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Alice ha 25 anni, abita a Venezia ma studia economia all’università di Trento e di lei mi ha colpito soprattutto la delicatezza con cui ha saputo raccontare la storia che l’ha portata a vivere anche pubblicamente il suo essere donna.

I primi sintomi della disforia di genere cominciano già a sei anni, con il desiderio di indossare i vestiti che tutte le bambine della sua età portavano a scuola; a quattordici anni il disagio diventa più forte: davanti allo specchio vede un corpo che non riconosce, che non sente suo. Tramite le prime ricerche su internet, a causa degli stereotipi che associano il transessualismo al mondo della droga e della prostituzione, rimane scossa e decide di reprimere questa sofferenza interiore nascondendo ogni dubbio.

È solo all’università, grazie allo Sportello LGBTQIA+ di Trento (che si occupa gratuitamente di servizi informativi, di orientamento e di counselling), che riesce a dare un nome a tutti questi sentimenti; dopo un lungo e difficile percorso arriva la diagnosi che risponde ad ogni domanda: disforia d’identità di genere. Inizia quindi la terapia ormonale che le ha permesso di avere un aspetto esteriore in accordo con quello che sentiva di essere.

La famiglia, dopo un distaccamento iniziale, le è sempre rimasta vicino supportandola e aiutandola nella transizione. I veri problemi si sono verificati all’università e fuori casa, quando Alice ha cominciato a vestirsi e truccarsi in maniera femminile, realizzando il desiderio dell’infanzia: vestirsi come tutte le sue coetanee.
In molti idealizzano l’università come un ambiente progressista e sempre aperto alle diversità, Alice però ha una storia diversa; per lei gli anni dell’università sono stati un inferno, un incubo che l’ha portata a non tornare più nella città trentina, se non per sostenere gli esami. Sono state molte, troppe, le aggressioni verbali che ha dovuto subire:

frocio!

fenomeno da baraccone

è per colpa di gente come te che l’Italia sta andando a pezzi

Queste parole, taglienti come una lama, sono solo esempi di quello che i/le ragazz* transessuali devono subire ogni giorno. C’è stato perfino un tentativo di aggressione, fermato per fortuna dagli amici, che le sono rimasti accanto e l’hanno supportata senza pregiudizi. Oltre alle offese, alle risate e agli insulti, sia diretti che alle spalle, sono rimaste tutt’ora frequenti le domande scomode, impertinenti ed invasive, che in molti casi violano la privacy e la fanno sentire a disagio.

Il suicidio e la depressione, lo dimostrano gli studi, sono molto diffusi nella comunità LGBTQIA+, specialmente tra le persone transessuali e transgender. Anche Alice, purtroppo, ha dovuto affrontare queste problematiche:

Ero arrivata a non vedere più nessuna soluzione alla mia sofferenza, che mi bloccava e m’impediva di uscire di casa; ricevevo insulti e risate anche al di fuori dell’università, persino al supermercato. In molti pensano che la depressione sia dovuta alla disforia; in realtà io mi sono sempre sentita bene con me stessa, era l’impatto con le persone e le loro parole di disgusto che mi facevano sentire sbagliata.

Oggi, grazie all’aiuto di una psicoterapeuta e della terapia ormonale, Alice sorride e riesce perfino a scherzare con me sulle persone che l’hanno talmente maltrattata da farle pensare al suicidio.

La politica delle università italiane, in merito al trattamento degli studenti transessuali, rimane a suo parere il “solito contentino”. In Italia diverse facoltà hanno adottato il doppio libretto per gli studenti transessuali, che permette di modificare le credenziali di accesso al libretto online e di avere uno specifico tesserino da consegnare al professore quando ci si presenta agli esami. Tramite queste procedure, purtroppo, gli studenti sono costretti a fare coming out ad ogni esame, davanti a professori e compagni, senza possibilità di decidere a chi raccontare o meno la propria identità di genere.

Nonostante tutto riesce a ridere mentre mi racconta le sue esperienze, facendomi tornare in mente “Alice” di De Gregori. La sua storia non è sicuramente uguale a quella di tutte le persone transessuali, però il messaggio con cui mi ha lasciato è universale:

Cercare di essere sé stessi è difficile per chiunque, specialmente per noi che ogni giorno dobbiamo alzarci in piedi contro i rigidi schemi e le “gabbie” normative della società. Le persone che ogni giorno ci guardano con disgusto o ci insultano e aggrediscono alle spalle, al supermercato, per strada o all’università, non capiscono che l’unica cosa che desideriamo è il rispetto e la libertà di essere semplicemente noi stess*.

 

Elisa Zanoni

EDIT: l’articolo è stato corretto il 12 giugno 2020 per rimuovere espressioni improprie riguardo la transessualità

One Comment

  • paolo valerio ha detto:

    Comprendo il profondo disagio provato da Alice. Mi permetto di segnalare che “il doppio libretto” è superato e che le persone transgender sono tutelate da molte università italiane che offrono una “carriera alias”, cioè un profilo burocratico temporaneo che sostituisce il nome indicato all’anagrafe con un nome in sintonia con il genere percepito.
    Il sito internet http://www.universitrans.it ha realizzato una mappatura digitale degli atenei italiani che offrono tale possibilità. Al momento l’università di Verona e l’università di Napoli Federico II offrono tale opportunità anche al personale docente e non docente

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