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Io oggi sto male e la colpa, mamma, è tua.
La colpa è dell’educazione che mi hai dato, della maniera in cui mi hai cresciuta, per cui adesso il mio modo di pensare mi crea difficoltà che le altre persone non hanno.

Tu, mamma, mi hai fatto credere che la fiducia sia una cosa buona. Mi hai insegnato che qualsiasi brutta verità è sempre meglio di una bella bugia, e mai, mai ti ho vista incazzata come quando hai sgamato che ti avevo mentito. E, diavolo, non c’è una volta che tu non m’abbia sgamato.

Per colpa tua, adesso io dico la verità. Sempre, anche quando non è la cosa più furba da fare. Io sono esattamente come sembro. Anche se su Internet uso uno pseudonimo, non ho mai alcun problema a usare il mio nome e cognome e pure la mia faccia.

Con questa faccia ti ho detto che la mia nuova amica non era affatto un’amica, che era la mia ragazza.
Non è stato bello.
Ma nemmeno per un istante ho pensato di tenertelo nascosto, perché tu, mamma, mi hai insegnato così. E anche quando ti ho vista piangere a causa di quello che sono, anche quando ti ho vista preoccupata, arrabbiata, ansiosa, non me ne sono pentita.
Non me ne sono pentita nemmeno quando mi hai detto: “Che cosa dovrò dire alla gente, che ho una figlia lesbica?”, nemmeno quando mi hai ripetuto che tu speri di vedermi un giorno sposata con un bravo ragazzo, con dei bei bambini.
Ogni tua parola, ogni tuo sguardo è stata una coltellata, ma io non ho mai ceduto, non ho mai desiderato di tornare indietro e tenere la bocca chiusa con te. Perché è questo che mi hai insegnato ed è questo che io sono oggi.

Una persona profondamente ingenua.

Mamma, io a vivere di nascosto non ce la faccio, e la colpa è tua.
Non ce la faccio ad aspettarmi di essere pugnalata alle spalle da chiunque, e la colpa è tua.
Non vedo in ogni essere umano il mio naturale nemico, ma vedo una persona come me. Perché tu mi hai insegnato a non giudicare, a non avere paura di farmi avanti.
Tu, mamma, sei sempre quella che quando vede una persona in difficoltà si avvicina e chiede: “Serve aiuto?”
Tu sei quella che attacca bottone con le signore in fila alla cassa al supermercato, perché, mi dici, “siamo esseri umani, mica bestie”.
Tu hai tenuto la porta aperta per tutti e sei riuscita ad avere compassione anche delle persone che si erano approfittate di te nel modo peggiore.
E mentre tu lo facevi io ero lì, e ti guardavo.
Non volevo essere come te. Troppo spesso i tuoi occhi erano rossi di lacrime, e io credevo fosse debolezza.
Da piccola volevo diventare forte e spietata, egoista, volevo pensare solo per me, volevo essere furba. Ma la genetica mi ha fregata, o forse è stato l’amore.
Perché oggi mi guardo allo specchio e mi pare d’essere proprio come te, mamma. Una che la porta la apre, anche quando ha paura di quel che c’è fuori.

Perciò oggi è colpa tua se io sto male, mamma.
Sto male perché, nel mondo in cui vivo, le cose è meglio farle di nascosto. Le persone non fanno che rimproverarmi “l’ostentazione” della mia omosessualità.
E sto male perché la persona più importante della mia vita, quella che mi ha spinto a sfidare anche te e a dirti in faccia quella verità aguzza, scomoda, lei non se la sente di affrontarlo, tutto questo. Non è ingenua come me, tanto da pensare che per nessuno sarà un problema, che tutti potranno soltanto essere felici per noi. Lei sa quanto può essere dura e quindi dall’armadio non vuole uscire.
Ci tocca vivere di nascosto, ci tocca essere “amiche”. Un po’ come se io la sua vita la guardassi dallo spioncino della porta, avvicinandomi soltanto quando nessun altro mi vede.
E questo non lo so fare. Tu non me l’hai insegnato, mamma. Non mi hai insegnato che certe volte è meglio scendere a compromessi con la sincerità, che non sempre si può combattere contro i mulini a vento.
Tu mi hai insegnato a uscire fuori da tutti gli armadi, e io adesso, qui dentro, fatico a starci.

 

Vulcanica

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