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Quell’anno andavamo al mare ogni weekend, io e Michele. Io guidavo e prendevo il sole, lui lavorava come cameriere al bar di uno stabilimento balneare. Era una bella occasione per stare insieme a mio figlio sedicenne e chiacchierare un po’.

Da qualche mese era solo, non aveva la ragazza. In realtà, “solo”… è un eufemismo! Michele attira le persone come i fiori attirano le api. È solare, sempre circondato da tanti amici e tante amiche, amiche soprattutto. Conosce un sacco di gente che per strada lo ferma, lo saluta, forse per quel suo speciale modo di amare.

In quel periodo gli piacevano le ragazze più grandi, più interessanti e difficili, ma poi si stancava. Le storie finivano. Dopotutto, per me, era ancora così “piccolo”!
Quella domenica mattina era allegro e un po’ sornione. Sentivo odor di sentimento…
“Dai Michi, dimmelo… hai la ragazza?”
Capisco dal suo sorriso che è meglio cambiare argomento, non voglio fare la mamma rompiscatole. Se vorrà, prima o poi me lo dirà. Riprendiamo a parlare del viaggio in Irlanda, dove Michele sarebbe andato per una quindicina di giorni in vacanza. Al suo ritorno, si parlava ancora di vacanze, .finché….

“Mamma, la mia ragazza si chiama Alberto.”
Mi giro verso di lui per incrociare i suoi occhi, convinta di trovarvi il suo sguardo scherzoso, ma no. Il suo sorriso era… era disarmato… e disarmante.

Stavo guidando, fortunatamente! Questo frangente costituiva un’ottima giustificazione per riportare lo sguardo avanti e tenervelo. In quei pochi minuti di silenzio che seguirono, non riuscii a pensare ad altro che “doveva essere proprio così”. Michele era sempre originale in tutte le sue cose, controcorrente, spesso estremo nelle sue scelte. Lanciava il suo urlo di battaglia e combatteva, e guai a fermarlo. Ma poi lui stesso, e solo lui, trovava il punto di equilibrio tra gli estremi, l’unico che gli consentisse di essere fedele ai suoi principi e in armonia con “ilrestodelmondo”. Idealista empatico. Un tipo speciale.

E lo dissi: “Non poteva essere che così”.
Non rispose. Forse ci era rimasto male. Cercai di spiegarmi meglio. Gli dissi che sì, ero stupita, non me lo aspettavo, non ci avevo mai pensato, ma a pensarci meglio, era proprio così lui per me, speciale. Non cambiava niente, insomma.

Qualche lacrimuccia scese, o fuori o dentro, non ricordo, ma scese. E poi, da brava mamma coscienziosa, cominciai a preoccuparmi: era colpa mia se gli avevo trasmesso un modello di donna troppo forte (ma lui le donne le amava e aveva un ottimo rapporto con tutte le ragazze), e quando lo avevo vestito da farfallina a due anni (Laura, ma che cazzo dici?!), e lo facevo giocare a far da mangiare (tale e quale come suo fratello, che è etero), e poi il mondo era duro e cattivo e non rispetta i gay, ecco, di questo sì potevo aver paura…

“Il mondo sta cambiando, mamma. La mia generazione è già molto più aperta della tua e poi, negli altri paesi europei c’è maggiore inclusione rispetto all’Italia. Ci vorrà tempo, ma cambierà anche qui da noi. Intanto me ne vado due settimane in Irlanda, così ci pensiamo su con calma, eh mamma?”

Beh, aveva sedici anni ma era già pieno di buon senso. Avrei messo a frutto quei quindici giorni per studiare e per cercare di capire se avevo una responsabilità in questa cosa. Santo Senso di Colpa! Per il resto… lui era sempre lui, come prima, speciale. Cambiava solo il nome della sua ragazza. Come prima del resto, no?

Ma ci rendiamo conto che un ragazzo o una ragazza, quando decide di dichiarare la sua omosessualità (e perché poi, la deve “dichiarare”? Dichiariamo forse la nostra eterosessualità, noi etero?), si ritrova a fare da “papà” e da “mamma” ai suoi stessi genitori? Ma che fatica! Quale sforzo empatico tremendo devi fare, per metterti nei panni di tua madre e di tuo padre, a quindici o a vent’anni, sapendo a priori di disattendere le loro aspettative! Con quanta stoica sofferenza dovrai assistere impotente, anzi colpevole, allo sconvolgimento emotivo dei tuoi genitori, attendendo il loro giudizio affettivo! E intanto pensi “dimmi che mi vuoi bene”.

E io questo non lo ricordo. Non ricordo se gli ho detto quella cosa così ovvia, ma anche così importante. Non me lo ricordo perché, appunto, era ovvia, scontata. Per me!
Dovremmo mettercelo in agenda, noi genitori tutti, alla vigilia dei dieci anni dei nostri figli (meglio prevenire che curare), che qualunque cosa ci dichiarino, noi automaticamente risponderemo “ti voglio bene”. Intanto, ti voglio bene, ricordatelo. E adesso parliamone.

Quindici giorni non mi bastarono per uscire dal senso di colpa, forse ci volle qualche mese, ma da quel giorno e per almeno un anno, sono stata il pungiball emotivo di mio figlio e ne sono fiera! A cosa serve altrimenti una mamma? Con me, lui poteva sfogarsi e ripetermi tutti gli epiteti e le offese che comunemente un omosessuale riceve e che, chissà come mai, gli venivano in mente quando eravamo insieme. Li diceva in forma di battuta, scherzosamente, ma intanto si liberava dei marchi a fuoco che gli bruciavano, forse più nelle sue paure che nella realtà in cui viveva: uno sproloquio terapeutico in dosi regolari. Oggi non se ne ricorda più.

Non tutte le mamme ce la fanno, però, a incassare per procura, a sfondare le vetrine omofobiche. E soprattutto, poche mamme riescono a contenere le ire del Padre, in questa Italia patriarcale e bigotta. Perché i padri, di fronte allo specchio dell’omosessualità, spesso soccombono. Ci sono ancora tante mamme e tanti papà che soffrono di una forma di disempatia, che impedisce loro di “vedere” tutte le sfumature affettive dei loro figli.

Ed è allora che noi mamme e papà AGEDO, che sappiamo che non c’è niente di strano a essere speciali, nemmeno nel modo di amare, possiamo fare i genitori di sostegno. Possiamo aiutare altri genitori a capire, possiamo ascoltare le loro paure, le paure dei loro figli. Perché non è dall’omosessualità che si deve guarire, ma lo si può fare dall’omofobia. E la cura fa bene a tutti!

Sono passati quasi dieci anni. Michele è sempre pieno di amici e soprattutto di amiche. Da più di sette anni ha un compagno stupendo. Io, da tempo ormai, ho sostituito al Senso di Colpa un vivido Senso di Fortuna: ho due figli stupendi e nessun sintomo di disempatia omofobica. Insieme con un bel gruppo di genitori abbiamo costituito la prima sezione AGEDO nel Veneto: Agedo Vicenza.

Per me, come per tutte le mamme, ne sono certa, i miei due figli sono speciali, probabilmente perché ciascuno di loro ha il suo speciale modo di amare.

 

Laura