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Nella vita di una persona omosessuale coming out è una parola da declinare al plurale, perché ce ne sono tanti di svelamenti: verso amici, genitori, colleghi. Ogni volta è come togliere un sassolino, talvolta un macigno, dalle proprie tasche e rendersi più leggeri, pronti ad avviarsi verso la propria libertà.
Ricordo ancora la prima volta che dissi a qualcuno, la mia amica Elsa, di essere gay. Era d’estate. I tempi del liceo, quelli delle confidenze e delle prime volte. I tempi in cui scoprirsi per un adolescente gay può assumere il significato letterale di svelarsi al mondo per quello che si è.
Mi basta chiudere gli occhi per ricordare quella sensazione di vitalità dopo un lungo periodo di torpore. Gli anni precedenti erano stati segnati dalla paura e dal bullismo dei miei compagni di classe. Avevo scelto di rendermi invisibile, mimetizzandomi con le pareti verdi e gialle dell’aula, giù in fondo agli ultimi banchi. Ero il ragazzo di cui nessuno si accorgeva, che parlava poco e di cui certo nessuno ambiva la compagnia durante le ore extra-scolastiche, in quei pomeriggi passati a bighellonare nei centri commerciali della città. Avevo serrato i sogni in una cassaforte e con essi il desiderio di poter essere amato e accettato, in attesa di tempi migliori, come durante un letargo.
E adesso, dopo un lungo inverno, assistevo al disgelo. Parlare di me, di quel mio ‘segreto’ era come riportare la luce in un vecchio scantinato: nel buio si erano agitati fantasmi, ma si erano nascoste anche le mie fantasie di un riscatto futuro.
Come in un flash back, rieccomi al lontano 2005. Tremo. Un sms dopo l’altro e sono sempre più vicino alla confessione. “Ecco, sai quella xsona ke mi piace” – “Sì, vabbè … qst famosa ragazza … ma si può sapere cm si kiama?” – “Ehm… veramente nn è una ragazza, mi piace Salvatore, il tuo compagno di classe” – “Nooo, ma davvero? Dai non l’avrei mai detto”.
Non dimenticherò mai il senso di liberazione nel poter parlare del mio Salvatore (mai nome fu più simbolico) facendola finita con tutte quelle inutili contorsioni linguistiche del tipo: “Eh, sì c’è una persona che mi piace, ma non so se io piaccio a questa persona”.
Se è vero che l’etimologia di persona deriva dal latino e vuol dire maschera, io l’avevo tolta quella maschera. Non ero invaghito di una ‘persona’, ma di Salvatore. Da mesi … lo seguivo come un segugio (oggi diremmo pure come uno stalker). Immaginavo il mio approccio con lui e nella fantasia era tutto perfetto. Era così bello fantasticare sul nostro primo bacio, quanto penoso confrontarmi con la realtà dei fatti: andavo nel pallone solo a vederlo passare a distanza ravvicinata, come avrei potuto trovare il coraggio di parlarci? E come avrei fatto a sapere se anche lui fosse gay? L’anno scolastico era agli sgoccioli e queste domande mi tormentavano più del pensiero delle imminenti interrogazioni che rubavano, a causa dello studio intenso, interi pomeriggi ai miei voli pindarici.
La prospettiva di rivederlo a settembre sembrava angosciante. Tra me e lui si frapponeva adesso un’intera estate, una delle ultime così interminabilmente lunghe. Quei pigri stand-by fatti di puntate del festivalbar, della calura delle notti estive e del sapore acquoso delle angurie che si sciolgono in bocca mi sembravano allora una terribile maledizione. Mi chiedevo se avessi mai trovato il coraggio di dichiarargli il mio amore e aspettavo il ritorno del più mite autunno.
Quel coraggio lo trovai. Prese la forma di una lettera, una lunga lettera d’amore. La più bella, forse l’unica, che abbia mai scritto. C’avevo messo il cuore. Quello stesso cuore che allora mi balzava fuori dal petto per l’emozione.
“Allora, gliel’hai data?” – chiedo in preda al panico ad Elsa – “Sì, l’ha letta”. “E cos’ha detto?” – “Che è la più bella lettera che gli abbiano mai scritto, ma che non può ricambiare” – “non gli piacciono i maschi come a te”, aggiunge.
Insomma, come avrete capito, questa storia, almeno per il momento, non ha un lieto fine. Il mio profetico Salvatore non finisce per salvarmi dai miei turbamenti adolescenziali. Verranno altri amori e ci saranno altre storie più in là nel tempo, ma di Salvatore serberò sempre un tenero ricordo. Lo stesso che provo ripensando a me.
So che oggi vive e lavora in una grande città, lontano da qui. Sono le ultime voci che mi giungono su di lui. Forse non saprò mai come sarebbe stato baciarlo, ma non conta. Gli sono comunque grato. Ogni persona porta con sé un messaggio e una benedizione. Salvatore è stato il trampolino di lancio per andare oltre le mie paure. Che lo sappia o no.

Ivan

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