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In occasione del Pride di Parigi del 28 giugno 2014, il portale di informazione JOL Press, ha pubblicato un’intervista in cui propongo alcune riflessioni sul significato politico del Pride. Pubblichiamo qui la traduzione italiana.

JOL Press: Quest’anno, lo slogan del Pride è “Le nostre vite, i nostri corpi, le nostre famiglie: più diritti per tutte e tutti”. Dopo la rivendicazione del 2012 e la celebrazione nel 2013 della legge per il matrimonio per tutti, questo slogan sembra un po’ banale. Che ne pensa?

Massimo Prearo: La scelta di uno slogan non segue necessariamente una logica di marketing politico, purtroppo o per fortuna! Questa scelta è il risultato di una negoziazione inter-associativa, e comunque sempre il prodotto di un compromesso tra le parti in gioco. Dopo la vittoria del 2013, con l’adozione della “legge Taubira”, le associazioni LGBT sono entrate in una nuova fase di mobilitazione, che impone di pensare una strategia rivendicativa che vada al di là del matrimonio. L’uguaglianza dei diritti non si riduce alla possibilità di sposarsi o di adottare, ma riguarda più globalmente il riconoscimento di una cittadinanza piena. La lotta contro le discriminazioni subite dalle persone LGBT comprende anche le politiche sociali ed educative, l’adozione di dispositivi giuridici che permettano l’autodeterminazione dell’identità di genere senza dover subire protocolli imposti e costrittivi, l’accoglienza dei migranti LGBT, ecc. Credo che questo slogan esprima piuttosto la volontà di elargire il campo delle rivendicazioni all’insieme dei vissuti LGBT.

JOL Press: Le rivendicazioni sono un po’ disparate: procreazione assistita, diritti delle persone transgender, lotta contro le discriminazioni nelle scuole, ecc. Questa dispersione non rischia, secondo lei, di rendere il messaggio politico delle associazioni confuso, o addirittura di indebolirlo?

Massimo Prearo: Alcuni pensano che, in politica, vincano i messaggi stilizzati, semplificati e ridotti all’essenziale. Si pensa, a volte, che non sia possibile chiedere tutto, subito, e che si debba fare un passo dopo l’altro. Ma ciò significherebbe fare una lista di priorità e scegliere il tema più urgente per mandare un messaggio politico, e uno solo. Il lavoro delle associazioni, al contrario, è proprio di porre sulla tavola delle negoziazioni tutti i temi per introdurre nel dibattito il punto di vista LGBT – che è un punto di vista plurale, legato alla pluralità delle realtà LGBT. Riuscire ad imporre questi temi nello spazio pubblico è una battaglia politica di per sé, per evitare appunto quello che si è verificato in Francia negli ultimi mesi: dopo aver promulgato la legge sul matrimonio per tutti, il governo ha archiviato il dossier LGBT, come se questa legge fosse sufficiente per risolvere le problematiche sociali che pesano ancora sulle persone LGBT.

Prendiamo un altro esempio. Nel 2002, il Gay Pride in Francia è diventato la Marcia dell’orgoglio lesbico, gay, bisessuale e transgender, introducendo così l’acronimo LGBT. Questa scelta è stata criticata da molte parti, perché si pensava che questa denominazione fosse incomprensibile o illeggibile, e che si trattasse di una scelta politica sbagliata. Alla fine, anche se ci sono ancora delle resistenze, parlare di “questioni LGBT”, e non più semplicemente di “questione gay”, è diventato piuttosto usuale. Le associazioni hanno vinto questa battaglia. E questo rende giustizia alla diversità delle situazioni vissute.

JOL Press: Il Pride è un evento festoso o un evento politico?

Massimo Prearo: I Pride sono sempre stati allo stesso tempo un evento festoso e un evento politico. È proprio questa doppia dimensione a fare la sua specificità, e forse anche le ragioni del suo successo. È un momento di incontro e di assembramento che celebra la diversità culturale delle comunità LGBT. La dimensione politica non risiede solamente nel messaggio che è indirizzato alla società e alla politica, e che, tra l’altro, cambia in funzione del contesto storico. Sfilare sotto i colori dell’arcobaleno affermando l’orgoglio LGBT contro l’invisibilizzazione e la persistenza delle discriminazioni è un fatto politico. Forse è proprio questo che infastidisce una certa intellighenzia benpensante. Perché la politica dovrebbe limitarsi a dei messaggi e a delle manifestazioni linde e ordinate?

I Pride hanno inaugurato un modo di fare politica che esce dagli schemi tradizionali. A mio avviso, l’obiettivo dei Pride è soprattutto di riuscire a occupare lo spazio pubblico esponendo la ricchezza e la varietà della realtà sociale e delle esistenze individuali, affermando allo stesso tempo, come si diceva negli anni ’70, che il privato è politico.

Pride LGBT Parigi

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