Skip to main content

Ci sono piccole frasi che ti cambiano la vita, quelle per le quali esiste un prima e un dopo. Per alcuni la frase può essere “sei licenziato”, oppure “sono incinta”, per altri “è benigno”. Sono frasi che aprono nuovi orizzonti.
La mia fu “non rimborsabile”. Decisamente meno poetica. La ragione per la quale ho iniziato a fare un po’ di attivismo per la comunità asessuale è rinchiusa in quelle due parole.
Una settimana prima, un collega mi disse che era meglio per me se non avessi esternato tanto le mie idee troppo liberali – per lui – sulle unioni civili. Era il giugno del 2015 e Adinolfi aveva appena fatto il suo “splendido” Family Day.
Dato l’invito del collega ad uniformarmi e, considerando il fatto che io sono un terribile bastian contrario, contattai subito i ragazzi del gruppo Asessualità dell’Arcigay di Milano, con i quali fino ad allora ero solo in contatto via Facebook o via forum. Scrissi: “va bene se sabato vengo anche io al Pride?” e comprai i biglietti del treno.
Il venerdì lo passai a cercare una scusa per non andare, come fanno tutti gli asociali cronici come me, quando si avvicina quell’avvenimento che non ti faceva così tanta paura fino a pochi giorni prima. Andai sul sito di Trenitalia per cancellare tutto e sul mio biglietto c’erano scritte quelle due parole: non rimborsabile.

Io ho un trucco da buon asociale: quando voglio andare a un appuntamento, ma la mia asocialità si fa sentire prepotente, allora inizio a cercare i negozi di vinili usati. Ero partito da Firenze convinto di tornare con tanti vinili e dicendomi ma figurati se a 41 anni mi metto a sfilare al Pride, neanche ci penso”. Tre ore dopo stavo marciando in mezzo alla gente e avevo anche fatto nuove amicizie. A dir la verità ero un po’ fuori luogo: ho visto le foto e sembravo un tranviere. Se non altro, non davo nell’occhio.

È facile per me dire come e quando sono diventato un ‘asessuale loud and proud’, che marcia per i propri diritti. Il problema, caso mai, è dire: come sono diventato asessuale? E io, asessuale, lo sono diventato.
So che, in realtà, così si nasce, ma questo succede quando sai definire cosa sei. Fino a che non ho potuto appiccicarmi addosso quella stupida etichetta, io ho creduto di essere eterosessuale e di avere soltanto dei problemi da risolvere con l’altro sesso. Solo a 30 anni ho sentito parlare per la prima volta di asessualità, in termini non medici, ma come orientamento.

Non sono cresciuto a West Hollywood e neppure in centro a Milano o a Roma, ma neanche in centro a Firenze. Sono cresciuto alla periferia della periferia, vicino a Prato. Anche se tutta la città ci si era aggiunta intorno, io alla fine abitavo in un paese. C’era la chiesa, la casa del popolo dove i vecchi giocavano a carte e bestemmiavano la Vergine con una frequenza che neanche un bravo esorcista sarebbe riuscito ad abbassare. C’era la pettegola che sapeva tutte le disgrazie altrui fino a Brozzi, l’ubriaco, il prete, il matto e il finocchio. E poi c’erano gli altri come me, quelli che fanno numero.
Questo è per dire che non sono cresciuto in un ambiente esattamente friendly verso le differenze. E l’epoca, la seconda metà degli anni ‘80, con l’esplosione e la disinformazione che c’era sull’HIV, era ancora meno friendly. C’erano i “normali” e c’erano i “finocchi”. La spiegazione finiva lì.
E i “finocchi” erano tutti effeminati e si diceva che andassero a dare noia ai bambini, e si sapeva che si ritrovavano in quei locali in centro a Firenze che tutti conoscevano, ma tutti rispondevano “ah, davvero?” quando li sentivano nominare, e che “se ci entri ti fanno della roba… come a Scuola di Polizia…”
A me non piacevano gli uomini, e, anche se mi fossero piaciuti, non lo avrei davvero detto in giro. Insomma: quelli lì avevano l’AIDS, e nessuno voleva essere l’omino con il contorno viola dello spot. I genitori di chi è cresciuto in quel periodo, avevano tre incubi per i figli: il contorno viola, gli occhi bianchi e che in classe potessimo usare tutti lo stesso preservativo.

Non riuscirei a ricordare la prima volta che ho vissuto il mio primo “momento asex”. Forse qualche suggerimento me lo diede già il primo porno visto insieme ai miei amici, con Moana Pozzi protagonista. Mentre i miei amici erano estasiati, io ero diciamo “poco coinvolto”.
E i giornalini porno nascosti? Tutti a vederli, e a sbavare… io niente. Insomma: erano donne. Tra l’altro, erano donne nude prima dell’avvento di Photoshop e della depilazione intima su larga scala. Non riuscivo a capire cosa avessero di tanto interessante per i miei amici.
“Se piace a tutti, fattelo piacere, Alessandro – mi dicevo – ricordati dell’omino con il contorno viola, ricordati del bar dei finocchi di Scuola di Polizia. Pensa alle spalle al muro quando il finocchio del paese entra al circolo… vuoi che succeda anche a te?”

Io non avevo Internet, era la fine degli anni ‘80. Anche in TV, qualsiasi non eterosessuale era solo una macchietta. Non potevo certamente mettermi a dire che a me la compianta signora Pozzi faceva poco effetto. Non che preferissi l’attore maschio, basso, stempiato, con i baffi e una sola qualità. Pochi coraggiosi riuscivano ad ‘andare controcorrente’ all’epoca.
Uno con queste cose, con la scena delle spalle al muro, ci cresce. E non importa che poi tu faccia per dieci anni il militante per i radicali, non importa quanto tu possa impegnarti per i diritti civili. Queste cose ti restano dentro.

In quegli anni ho conosciuto qualche ragazza interessante, ma la cosa è sempre finita lì. Io volevo l’amicizia, loro non si sentivano realizzate se non ci avessi provato, magari per rispondermi con un secco no!. “Devi chiedere di scopare, altrimenti che uomo sei?”
Vorrei che un giovane omosessuale si mettesse nei panni di un suo coetaneo asessuale negli anni ‘80: si fosse accorto, cioè, di avere un’attrazione per le persone del suo stesso genere, ma non avesse saputo che questo abbia un nome, che è qualcosa di normale, se non addirittura lecito.
Anche io ero qualcosa. Ma non sapevo cosa.
Nel dubbio, i miei cominciarono a farmi fare la via crucis degli psicologi. Funziona così: se il figlio non si comporta nel modo richiesto, portarlo da più medici possibili in modo che anche se questi non lo aggiustano, si ha comunque una scusa da dire agli amici: “mio figlio a 25 anni non ha ancora la donna ma lo stiamo portando dal dottore”. Insomma: noi ce l’abbiamo messa tutta, abbiamo avuto questa terrificante sfiga, ma stiamo rimediando. Vi preghiamo di apprezzare la nostra buona volontà. Ero diventato una questione d’onore per la mia famiglia.
Un medico mi raccontava di quanto fosse guarito un altro suo paziente “che se ne porta a casa una diversa ogni sera”. Non ce ne fu uno dei professionisti che mi fecero incontrare in quegli anni che mi abbia detto “va bene così, è una condizione naturale”.
Uno, addirittura, dopo aver ascoltato il mio problema, alzò gli occhi al cielo e disse, con un filo di voce: “preghiamo”. Ero da resa mistica! La scienza, di fronte a me, si arrendeva, bisognava rivolgersi direttamente alle divinità!

Come dissi, di asessualità ne iniziai a sentir parlare verso i trent’anni, quindi verso la metà del 2000. Trovai un articolo su un giornale on line e lo divorai letteralmente. “Allora – pensai – non sono l’unico ad essere così. Mi informai, ed andai a battere la testa sul forum di Aven. Lessi i pochi interventi che c’erano in inglese, in italiano non si trovava ancora quasi niente, ma avevo capito che esisteva l’asessualità e che era un orientamento come l’omosessualità e la bisessualità.
Insomma: ero anche io un diverso? Dopo tutto, sono sempre stato dalla parte dei diritti civili, ho fatto le campagne, le raccolte firme per la droga, per difendere la 194, per i diritti delle donne…
Il passo decisivo, per rivelarmi asessuale, fu quello di sentirmi veramente diverso. E, dato il mio habitat, ci vollero anni, e va detto che il cambio di clima nei confronti dell’omosessualità maschile ha influito tantissimo: stava diventando relativamente più semplice (ma non semplicissimo) non essere etero. L’omino con il contorno viola non c’era più in televisione.

Capire di essere, anche io, diverso, mi spinse a riaprire il forum di Aven. Nel frattempo si era un po’ popolato, gli amici inglesi avevano marciato al Pride di Londra e avevo visto le loro foto sul web.
Presi coraggio e scrissi “la storia di tutti” sul forum. La storia di tutti, più o meno, suona così: “mi sento solo e sbagliato, ma ora ho trovato altre persone come me”.
L’aver trovato dei simili, mi rimise al mondo. Iniziai a documentarmi: cosa è l’asessualità, quali sono tutte le sue definizioni… comprai un paio di libri, tra la poca roba che si trovava in giro (e che si trova tutt’ora). La mia frequentazione del forum di Aven diventò veramente intensa. Era dai tempi dei newsgroup che non intervenivo così assiduamente in un gruppo.

Nel giro di un paio di anni la mia vita è cambiata. Non mi sono più vergognato di me ed ho trovato nuovi amici, ho smesso di fumare, ho cambiato regime alimentare, pur restando l’unico vegano grasso che ci sia sulla faccia della terra. Forse le cose non sono legate. Non lo so. Ma ero sereno.
Ho cominciato a frequentare altri asessuali anche dal vivo. I “milanesi”, iniziarono a fare riunioni presso l’Arcigay locale. Credo che la presenza di Arcigay sia stata decisiva per molti di noi per toglierci di testa quella voglia di essere “quasi etero” e quindi non diversi.

All’inizio del 2017, con altri asessuali toscani, abbiamo dato il via al collettivo asessuale Carro di Buoi. Scopo del gioco: incontri fisici più frequenti possibili (siamo al ritmo di un incontro al mese), perché vedersi con dei simili, per degli animali strani come noi, non credo vada spiegato quanto sia importante.
Con questa specie di collettivo abbiamo anche aperto un blog. L’informazione è basilare, un luogo dove si trovino approfondimenti in italiano su asessualità e dintorni (perché non si vive mai su una nuvola), fino a quel momento, non c’era. Oggi siamo al ritmo di uno-due pezzi nuovi pubblicati ogni giorno.

Io, invece, lavoro in un’officina meccanica, una di quelle con i calendari ginecologici alle pareti. Non esattamente un posto aperto alle diversità. Quando andai a Milano, e sfilai dietro lo striscione asex che sembravo un tranviere, qualcuno mi fece la foto. E quella foto finì in una galleria, non mi ricordo di che giornale. La reazione dei miei colleghi non me l’aspettavo: silenzio glaciale. Capivo che era successo qualcosa, ma nessuno me lo diceva chiaramente. Poi, la situazione, con il tempo, si è rilassata. La gente ha anche i suoi problemi da affrontare e certe ‘notizie’ diventano vecchie, dopo un po’. Ormai, sono il “non trombante” per tutti. Date le premesse, la prendo come una mezza conquista.

 

Zilraag

2 Comments

  • ned ha detto:

    va accettato che la maggioranza delle persone (etero e non etero) prova attrazione sessuale e vuole fare sesso. detto questo ci vuole massimo rispetto per la minoranza asex

  • M. G. ha detto:

    Bellissima testimonianza. Racconta in un solo articolo come essere se stessi possa diventare un problema perché sono gli altri a crearlo, non perché lo sia in sé; di come ci si senta soli e sbagliati; e di come incontrare persone simili possa sollevare da quel senso di isolamento.

    Mi dispiace per la brutta figura degli psicologi, ma siamo una categoria professionale che ancora combatte per liberarsi da tanti pregiudizi. Per fortuna le cose stanno cambiando.

    Grazie <3

Leave a Reply