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Mia figlia studia all’Università in Scozia. Sono andata a trovarla e l’ho accompagnata a una lezione di filosofia. Questo semestre l’argomento è: gender issues (questioni di genere). Oggi il professore annuncia che per parlare di questioni relative alle donne è necessario definire che cosa sia una donna. Gli studenti ascoltano, molti prendono appunti, qualcuno entra in ritardo, come a qualunque altra lezione.

Il professore parla con tono calmo, mira alla precisione dei termini e non ha fretta. Come se parlasse dell’Impero romano, dice che un tempo si credeva che il sesso biologico alla nascita corrispondesse direttamente all’identità di genere. Che sciocchi, gli antichi. Ora ovviamente sappiamo non solo che non è così, ma che neanche il sesso biologico è sempre una questione tanto liscia. E quindi comincia ad elencare tutte le zone grigie della questione, procedendo poi all’identità di genere, dando termini come non-binary, trans-sexual, transgender, ricordando l’ulteriore indipendenza di identità di genere e orientamento sessuale e via così, per concludere con due diverse posizioni di due filosofe femministe sull’esistenza o meno del concetto di donna.

Gli studenti e le studentesse sono attenti e partecipi come lo si può essere a una qualsiasi lezione sulle rotazioni consonantiche, sul red shift o sulle patologie epatiche. Ascoltano, certo, scrivono, fanno anche domande e interventi quando sollecitati dal professore. La lezione ha quel misto unico di interessante e noioso che è così frequente all’Università. E io sono decisamente felice, perché questa materia qui è “normale”, la si può studiare, ha dignità accademica, è frazionata in sotto-argomenti, si possono fare tabelle e schemi riassuntivi perché prima o poi sarà oggetto di qualche essay da scrivere e da sottoporre a valutazione, come tutto il resto. Nessuna polemica, niente di sorprendente, tutto nella normalità. Gli studenti e le studentesse LGBT+ sono liberi dalla diversità, negli occhi di chi li guarda, liberi di studiare questi argomenti, liberi anche loro di annoiarsi a lezione.

È pomeriggio, fuori è buio e freddo nel nord della Scozia, ma qui dentro si sta bene, io mi sento leggera come dopo un parto. Questa la chiamerei civiltà.
Ci sono certamente omofobi e razzisti anche qui, ma l’istituzione culturale li studia come un fenomeno curioso, mettendo nel syllabus ordinario questioni che qui fanno alzare in piedi le Sentinelle. Evviva gli studenti seduti. Evviva la noia accademica!

Silvia Masotti

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