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Nei bagni del liceo, nei cessi dell’università, nelle latrine delle stazioni di servizio, e negli orinatoi vari di questo mondo, quante volte ci siamo visti allo specchio degli insulti stampati sul muro: frocio, finocchio, checca, rottinculo?

Quelle parole ti colpiscono non perché dicono una certa verità su quello che sei, su come sei o cosa hai deciso di essere. La violenza di quelle scritte non sta nel tuo riconoscerti in quel frocio, quel finocchio o quella checca che in un certo senso sei. La violenza arriva come un treno che esce all’improvviso da una galleria, cogliendoti impreparato; ti centra in pieno e ti travolge. Quelle, sono parole cariche di disprezzo, sono mine anti-gay pronte ad esplodere, sono trappole per topi che minano lo spazio pubblico, e quando ti cade lo sguardo, è troppo tardi. Sono state messe da persone che sanno benissimo e sperano ardentemente che tu, un giorno o l’altro, passerai da lì e non potrai che essere colpito da tutta la negatività che nell’atto stesso di scriverle loro ci hanno messo dentro.

La violenza dell’insulto scritto sui muri è il segnale di un’omofobia insidiosa, diffusa, silente di un silenzio assordante, che magari non si vede (o piuttosto non si vuole vedere), ma c’è: è una polvere da sparo che contamina l’aria che respiriamo. Quando vai in giro senti l’odore di questa violenza, perché è dappertutto.

Finché un giorno cammini distratto, o sei di fretta, hai un appuntamento, prendi una stradina secondaria per arrivare prima, passi dietro l’Arena di Verona perché c’è meno gente. Hanno messo dei pannelli per proteggere le scenografie del prossimo spettacolo. Sono ricoperti di graffiti, di scritte, di frasi stupide, di aforismi, di X + Y = Love, di W la 4° C. Pare che le scolaresche di tutta Italia siano passate di qui per lasciare un messaggio. Tu sai che da qualche parte, in mezzo a quel parolaio gigante, c’è posta indesiderata anche per te.

Poi scorgi una frase tra le altre, diversa dal solito, incorniciata a pennello: “My best friend is gay and it’s ok”. Ti sorprendi a sorridere e ti sembra che l’aria sia più respirabile, meno pesante, più leggera. E te ne vai anche tu con un sorriso leggero, perché uno sconosciuto ha pensato a te, a dirti che quella violenza non deve vincere, e che anche quando hai paura non sei solo.

Dopotutto io sono minoranza, and it’s ok.

MP