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Io non lo so se sono Charlie Hebdo.

In giro per il web pare che quasi tutti lo sappiano: alcuni sono convinti di esserlo e invocano a gran voce la libertà di espressione in tutte le sue forme. Altri esitano e, anche se a voce un po’ più bassa, parlano di mancanza di rispetto, di buonsenso, e poi più forte accusano i primi di faciloneria o di vere e proprie bugie.

E io sto zitta. Sto zitta e ci penso, dall’istante in cui tutte le telecamere del mondo hanno puntato i loro obiettivi su Parigi e la vita di tutti noi è stata invasa da immagini di matite spezzate e fogli macchiati di sangue.

Ci penso perché di libertà parlo continuamente.

Ci penso perché siccome sono donna, sono atea, sono lesbica, so che ci sono tanti e tanti modi in cui quel che amo mi può essere tolto, tante e tante forme di libertà che devo essere pronta a difendere, come del resto è anche per chiunque altro.

Tutti crediamo in determinati valori e vogliamo vederli protetti, e quando pensiamo alla libertà violata pensiamo sempre alla nostra, mai a quella degli altri. Per questo è difficile essere onesti.

Allora ho simulato un gioco mentale.

Ho immaginato le persone che la pensano nella maniera più differente possibile da me, le persone di cui, lo dico onestamente, non rispetto le opinioni, i pensieri, le posizioni.

Le persone che, per i tre aggettivi che ho elencato sopra, non esiterebbero a definirmi malata, perversa, debole.
Le persone che vorrebbero far “curare” quelli che hanno un’altra religione, un altro pensiero, un altro orientamento, un’altra etnia. Ho pensato a loro e mi sono chiesta: avrei voglia di imbracciare un fucile e farli fuori? E mi sono risposta di no, in tutta onestà.

Poi mi sono chiesta: se qualcun altro imbracciasse un fucile e li facesse fuori, io sarei sinceramente dispiaciuta o in fondo in fondo…?
E mi sono risposta di sì, in tutta onestà. Sarei dispiaciuta e basta. Perché non li voglio morti, tanto meno li voglio martiri. Allora ho respirato di sollievo.

Però poi mi son chiesta: il loro diritto di sputarmi fango addosso, lo chiamo libertà di espressione? La satira è un’altra storia, ho risposto per rassicurarmi, ma qualche dubbio è rimasto.

Lo dico con il cuore: se qualcuno scrive su un giornale cose che mi offendono, a me dispiace. Mi dispiace e anche tanto, ma non cerco di far chiudere il giornale, non mando minacce, non spero che qualcuno si presenti in redazione con un fucile.

Eppure, ancora non lo so se sono Charlie Hebdo. Mi sembra un po’ sospetto che, per difendere il diritto a poter esprimere se stessi, così tanti vogliano delegare la propria identità ad un simbolo, uguale per tutti.

Quel che so, e i fatti di Parigi mi hanno aiutato a ricordarlo, è che io sono una persona che ha una testa e la usa per pensare.

Una persona che cerca di non farsi condizionare, né dal Corano né dalla Bibbia né dal Manifesto di un partito, uno qualsiasi, e se quelle che dico sono stronzate, beh almeno posso garantire di non averle copia-incollate dall’opinione di qualcun altro.

Per questo mi sento di affermare che, anche se quel che è successo a Parigi mi fa paura, mi fa sentire vulnerabile, arrabbiata, spaventata, credo che questi fatti possano anche renderci più forti, più uniti.

Più uniti perché ho scoperto che, io, chi la pensa diversamente da me non voglio né ucciderlo né vederlo morto, e questo mi fa stare meglio, per me e per loro.
Più forti perché ho trovato il coraggio di chiedermi se sono dalla parte giusta, ammesso che esista una parte giusta, e se parlo sul serio quando dico che la violenza è sempre sbagliata, che la tortura è sempre sbagliata.

Io forse non sono Charlie Hebdo, ma sono me stessa, e a questa me stessa non rinuncio in nome di nessuna ideologia o imposizione.

Penso che libertà significhi anche questo.

Vulcanica

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