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Da piccola dicevo di voler essere un pellicano, anche se penso che l’animale che visualizzavo fosse un tucano; lo vedo tuttora. All’epoca forse non sapevo come si chiamasse e gli assegnai l’etichetta sbagliata, però mi piaceva con quel becco giallo e pieno, i colori ben definiti e gli occhi grandi grandi a guardarmi.
Sono cresciuta con due sorelle gemelle e la mia infanzia è stata scandita dagli immancabili ritornelli un-po’-per-uno, giocate-insieme, quando-finisce-te-lo-presta, aspetta-il-tuo-turno. D’altra parte, condividere è stato l’incipit delle nostre vite, anche se non è stata una condivisione equa: alla nascita ero la più grossa e mettere da parte qualche centinaio di grammi più delle altre due fu un bel risultato, per quanto non volontario (o forse sì…?). Magra consolazione, dato che fuori dalla sala parto sono sempre stata la più piccola; “nella botte piccola c’è il vino buono” era la mia ri-battuta jolly, che sfoderavo all’occasione per mettere a tacere chi mi guardava a confronto con loro, a scuola, al parco, al supermercato. Erano sempre lì.
Oggi sono ancora la più piccola ma nessuno lo sa, ci siamo ritagliate le nostre vite e “le bimbe” risuona solo in qualche rievocazione d’infanzia. Oggi sono un’ostetrica e cerco di capire cosa vorrei essere da grande; intanto scrivo, di me, della mia ricerca di un angolo di mondo da coltivare, di lesbismo, di nascita. Ho ventisette anni e la mia famiglia sono il mio gatto e le persone con cui condivido pezzi di strada consumando sogni, scavando giù giù giù fino a tirarmi fuori.
Non ho mai avuto problemi ad accettare la mia omosessualità e viverla come desideravo, fu una scoperta inaspettata che arrivò nel modo forse più dolce: mi innamorai – penso. Decisi di vivere quello che sentivo, mi ci volle solo del tempo per capire come comportarmi “fuori”: qualche accorgimento per non esporci a sguardi – se non ad altro – in contesti non protetti, e molte riflessioni su come dirlo, se, a chi, quando.
Si trattava della mia vita privata e nel mondo ospedaliero che frequentavo da studente non volevo che la gente parlasse. Però mi sentivo invisibile, senza possibilità di prendere parola liberamente. Ricordo, per esempio, il corso preparto che seguii per il tirocinio: ero in un gruppo di gravide, con una collega e un’ostetrica. Comprensiva come sono, non mi aspettavo certo che un’ostetrica sulla cinquantina ammettesse la possibilità che qualcuna di quelle donne (io, intanto) fosse lesbica e avesse una compagna ma, che si considerasse normale avere un compagno e non per forza un marito, quello sì! Nelle parole di chi conduceva il gruppo emergeva chiaramente qual era il prototipo di famiglia ideale, l’unico visto e nominabile: se aspetti un figlio (non penso avesse una consapevolezza tale da sentire la necessità di valorizzare la differenza di genere o la differenza in generale), mi aspetto da te che tu sia passata attraverso le giuste tappe, ovvero che tu abbia avuto una storia con un uomo, che tu l’abbia sposato e che abbiate finalmente deciso di coronare la vostra unione con il simbolo del vostro amore perfetto: un figlio, oppure un secondo, terzo bambino.
Sulla mia persona incombeva un’enorme X rossa, come quella che marchia un erroraccio inguardabile in un tema; non avevo spuntato nessuna di queste caselle, sapevo che mai l’avrei fatto e semplicemente mi sentivo non vista, fuori – già dai blocchi di partenza. Tanto più che da studente il mio parere sicuramente era non richiesto, figurarsi poi se avesse messo in discussione l’Autorità. Comunque, avevo ancora due anni da passare lì dentro e ci avrei rimesso io sola: non dissi niente, ma me la legai al dito. Non sono una persona che porta rancore, dimentico facilmente, però alcune sequenze mi restano incastonate nel cervello, immortali; da questa nacque un promemoria: ricordati di cambiare le cose.
Fabio, un carissimo amico pisano, una volta mi chiese che animale avrei voluto essere; visualizzai una balena e riferii. Penso di visualizzare molte cose, persino un calendario immaginario sul quale la mia pedina si muove al trascorrere dei giorni, come un immenso giro dell’oca che aleggia sull’universo. In questo momento sto svoltando verso destra, direzione estate. Una balena quindi; forse il mio ego ha voglia di rivalsa? Adoro aver condiviso fin da prima che potessi sceglierlo (magnifico imprinting); forse così, almeno, sarei certa di assicurarmi il mio spazio vitale?
Sono una persona pacifica e socievole (così immagino le balene); penso di avere qualcosa da dire al mondo e quel promemoria adesso è un’ambizione: questi anni di lesbismo vissuto, serenamente e con orgoglio ma pur sempre da minoranza, lo studio, l’incontro con punti di vista differenti e tanti libri mi hanno regalato la rotta da seguire e gli strumenti per farlo. Nella vita voglio rompere le gabbie degli stereotipi, riscrivere il linguaggio della nascita e liberare i fiumi delle differenze. Questa cosa che vorrei essere una balena ma sono una donna ha dei confini confusi, ogni mio movimento genera onde anomale? Forse, forse ancora sommerse.
La mia vita a questo punto non è ordinaria né stabile; esco da una convivenza nella città che amavo e chiamavo casa, cui è seguito il mio rimpatrio in acque milanesi – che per me è stato più un naufragio. Sono in piena fase di ricostruzione, senza bussola ma con una consapevolezza: so per cosa lottare, qual è lo spazio in cui posso muovermi e cambiare le cose.
Qualche tempo fa ideai una campagna: “boicotta l’ostetrica bigotta”. Uscivo dall’8 marzo, dal 30 marzo a Verona, dall’anniversario della legge 194 e dal 5 maggio, giornata internazionale dell’ostetrica; avevo fatto il pieno ed ero carica abbestia per lottare ancora. Mi sbellicai silenziosamente in una metro 1 affollata; ora sorrido, fiera della mia cattiveria latente. Se ripenso a quel corso preparto, l’enorme X rossa che incombeva su di me prende vita e migra, fatalmente, sull’Autorità. Lei si zittisce, rinsecchisce, avvizzisce, protesta ma è impotente, viene prelevata ed esce di scena.
Mentre scrivo, il gatto se la dorme e nelle orecchie mi risuona a oltranza Hero, Family of The Year.

 

Silvia Osimo

One Comment

  • Franco ha detto:

    Grazie Silvia per quello che fai e come lo fai, grazie anche a te forse(?!) questo mondo sarà un po’ più giusto e quindi migliore. Basta croci rosse! Mi sono commosso nell’immaginare le tue amarezze e sofferenze passate. Mantieni sempre viva la fiamma della lotta per cui credi, non sorridere ma bensì continua a sbellicarti al pensiero. Non è facile, ma possibile. Ciao Tucano un po’ Balena.

    f.

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