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It gets better, le cose cambiano: lo slogan del progetto lanciato nel 2010 dal giornalista statunitense Dan Savage e da suo marito Terry Miller non mente. Secondo una ricerca di Gallup, nell’arco di appena 4 anni (dal 2012 al 2016) gli americani che si identificano personalmente come LGBT (lesbiche, gay, bisessuali e transgender) sono passati dal 3,5 al 4,2% della popolazione. E se uno 0,7% in più può sembrare poco rilevante, pensare che si tratta di 1,75 milioni di persone cambia la prospettiva.

Questo aumento impressionante è legato esclusivamente alla cosiddetta Generazione Y (o millenial), nata a partire dagli anni Ottanta: sono ragazze e ragazzi che hanno vissuto un’adolescenza in una società sempre più aperta alla differenza sessuale, in cui accettare la propria identità di genere o il proprio orientamento sessuale è diventato meno difficile e traumatico che in passato. Come ricorda Gallup, “nel luglio 1986 solo il 32% appoggiava la legalizzazione delle coppie omosessuali. […] Dal 1999, quando i primi millenial sono diventati adulti, metà degli americani ha appoggiato la legalizzazione e, nel maggio 2016, la percentuale è salita al 68%”.

Così ben il 7,3% della Generazione Y si identifica come LGBT, contro il 3,2% della Generazione X (nata dal 1965 al 1979), il 2,4% dei “baby boomer” (nati dal 1946 al 1964) e l’1,4% della generazione più anziana dei “tradizionalisti”. Il peso di questa nuova generazione meno oppressa dal pregiudizio è così rilevante che oggi ben il 58% delle persone che si identificano come LGBT ha meno di 37 anni.

Eppure la ricerca di Gallup (link) non è molto interessante solo perché mostra con così grande evidenza la forza di una società che cambia, di ostacoli che vengono superati, di prospettive che si aprono. Emergono altri elementi importanti, che tracciano un ritratto delle persone LGBT molto lontano dagli stereotipi più comuni e persino dall’immagine che gli stessi media della comunità diffondono.

Per esempio, anche se i gay hanno molta più visibilità mediatica delle lesbiche, in realtà le donne si riconoscono come LGBT più spesso degli uomini (4,4 contro 3,7%). E soprattutto negli ultimi 4 anni tra le donne l’identificazione in una minoranza sessuale è cresciuta a un ritmo molto più evidente che tra gli uomini (+0,9 punti percentuali contro +0,3).
Anche dal punto di vista etnico la rappresentazione mediatica è molto falsata: sui media LGBT le persone “coloured” sono ancora molte meno dei bianchi, eppure la comunità è molto diversa da questa immagine quasi a tinta unita. A differenza degli stereotipi, i bianchi non sono i più propensi a identificarsi come LGBT, anzi sono i meno propensi: solo il 3,6% si dichiara omosessuale, bisessuale o transgender. La percentuale sale al 4,6% tra i neri, al 4,9% tra gli asiatici e al 5,4% tra gli ispanici. Nelle etnie ancor più minoritarie il dato sale addirittura al 6,3%.

E che dire della questione economica? Mentre i siti gay parlano così spesso di oggetti ipertecnologici, vestiti di marca e articoli di lusso, ecco che si scopre che a identificarsi di più come LGBT sono le persone che guadagnano meno: lo fa il 5,5% di chi ha un reddito inferiore a 36mila dollari l’anno, rispetto al 4% di chi fattura fino a 90mila dollari e al 3,7% di chi ha entrate ancora maggiori. Questi numeri forse si spiegano con il persistere di discriminazioni nel mondo del lavoro e di ingiustizie economiche che, però, catturano raramente l’attenzione degli stessi media della comunità.
A rispettare gli stereotipi, alla fine dei conti, rimane un unico dato: quello relativo alla religiosità. Se solo l’1,9% delle persone molto religiose e il 3,5% di quelle moderatamente religiose si considera gay, lesbica, bisessuale e/o transgender, la percentuale schizza al 7% tra chi non è religioso.

Il dato più significativo rimane però il primo: le cose stanno cambiando davvero e le nuove generazioni sembrano pronte a costruire una società senza più pregiudizi basati sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere. Il cammino è ancora lungo, non si può negare, ma ce la si può fare.

 

Pier

2 Comments

  • Anonimo ha detto:

    Non sono mai riuscito a capire perché molti definiscano l’omosessualità una “scelta”; io avessi potuto scegliere avrei scelto la via più facile, quella dell’eterosessualità.

    • Io Sono Minoranza ha detto:

      Buonasera Anonimo,
      certo la via più facile sarebbe stata quella di nascere eterosessuali. Ma avremmo perso tante cose importanti per la nostra vita. Tra queste l’avere un punto di vista speciale.
      In quanto parte di una minoranza spesso discriminata, abbiamo la possibilità di diventare persone migliori. Possiamo renderci conto, sulla nostra pelle, di quanto sia pesante subire il pregiudizio o l’emarginazione e vivendo questa esperienza possiamo essere artefici di un cambiamento. Nel nostro piccolo possiamo essere i primi a non fare del male ad altre persone discriminate ed emarginate.
      Io l’ho sempre vissuta in questo modo. Se non fossi nato omosessuale non mi sarei mai appassionato di minoranze, parità di genere, lotta al sessismo, razzismo e omofobia. Non sarei mai diventato un attivista e non avrei contribuito a cambiare le cose per aiutare tutte le minoranze intorno a me. Questa è la parte della mia vita più bella e, adesso, che sono tranquillo e in pace con il mio orientamento, sono felice di non essermela persa.

      Sperando di averti fatto piacere in questa mia risposta,
      ti auguro una buona serata.
      Staff

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