, ma perché l’attivismo, per me, è una ragione di vita. Occupa buona parte della mia giornata, dei miei pensieri, di quello che sono oggi e di quello che probabilmente sarò nei prossimi anni. A volte penso che una coppia squilibrata da questo punto di vista non riuscirebbe a reggere il passo.

Per come la vedo io, trovo che su molte questioni l’Italia sia indietro rispetto agli altri paesi e che, rispetto a tutti gli aspetti positivi della nostra cultura, a livello politico, siamo purtroppo, e da troppo tempo, in una situazione a dir poco imbarazzante. Anche questo mi ha portato a impegnarmi nel sociale in generale e per i diritti LGBT in particolare. Ho sempre pensato se non lo faccio io, chi lo farà al posto mio?

Non sempre, però, è stato semplice. C’è stato un momento molto pesante in questa storia. Un momento in cui gli stessi attivisti mi erano contro. Quando sono stato eletto Presidente di Arcigay, e forse anche a causa dell’appoggio di persone che militavano nel Partito Democratico, sono stato additato da molti attivisti della città e dallo stesso presidente nazionale. In quel momento non capivo il perché, mi chiedevo solo come fosse possibile avere tutto quell’accanimento contro un giovane apparentemente sconosciuto che si stava impegnando per degli obiettivi comuni. A volte semplicemente le persone non riescono a oltrepassare i loro piccoli egoismi e, a volte, gli interessi personali di molti di noi fanno dimenticare gli obiettivi per cui lottiamo. Sono comunque momenti che fanno parte della militanza e delle dinamiche di movimento. Col tempo si impara ad affrontarli serenamente, per quanto a volte sia doloroso.
Nonostante questo, sono ancora, e con orgoglio, in prima linea!

 

Giuseppe Maffia